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Guillermo Stabile, i trionfi di mister Copa America

Da allenatore dell’Argentina, Guillermo Stabile ha vinto sei volte il Campeonato Sudamericano, che dal 1975 diventerà la Copa America. E’ rimasto imbattuto nella manifestazione dal 1945 al 1956 e forgiato la nazionale degli Angeli dalla faccia sporca.
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Il 1924 è un anno di profondi cambiamenti in Argentina. La riforma del lavoro riduce l'orario settimanale, il sabato e la domenica si riempiono gli stadi e si affollano i teatri. Il produttore Max Glücksmann, proprietario della discoteca Nacional Odeon, porta al teatro Grand Splendid Sentimiento Gaucho, il primo spettacolo di tango con l'orchestra Roberto Firpo. È un anno chiave. Il tango esalta la sensualità del movimento nello spazio stretto, apre a un nuovo modo di giocare a pallone, al calcio “criollo”, che si gioca nei cortili col dribbling elevato ad arte. Cambia il modo in cui un'intera nazione pensa a se stessa attraverso il calcio. E proprio in quel 1924 all'Huracan debutta un giovane attaccante che in un quarto di secolo riscriverà la storia: Guillermo Stabile, ma tutti lo chiamano il Filtrador.

Il Filtrador – Figlio di mamma criolla e padre italiano, figlio soprattutto del barrio di Parque Patricios, coglie subito l'occasione. È il 30 marzo 1924, allo Sporting Barracas l'Huracan batte il Boca Juniors 2-0: Guillermo non segna, ma è fondamentale nell'azione del secondo gol. Per la storia basta aspettare un anno: vince il titolo nel 1925 e si ripete nel 1928, con 28 gol in stagione, 10 solo nelle ultime quattro partite. Il resto è storia. È un posto al Mondiale e un esordio da “sliding doors”. Roberto Cherro, oro olimpico due anni prima, che quell'anno sarebbe diventato capocannoniere con un primato di reti durato più di 70 anni al Boca Juniors, ha un attacco di panico. Non può giocare per il resto del torneo. Stabile lo sostituisce contro il Messico e impiega 8 minuti ad iniziare la sua prima tripletta al Mondiale. Non è la prima assoluta nel torneo, due giorni prima lo statunitense Bert Patenaude aveva segnato tre gol a Paraguay all'Estadio Parque Central: ma l'ufficialità arriverà mezzo secolo dopo, quando era già morto. Da lì, i fotogrammi sono chiari. La finale con due palloni, il passaggio al Genoa, poi al Napoli col primo divo, Attila Sallustro, i tanti infortuni, l'arrivo a Parigi al Red Star, la squadra di Jules Rimet che aveva voluto anche Helenio Herrera. Inizia da allenatore-giocatore e nel 1939, mentre la Germania si prepara a invadere la Polonia, viene chiamato sulla panchina dell'Argentina. Niente sarà più come prima.

Il primo trionfo – Arriva al posto di Ángel Fernández Roca, che ha appena alzato la Copa Roca e non capita proprio tutti i giorni di andare a vincere 5-1 al Sao Januario di Rio de Janeiro contro il Brasile. Resterà per 19 anni e 123 partite: ne vincerà 85. In due anni, festeggia il primo Campeonato Sudamericano, che dal 1975 si chiamerà Copa America. Si gioca ancora col formato originario, a girone unico. L'Argentina batte 6-1 l'Ecuador con cinque gol di Juan Andrés Marvezzi, miglior bomber di sempre del Tigre con 101 reti e una carriera finita a 28 anni, che eguaglia il primato nella manifestazione di Héctor Scarone. Arrivano poi le vittorie su Uruguay e Cile, che ospita quell'edizione extra per celebrare il quattrocentesimo anniversario della fondazione di Santiago. L'Argentina, squadra migliore della manifestazione, non replica il successo l'anno successivo: battono l'Ecuador 12-0, ancora oggi il successo più largo nella storia della Copa America, ma si fermano contro l'Uruguay.

La Maquina – Tra il 1941 e il 1946 il River Plate cambia il calcio d'Argentina.Sono gli anni della Maquina, di un quintetto d'attacco senza precedenti: c'erano Adolfo Pedernera, modello di Di Stefano, Juan Carlos Muñoz, che si allenava prendendo lezioni di tango per sviluppare il senso del ritmo, Ángel Labruna, Félix Loustau e José Manuel Moreno: sono le loro gigantografie che accolgono i tifosi all'entrata del museo dei Millonarios. “Adesso la gente dice che ha visto Maradona” raccontava Francisco Varallo, l'ultimo dei sopravvissuto della squadra finalista al Mondiale del 1930, “ma io ho visto Moreno e, per me, lui viene prima”. È uno di quei calciatori che gioca per passione, che passa le serate al bar, che nel 1952 rifiuta un ricco contratto al Nacional di Montevideo, quasi gratis, perché lì giocano i suoi amici, che nel 1961 allena il Medellin, in Colombia, e un giorno si toglie la giacca, scende in campo a 45 anni, segna due gol e ribalta la partita contro il Boca Juniors. È un giornalista del Grafico, Borocoto, che inventa quella definizione di Maquina per quella squadra.

