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Europeo 2016 in Francia

Euro 2016: la Germania è mille colori

Ozil, miglior assist-man della Premier League, è il simbolo di una nazionale multietnica. Figlia dello ius soli introdotto nel 2002. Muller racconta meglio di tutti il piano di valorizzazione dei vivai, la rivoluzione voluta dalla federazione dopo il fallimento a Euro 2000.
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“Il nostro Paese non è e non potrà più essere in futuro terra di immigrazione”. Così parlò il cancelliere Helmut Kohl sulle macerie del muro di Berlino appena crollato. Ma la Germania in cui Angela Merkel si gioca un pezzo di futuro proprio sul tema dell'accoglienza dei migranti si presenta con la più scintillante immagine della multietnicità come via per il successo: la nazionale campione del mondo. La Mannschaft di Loew è il migliore specchio della Germania, come i palazzi di vetro di Potzdamer Plaz, specchio della Berlino seconda destinazione al mondo per immigrati permanenti.

Icona di una nazione che, conscia dell'invecchiamento della popolazione, ha approvato già nel 2005 una legge sull'immigrazione d'avanguardia: per qualsiasi tipo di permesso si deve dimostrare di essere in regola con il passaporto, di possedere mezzi di sussistenza, una situazione abitativa adeguata, di avere contributi pensionistici per almeno 60 mesi e di non avere subito condanne.

Già dal 2002, poi, il governo Dchroeder aveva introdotto il principio dello ius soli: E i figli nati in Germania dopo il 1° gennaio 2000 da genitori stranieri possono diventare cittadini tedeschi se uno dei genitori ha il permesso di soggiorno permanente da tre anni. Il tempo dei Gastarbeiter, i "lavoratori ospiti" che la Germania accolse a partire dagli anni '50, sono finiti.

Integrazione – “Nei centri di formazione l’integrazione funziona”, spiega il professor Sascha Schmidt, docente della Economic Business School di Wiesbaden che ha curato una ricerca su questo tema per la Dfl nel 2010. Nasce da qui la Germania multietnica, che a Bastian Schweinsteiger affianca Sami Khedira, di padre tunisino, Jerome Boateng, papà ghanese e mamma tedesca, o Shkodran Mustafi, origini albanesi ma cresciuto ad Amburgo. La Germania di Miro Klose, miglior bomber nella storia dei Mondiali, nato in Polonia come Lukasz Podolski, che si è trasferito a due anni in Renania Settentrionale. La Germania che ha accolto quasi due milioni di turchi, la comunità di stranieri più numerosa del Paese, in cui dal 1998 la Federcalcio turca ha aperto un un ufficio a Colonia per “strappare” ai tedeschi i figli degli immigrati, come Nuri Sahin. Ma la DFB, la federazione tedesca, conserva notevoli poteri di contrasto. La nuova tendenza ha un nome e un volto preciso: Mesut Özil.

Simbolo Özil – "Tutti provavano ad imitare Zidane, io ci riuscivo" diceva Özil, entrato in prima squadra a 17 anni allo Schalke 04, che ha esordito in Bundesliga a 18. Nel gennaio 2008 il Werder Brema l'ha preso per una cifra irrisoria: 4,3 milioni. Allofs e Schaaf sapevano di aver trovato un campioncino concreto e molteplice, capace di giocare da centrocampista interno, esterno offensivo o trequartista, senza pestare i piedi a Diego, idolo del Weserstadion. Il resto è storia, l'ascesa al Real Madrid, i 45 milioni di trasferimento all'Arsenal con opzione per la “recompra” fissata a 50, e un'ultima stagione da miglior assist-man della Premier League. Ma, così come i Gunners hanno mancato la grande occasione del titolo nella stagione della favola Leicester, Özil ha mancato per una sola lunghezza il record assoluto, i 20 di Thierry Henry nel 2002-03. L'Arsenal, comunque, sarebbe pronto a blindarlo con un contratto monstre da 250.000 euro a settimana, per allontanare la concorrenza anche della Juventus.

