Euro 2016: la (ri)scoperta moderna del trequartista
Il trequartista non è un ruolo come gli altri. Senza fisionomia e senza padri riconosciuti, ha cambiato aspetto al passar delle stagioni. Il numero 10 è un luogo del pensiero, un'idea che respinge i dogmi ma al dogma tattico finisce per doversi piegare.
Origini – La “Diez”, l'idea stessa del numero 10 come numero del calcio nasce in Argentina, molto prima di Maradona. Nasce sull'altra sponda di Buenos Aires, all'epoca della Maquina del River Plate. Il perno del quintetto d'attacco, dei cinque Caballeros de la Angustia, i Cavalieri dell'Angoscia (per le dfese avversarie) è Pedernera. Centrocampista, attaccante, regista e soprattutto trequartista, agisce fra le linee nemiche, riceve e inventa. È semplicemente, per Alfredo Di Stefano, il più grande di tutti. “Quando penso alla parola futbol, penso a lui". Oggi la dimensione del calcio moderno, e l'Europa che si incontra in Francia lo dimostra, sembra non avere più spazio per i numeri 10 classici. Oggi, nel calcio fisico che Sacchi ha cambiato per sempre, nel guardiolismo imperante che ha ripreso in chiave moderna il vecchio sistema e imposto il 3-4-3 corto e flessibile come paradigma del futuro, il trequartista per sopravvivere deve adattarsi. E la riscoperta del ruolo passa per una rivoluzione, per il passaggio dal fantasista di talento al centrocampista d'assalto.
Ozil, il 10 moderno – La plastica rappresentazione di cosa si intenda, oggi, per trequartista, è il miglior assist-man della Premier League, Mesut Ozil, che solo per una lunghezza ha mancato il record assoluto di passaggi vincenti in una sola stagione, i 20 di Thierry Henry nel 2002-03. “Penso sia il giocatore al momento più creativo in Europa” ha detto Andrea Pirlo. Nella Mannschaft di Low, Ozil ha le spalle coperte da Bastian Schweinsteiger e Sami Khedira, un supporto difensivo ancora maggiore di quanto avviene all'Emirates nonostante l'intesa perfetta con un mediano di corsa e visione come Aaron Ramsey. Ozil, che Low ha provato anche come regista arretrato, ha più spazio e più tempo sulla palla in nazionale, può concentrarsi solo su quello che gli riesce meglio, inserirsi e creare occasioni per i compagni. Anche se l'amichevole contro l'Italia ha dimostrato che la Mannschaft può anche tornare, in caso di necessità, a un 4-3-3 o addirittura a un 3-4-3 di ispirazione guardioliana in fase di non possesso.
Più corsa, meno ricami – In un 4-3-3 con i due mediani e il vertice alto, il trequartista deve “farsi sempre trovare smarcato come punto di riferimento del gioco offensivo; muoversi nella zona di campo intermedia fra centrocampisti e difensori avversari; essere in possesso di buona tecnica e buon dribbling; saper verticalizzare; essere dotato di un buon tiro; e infine avere i tempi giusti di passaggio”. Così scriveva nella tesi per il corso Master a Coverciano, nel 2005, Massimiliano Allegri che al Milan metterà in quel ruolo una mezzala muscolare come Boateng. Un percorso non dissimile dall'evoluzione al Napoli di Marek Hamsik, fulcro della Slovacchia a Euro 2016. Ai tempi del Mondiale 2010, l'allora ct Weiss lo faceva giocare da mediano. L'attuale tecnico Kozak, invece, lo sposta da numero 10, dietro l’unica, e nella vittoria contro la Spagna lo fa partire da falso centravanti. Hamsik segna così cinque gol nel girone di qualificazione, più di ogni altro nella Repre.
