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Dalla parte dei calciatori: lo sciopero è stato legittimo e doveroso

Tutti attaccano i calciatori, quali unici colpevoli dello sciopero, mentre c’è chi continua a coltivare i propri interessi a discapito dell’intero sistema. Perchè è più comodo avere il capro espiatorio servito su un vassoio d’argento che risolvere i problemi una volta per tutte.
A cura di Alessio Pediglieri
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sciopero calcio

Dopo aver provato ad analizzare oggettivamente le ragioni dei calciatori e le ragioni della Lega Calcio, è giunto il momento di dire la nostra. Probabilmente saremo poco popolari e antipopulisti per ció che andremo a dire in queste righe ma proveremo comunque a difendere e a motivare il nostro punto di vista: i giocatori hanno fatto bene a scioperare. Se poi si vuole tirar fuori il discorso da barsport dei ‘ragazzini giovani e viziati' che dovrebbero andare a ‘lavorare in fabbrica a 600 euro al mese', subito prendiamo le distanze da questo luogo comune radicato nel pensiero sociale.

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IL CALCIATORE E' UN LAVORATORE – É un dato insindacabile: anche il meno pagato di tutta la Serie A, messo a confronto con un ‘normale‘ lavoratore, è un privilegiato a 360 gradi, che vive una realtá ‘distorta‘ di fronte alle problematiche economiche e sociali del Paese. Ma è altrettanto vero che un giocatore di Serie A é prima di tutto un professionista, inteso come un lavoratore a tutti gli effetti, che ha firmato un contratto, figlio di una contrattazione tra due parti consenzienti, e che – lavorando in uno Stato che è membro dell'Unione Europea – é tutelato dalle leggi del singolo Paese e da quelle Comunitarie. Non importa quanto un ‘lavoratore‘ guadagni: in quanto lavoratore ha il diritto di vedere tutelati i propri diritti. E non ci scusiamo in questo caso del facile gioco di parole.

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LO SCIOPERO HA FERMATO LE PARTITE, NON IL CALCIO
Prima strumentalizzazione.
Lo sciopero del calcio non è stato lo sciopero del calcio. L'aveva detto bene Damiano Tommasi, uomo e giocatore di indubbia moralità ancor quando calcava i campi di gioco e difendeva i colleghi che guadagnavano molto meno, mettendosi anche al minimo sindacale di stipendio. "Lo abbiamo detto nei giorni scorsi, lo ribadiamo oggi: senza firma del contratto collettivo i giocatori non scenderanno in campo sabato e domenica. Un minuto dopo la sigla dell'accordo noi siamo pronti a giocare.Ma quel che è successo in questi due giorni è lampante, qualcuno non voleva che si giocasse". E a buon intenditore, poche parole: quel ‘qualcuno‘ non erano certo i giocatori, oramai tutti rientrati dalle vacanze e a servizio dei vari club per gli imminenti impegni sportivi. Quel ‘qualcuno‘ – che sottolineiamo nessuno ha mai voluto smentire ufficialmente – sono alcuni presidenti e determinate societá che hanno usufruito dello sciopero per continuare indisturbati il proprio calciomercato le contrattazioni, senza che alcun risultato ufficiale facesse lievitare o scendere le valutazioni dei giocatori. Lo ‘stop‘ è servito o servirà a recuperare gli infortunati o a rimettere insieme i cocci dopo i primi cocenti fallimenti (Udinese, Palermo e Roma in primis), prima che si inizi a fare davvero sul serio senza poi poter avere altri alibi. Non diciamo che è la Lega che ha voluto lo sciopero, ma di certo molti presidenti non hanno storto il naso davanti all'eventualità. Visto che il ‘sistema calcio' comunque non si è per nulla fermato, anzi.

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CALCIATORI COME CAPRI ESPIATORI, MENTRE I PROBLEMI SONO ALTRI
Seconda strumentalizzazione.
"La posizione della Lega non è cambiata – ha detto Beretta -. Abbiamo chiesto di integrare il contratto collettivo con due commi negli articoli 4 e 7. Non c'è margine per trattare. L'Aic decidendo di non scendere in campo si è assunta una responsabilità gravissima". Quale responsabilità? Quella di scatenare contro i giocatori l'opinione pubblica, la denuncia del CODACONS nonchè l'ira dei tifosi che, ovviamente, hanno indicato nei soliti giocatori ricchi e viziati il ‘vero e unico‘ male di queso calcio, ‘condizionati‘ dal classico luogo comune che li vede carnefici principali di una passione che al contrario è minata non da 90 minuti non giocati ma da una pessima gestione oramai pluriennale che ha messo in ginocchio ‘l'impresa calcio‘.
Alcuni dati oggettivi? Vediamo velocemente i veri problemi del nostro calcio. Manca una legge Per gli stadi di proprietà, il nostro campionato non riesce piú ad essere esportato all'estero con una vendita dei diritti tv fuori dai confini, quasi a zero; la Lega continua le sue riunioni ‘condominiali‘ fatte di litigi e divisioni; la Federcalcio soffre di gigantismo insostenibile, con ben 119 club ‘pro‘; il merchandising dei club è in mano ai falsari e il marketing è di serie B; lapiaga delle scommesse e del gioco illegale è sommersa ma sempre presente e l'indebitamento netto dell'intero sistema è oramai salito a 600 milioni.
In tutto questo, che colpa hanno i giocatori?