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La tripletta 1945-47 – L'incorreggibile bohemian Munoz e Loustau firmano il titolo sudamericano del 1945. L'anno successivo si gioca un'altra edizione “extra”, in casa. Il clima politico sta cambiando, il colonel Juan Domingo Peron è appena stato eletto presidente, ma l'effetto non cambia. Labruna segna cinque gol in cinque partite, ma è Pedernera il miglior giocatore della manifestazione. Il meglio, però, deve ancora venire. Nel 1947 Tomas Adolfo Dico, direttore tecnico dell'Argentina Football Association, deve risolvere un problema non da poco. All'epoca gli allenatori delle nazionali non sceglievano i giocatori, per quello c'era una commissione tecnica. Ma l'Argentina sovrabbonda di talenti, e Duco vuole evitare favoritismi. Così organizza un plebiscito popolare. Una nazione di commissari tecnici può scegliere la rosa dell'Albiceleste per il Campeonato Sudamericano. Il popolo esclude Rinaldo Martino, che ha appena vinto lo scudetto in Italia con la Juventus, Vicente del Mata, che forma il tridente d'attacco dell'Independiente con Antonio Sastre e Arsenio Erico, e due dei componenti storici della Maquina, Labruna e Pedernera. Nel classico 2-3-5, la “piramide di Cambridge”, la nazione vota in attacco per Rene Alejandro Pontoni del San Lorenzo, Mario Boye del Boca Juniors e per la star dell'Huracan Norberto “Tucho” Mendez. C'è anche un giovane Alfredo Di Stefano, che nella prima partita inizia in panchina.

Trionfo da record – L'Argentina vince sei partite su sette, segna 28 gol e ne subisce solo quattro. Nessuna nazionale era mai riuscita, e nessuna ci riuscirà dopo, a vincere il titolo per tre volte di fila. Quattro assi di un colore solo festeggiano la tripletta in albiceleste. C'erano già dal 1945 Lostau, Pontoni, Boye. C'era soprattutto “Tucho” Mendez, il miglior cannoniere di sempre in Copa America, che in quelle tre edizioni di reti ne ha segnate 17, compesa la doppietta nel 9-1 alla Colombia e una devastante tripletta al Brasile. Nessuno saprà fare meglio in così poco tempo: Zizinho dovrà giocare sei edizioni tra il 1942 e il 1957 per eguagliare il suo primato.

Mendez star – Stabile ne farà il perno del suo Racing Club, insieme a Llamil Simes, Ezra Sued e “El Atómico” Boyé, che diventa fra il 1949 e il 1951 la prima squadra “tricampeon” d'Argentina. Mendez diventa un'icona popolare. Partecipa al film Con los mismos colores (recitano anche Di Stefano e Boyé) scritto da Borocotó, il giornalista che aveva coniato “La Maquina”. Nel 1953 gli dedicano anche una canzone. “Tucho Méndez / en las canchas fue creciendo; Tucho Méndez / con sus sueños convivió; Tucho Méndez / fue paseando por el mundo / ese arte tan profundo / que en un crack lo convirtió” recita il ritornello (Tucho Mendez / è cresciuto nei campetti; Tucho Mendez / ha vissuto coi suoi sogni; Tucho Mendez / ha portato per il mondo / questa arte sì profonda / che in un crack la trasformò”).

Il glorioso '55 – L'Argentina sta cambiando ancora, ma Stabile non smette di vincere. Nel 1955, in Cile, trionfa senza perdere nemmeno una partita. Davanti, ha tutta la linea offensiva dell'Independiente: Mono Bonelli, Rodolfo Micheli, capocannoniere del torneo con 8 gol, Carlos Cecconato, Ernesto Grillo, e Osvaldo Cruz. Nel 1956, l'Argentina finisce terza, battuta dal Brasile con un tiro dalla distanza nel finale della leggenda del Corinthians Luizinho. È la prima volta dal 1922 che l'Albiceleste perde contro i verdeoro nel torneo, e la prima sconfitta di Stabile da allenatore nel Campeonato Sudamericano dal 1945.

Los Carasucias – Sta preparando, però, l'ultimo grande trionfo in albiceleste. Forgia la nazionale dei giovani, Los Carasucias, gli angeli dalla faccia sporca: Sívori, Corbatta, Maschio, Angelillo e Cruz. Il dominio è scritto nei numeri: 8-2 alla Colombia, 3-0 all'Ecuador, 4-0 all'Uruguay, 6-2 al Chile, 3-0 al Brasile di Brandao, di Vava e Didi (che aveva segnato già 8 reti ma viene cancellato dal campo dalla marcatura di Nestor Rossi). Il resto è storia. Un anno dopo, a quel Brasile si aggiunge Pelè e il mondo si inchina al suo Rey. In Svezia l'Argentina naufraga, comincia un'altro calcio. Finisce l'era di “mister Copa America”.

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