Dopo oltre 40 anni l’Ungheria è a un passo dal sogno
C’era una volta la nazionale di calcio più forte del mondo e veniva da un paese europeo piccolo e orgoglioso. Sembra l’inizio di una favola utopica e invece era la realtà. Quella nazionale era l’Aranycsapat, la Squadra d’Oro che non perse dal 4 giugno 1950 al 30 giugno 1954. Peccato che quel giorno si disputava la finale dei Mondiali di calcio di Svizzera 1954, persa contro la Germania Ovest in rimonta per 3-2.
Oggi i ragazzi del ct Storck non sono ovviamente al livello di quella grande squadra ma stanno facendo sognare un’intera nazione dopo 44 anni. Tanti ne sono passati dall'ultima partecipazione all'Europeo nel '72, un digiuno convogliato in un grande entusiasmo e in un gioco pieno di passione, magari non eccelso, ma di sicuro redditizio che ha portato ad una vittoria inaspettata contro gli ex vicini-padroni di casa dell’Austria e il pareggio contro l’Islanda.
In Ungheria non solo c’è stata una delle più grandi squadre della storia del calcio, ma è a tutti gli effetti una delle culle del calcio che conosciamo. Negli anni ’20 e ’30 del Novecento in Inghilterra, dove il calcio è nato e si è diffuso nel mondo, intorno al Rio de La Plata, con Argentina e Uruguay a dominare il proprio continente e le Olimpiadi, e in Ungheria e Austria sono nate le caratteristiche principali dello sport praticato ancora adesso, che mette insieme corsa, tecnica e posizione e movimenti degli undici calciatori. In Ungheria, allargandosi poi in Austria e Cecoslovacchia, è nato il cosiddetto calcio danubiano, con giocatori bravi nel toccare la palla senza essere leziosi e inefficienti, e con moduli tattici che prediligevano la disposizione razionale ed equilibrata dei calciatori rispetto a schemi sudamericani e inglesi molto più offensivi. Pozzo prenderà soprattutto da quel calcio le lezioni fondamentali per creare la squadra che vincerà due Mondiali consecutivi nel 1934 e 1938.
Oggi l’Ungheria non brilla per tecnica individuale dei calciatori, ma la squadra nel suo complesso gioca un calcio arioso e propositivo. In porta c’è un uomo che dimostra anche più dei suoi 40 anni, Király, con la sua tuta grigia che neanche come pigiama in un martedì di febbraio è il caso indossare. La difesa non ha uomini di spicco e gioca semplice, seguendo gli avversari e giocando duro quando serve. Il centrocampo invece è molto interessante. Ci sono due mezzeali di buona corsa e passo elegante come Gera e Nagy, e davanti a loro due mezzepunte frenetiche e tecnicamente valide come Dzsudzsák e Kleinheisler. Questi due calciatori, così simili nell’aspetto e nel gioco da sembrare gemelli, si muovono in continuazione senza dare nessun punto di riferimento alle difese avversarie. Il centravanti poi, doveva essere l’anello debole, mentre Szalai, più di Priskin, sta dando ottime risposte.
Tra le squadre dell’Europeo di Francia l’Ungheria non brilla per un gioco moderno, ma dei suoi grandi allenatori del passato (almeno tre nomi da fare: Lajos Máriássy, il padre concettuale del gioco danubiano, Imre Hirschl, l’uomo che “accese” La Maquina del River Plate, Bela Guttmann, l’allenatore che creò la dinastia Benfica degli Anni ’60 e andò in Brasile facendo immaginare agli allenatori indigeni un modulo che esaltasse la classe dei loro calciatori. Da lì il 4-2-4 che divenne il marchio di fabbrica di un’altra, se non “la” squadra più forte di tutti i tempi) ha preso arguzia tattica e movimenti sempre equilibrati. Nessuno avrebbe scommesso un euro sul suo passaggio del turno, eppure ci sono ormai riusciti. (articolo di Jvan Sica)