Lo stile di Hamsik – Terzo miglior marcatore nella storia della nazionale slovacca, Hamsik ha illuminato il trionfo in amichevole sotto il diluvio in Germania con un gran gol da trenta metri. Un pezzo di bravura tipico del suo repertorio, figlio della fiducia e della libertà di sapere che in mediana agiscono Juraj Kucka e Viktor Pecovsky, due giocatori diversi che però si integrano molto bene. Risultato, allo stesso tempo, della responsabilità di reggere le sorti offensive di una squadra che gli chiede di essere insieme rifinitore e finalizzatore, cervello e goleador. Il gioco della Repre si sviluppa in modo abbastanza semplice e lineare. I due mediani recuperano palla e cercano di darla a Hamsik ogni volta che possono mentre sugli esterni Peter Pekarik si sovrappone più del diligente Hubocan. Una soluzione su misura per una nazionale con giocatori di corsa e qualità ma senza registi bassi in grado di consentire un autentico gioco di passaggi secondo la moda che predomina in Europa, Leicester a parte. Eppure, in una squadra diversa come il Napoli, con un'abbondanza di elementi creativi fra le linee, i movimenti di “Marekiaro” da trequartista sovraffollano i venti metri alle spalle di Higuain. E questo spiega la sua ultima evoluzione tattica, l'arretramento a mezzala di costruzione in grado di aprire linee di passaggio e creare opportunità offensive.
La Croazia di Modric… – Negli ultimi anni, è cambiata non solo la fisionomia del trequartista: forse l'ultimo esempio di fantasista classico in Europa rimane, probabilmente, Rosicky. È completamente diverso il paradigma di pensiero che ne determina l'utilizzo. Se in un'altra epoca e in un altro calcio, intorno al “dieci” si costruiva la squadra, oggi è il fantasista a doversi adattare, a diventare atipico per l'inserimento dinamico nello scenario collettivo. Il trequartista non deve soltanto esprimere il suo estro, deve partecipare alle due fasi, cercare spazi anche verso l'esterno, far funzionare insomma la manovra. Vedere, per credere, il centrocampo della Croazia. Senza un vero mediano davanti alla difesa, l'aspetto cruciale di una nazionale ricca di talento sarà combinare gli interisti Marcelo Brozović e Ivan Perišić, capocannoniere del girone di qualificazione con sei gol in nove partite, Luka Modrić e Ivan Rakitić. Brozović dovrebbe giocare più dietro, nel 4-1-4-1 fluido di Cacic, rispetto al suo raggio d'azione nell'Inter di Mancini, all'avanguardia nel cercare nuovi metodi interpretativi per il ruolo che ha definito la sua carriera di calciatore.
… e Brozovic – In nerazzurro, spesso Brozovic abbandona i compiti difensivi per agire fra le linee e sfruttare le sue qualità di corsa palla al piede. In una Croazia senza centromediani, dovrà trovare la giusta quadratura con Modric, abituato al Real al movimento complementare, a venire indietro per prendersi palla, anche se questo l'ha portato ad affollare la zona centrale davanti alla difesa insieme a Kroos. I due finiscono spesso per pestarsi i piedi e Zidane si convince a spostare Kroos e a dare una nuova dimensione a Casemiro, l'uomo chiave della Champions.
Jolly Payet – È un figlio del bielsismo, invece, il protagonista dell'esordio francese nell'Europeo di casa. I 92 tocchi di palla, i 55 passaggi con l'82% di precisione, le 8 occasioni create preparano il terreno al gol della vittoria di Dimitri Payet, che usa il sinistro come il destro, che ha spinto il West Ham verso un sogno con 12 assist e 9 gol nell'ultima stagione. Payet si piazza tra le linee, ala o trequartista non importa, riceve il passaggio e lo prolunga con quella naturalezza nello “stop orientato”, nel controllare e insieme far scorrere palla in avanti, pronto a saltare l'uomo e tirare.
Un giocatore, Payet, non dissimile dalla stella del Belgio e del Manchester City, Kevin De Bruyne, miglior marcatore della squadra nelle qualificazioni con Hazard, che segna e fa segnare con la stessa facilità e soprattutto la stessa rapidità.
Bale e CR7 – Questo, poi, si preannuncia come l'Europeo di Gareth Bale e Cristiano Ronaldo. Due campioni-squadra che hanno ridisegnato l'idea stessa del gioco fra le linee, che creano calcio, che fanno e disfano numeri e moduli, che definiscono da soli l'identità di squadra. Perché in fondo, come scrive Mario Sconcerti nell'ultimo numero di Limes, “il calcio è quasi una piccola arte. (Bisogna) gestire uno strumento correndo, come artisti di strada. Né basta avere Cimabue come maestro per diventare Giotto. Serve Giotto. Con buona pace dei tattici”.