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ANCHE CHI GUADAGNA TANTO HA GLI STESSI DIRITTI DI TUTTI
Terza strumentalizzazione.
Ritorniamo sullo ‘status‘ del giocatore moderno. Se Eto'o è lo sportivo più pagato al mondo con 2 mila euro l'ora non sará certo colpa sua, non ha rubato nulla, non ha costretto nessuno a firmare un contratto di 20,5 milioni netti a stagione. Ciò non toglie allo stesso giocatore – preso in questo caso da mero esempio – alcun diritto basilare in quanto è un cittadino tutelato dalle leggi sul lavoro. E l'invidia per gli altissimi guadagni non puó essere di certo un motivo per dargli contro. Stesso dicasi per chi in Serie A è arrivato a costo di sacrifici e rinunce e che si trova, suo malgrado, coinvolto in situazioni societarie che vanno al di lá della propria volontá divenendo una costante pedina di mercato, tra prestiti, cessioni e comproprietà che ne condizionano vita e rendimenti. Nessuno statuto lavorativo puó permettere ad un datore di poter insindacabilmente determinare le sorti di un proprio dipendente in base alle sue esclusive esigenze o simpatie e anche un calciatore ha il diritto di potersi opporsi ad un trasferimento o ad una ridiscussione di contratto senza avere il timore di venire vessato o ‘mobbizzato‘ se di parere diverso dalla propria società. I casi di Pandev e di Ledesma nella Lazio di Lotito o di Marchetti nel Cagliari di Cellino sono stati sotto gli occhi di tutti e sono alcuni dei motivi di discussione dell'art.7 del contratto.

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LA LEGA E I PRESIDENTI NON HANNO RISPETTATO GLI ACCORDI
Quarta strumentalizzazione.
La gogna dell'opinione pubblica verso i calciatori, mentre proprio all'interno del mondo del calcio si conoscono per bene i veri colpevoli: i presidenti. Ma nessuno lo dice. A confermarlo non siamo noi ma lo stesso Abete. L'attacco all'atteggiamento di alcuni presidenti di società non si è lasciato attendere all'indomani dello sciopero: "Purtroppo siamo molto provinciali. Il calcio italiano è all'interno del circuito internazionale di Uefa e Fifa: pensare che le idee del singolo possano modificare il sistema mondiale significa essere fuori dal mondo e avere una mentalità provinciale. Ci sono delle verità. È incontrovertibile dire che una delle due parti non ha rispettato l'accordo. Poi si è creato un problema kafkiano relativo al contributo di solidarietà. Si è creata una sorta di caccia all'untore: in un paese che vive un momento di grande difficoltà, chi ha uno stipendio alto viene messo all'indice e chi ha di più viene visto come un privilegiato.
Sarà la legge, qualora la tassa permanesse, a stabilire chi la pagherà. L'asse dell'opinione pubblica è stata spostata sul tema economico, ma questo sciopero non ha ragioni economiche". Il riferimento è alle societá colpevoli di aver ritirato la parola data. I calciatori che hanno mandato in fumo la prima giornata di campionato hanno ragione. "La Lega non ha rispettato gli impegni presi" ha affermato Abete.

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LA CONDANNA DELLA FIGC CHE APPOGGIA I CALCIATORI
Per logica, la Federcalcio avrebbe dovuto appoggiare le scelte della Lega Calcio, per spirito corporativo almeno davanti all'opinione pubblica e alla stampa. Invece, il presidente federale Giancarlo Abete ha pubblicamente accusato i presidenti di Serie A che hanno portato i calciatori a questo ‘stop‘ forzato. Una situazione paradossale che dimostra ancor più l'imbarazzante momento del movimento calcistico italiano. "Questo sciopero è assolutamente incredibile – ha concluso il presidente federale – Una delle due problematiche su cui si basa non ha alcuno spessore: l'interpretazione dell'articolo 7 (che le societá vorrebbero modificare, ndr) è presente da 25 anni e ha  provocato solo pochi contenziosi per mobbing. Tutti i giocatori hanno diritto di essere allenati in modo che venga salvaguardata la loro professionalità. Essendosi allargate le rose nel corso degli anni, è chiaro che ci sono equilibri che variano da società a società, ma questo irrigidimento sull'articolo 7 è eccessivo: l'accordo in materia era stato raggiunto il 7 dicembre, è sufficiente leggere la rassegna stampa del giorno dopo. Poi la Lega ha cambiato idea: è legittimo farlo, ma è anche giusto dire che non ha rispettato gli impegni presi”.

A voi i commenti…
(3 – fine)

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