Rivoluzione giovane – Gli anni dell'esordio di Özil in Bundesliga coincidono con la fase culminante di un processo di rivoluzione del calcio tedesco nel segno dei giovani dei vivai, che ha portato l'età media del campionato dai 27 anni del 2001 agli attuali 25. È proprio un Europeo a segnare il punto di non ritorno. Nella Nationalmannschaft tornata dall'edizione in Belgio e Olanda nel 2000 senza aver vinto nemmeno una partita c'è solo un Under 21, Sebastian Deisler. In rosa resiste ancora il 39enne Lothar Matthäus, che gioca da libero mentre il resto d'Europa si schiera con la linea difensiva a quattro. Dalla Waterloo continentale, il presidente della DFB, Meyer-Vorfelder, fa scattare il primo step del Talentförderprogram, il programma di sviluppo dei giovani articolato negli oltre 350 centri regionali. Il piano prevede anche l'obbligo per tutte le squadre di 1. e 2.Bundesliga di costruire centri tecnici per i giovani come prerequisito per ottenere l'iscrizione al campionato.

Nelle strutture giovanili, le squadre devono garantire: almeno una squadra in ognuna delle quattro categorie dagli Under 19 agli Under 13, tre campi in erba di cui due con luci artificiali, un campo per l'allenamento al coperto, coach e fisioterapista per ogni categoria di età. In più, in base alla Local Player Rule, almeno otto giocatori nelle rose devono essere cresciuti nel club. Rimangono anche regole speciali per gli Under 19 e gli Under 17: su 22 giocatori in rosa, infatti, 12 devono avere la cittadinanza tedesca. La DFB, che conta due milioni di calciatori Under 18 spalmati in 100 mila squadre giovanili, ha investito in questo piano di rinascita oltre 700 milioni. E i risultati si vedono. Nella rosa della nazionale campione del mondo, infatti, si sono ritrovati Neuer, Boateng, Höwedes, Hummels, Khedira, e Özil, già compagni di squadra nell'Under 21 che aveva conquistato il titolo europeo di categoria nel 2009. E dei 23 in rosa, Klose e Weidenfeller sono gli unici “figli” dell'era precedente al 2002.

Fenomeno Muller – Il settore giovanile (165 ragazzi in 10 squadre e un nuovo centro che sarà completato nel 2017) è la base del dominio del Bayern Monaco, al netto di un allenatore che ha importato in Germania la visione più innovativa del calcio moderno. Un'idea tutta centrata sull'architettura flessibile dello spazio, una costruzione gestaltica in cui il pensiero veloce conta quasi più dell'azione, la visione moderna del calcio totale. E nessuno la racconta meglio di Thomas Müller, che di strada, concretamente, ne ha fatta poca. È cresciuto a Pahl, dove mamma Klaudia gestisce le finanze della chiesa di Sankt Laurentius. È un figlio della ricca Baviera, il land con il reddito pro capite più alto della Germania, con un padre ingegnere alla BMW. Da Pahl all'Allianz Arena, alla casa del Bayern dove entra a 11 anni, ci sono appena 60 chilometri. Ma di strada, anche in nazionale, ne ha fatta moltissima.

Anarchia organizzata – Come l'omonimo Gerd è uno di quegli attaccanti un po' sottovalutati ma di cui non si può fare a meno. Non è il più veloce, non è il più dotato, non spicca per stazza fisica, per atletismo, per eleganza o per elevazione: ma ha tutte queste doti messe insieme. La sua posizione in campo travalica le definizioni, è un'articolazione fluida, difficile da definire. Nasce centrocampista offensivo, ha giocato da punta, da trequartista, da ala, destra e sinistra, ma segna quasi il 90% dei suoi gol dall'interno dell'area. Perché si inserisce come nessun altro, come Cruijff non è veloce, sembra veloce perché intuisce prima quel che sarà. E vede lo spazio dove lo spazio ancora non c'è. Uno dei più fedeli seguaci delle sessioni di yoga di Patrick Broome, già guru di Sting e Madonna, che dopo i Mondiali in Brasile sarà con la nazionale tedesca anche all'Europeo di Francia, Muller è la linea di continuità di una nazionale dai mille colori e dalle molte lingue. Come nel Bayern, anche in nazionale è lui il responsabile dell’anarchia in campo. L'unità nella molteplicità. Il successo tedesco è tutto qui.

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