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Da Sarri ad Ancelotti, Napoli abbandona la grande bellezza per un calcio meno visionario

Per uscire dalla prigionia del sogno, il Napoli abbandona la grande bellezza sarriana. Carlo Ancelotti, dopo l’esonero al Bayern Monaco, arriva a Napoli per soddisfare un desiderio di riscatto. Rispetto a Sarri, la rivoluzione nello stile è totale. Negli ultimi anni è stato un grande gestore di uomini. A Napoli dovrà tornare a progettare.
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Napoli, hanno scritto il sociologo Amedeo Zeni e lo storico Angelo Frungillo, sembra avere perennemente bisogno di un messia salvifico. La Napoli innamorata per un triennio di Maurizio Sarri e della sua scienza in tuta, troveranno in Carlo Ancelotti la nuova incarnazione dell'uomo venuto a condurli sui terreni della gloria. Ma la squadra e il tecnico a torto considerato troppo buono con i calciatori, convinto che non bisogna per forza dire parolacce per essere credibili e vincenti, dovranno venirsi incontro perché si possa proseguire lungo lo stesso percorso in direzioni diverse.

Ancelotti come l'operazione Benitez

“Quando s’ingaggia un leader è fondamentale che la persona che lo arruola sappia esattamente che compito intende affidargli: mantenere la cultura già esistente o fondarne una nuova?” ha scritto nel suo libro, Leader Calmo, scritto con l’esperto di management Chris Brady e con il suo ex collaboratore Mike Forde. Le vittorie, le sconfitte, le passioni dei tifosi, girano tutte intorno alla risposta a questa domanda. La scelta di Ancelotti richiama, pur nella diversità dello status acquisito dal Napoli, le condizioni dell'arrivo di Benitez cinque anni fa. Due tecnici dal profilo internazionale non sindacabile, in una fase di carriera a metà del guado. Lo spagnolo arrivava da una stagione fin troppo tesa al Chelsea: aveva vinto l'Europa League ma con i tifosi la rottura aveva raggiunto livelli non più sostenibili.

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Ancelotti, che si è evoluto da integralista della zona a flessibile a gestore di stelle e di caratteri, ha visto la reputazione adombrarsi a Monaco di Baviera nel confronto con l'eredità di Pep Guardiola. Di fronte all'illuminatore carismatico, a una visione tattica alimentata da incrollabili principi, mutevoli interpretazioni e chiare, specifiche istruzioni individuali, il suo 4-3-3 più tradizionale ha assunto la forma, per dirla con l'ex portiere Kahn, di un calcio senza idee tattiche. E la perdita di autorità si è, naturalmente, per osmosi tradotta in una faglia tra le intenzioni e la resa della squadra.

Leader calmo

Il passaggio dal guardioliano Sarri a Carlo Ancelotti ha qualcosa di simile. Anche se, rispetto a Monaco e a Guardiola, la differenza salta agli occhi: in Baviera il desiderio di vittoria non si scinde mai del tutto dal rispetto dello “stile Bayern”, quell'identità profonda e radicata che il club considera il suo asset più prezioso. Napoli cerca un condottiero che affermi un posto nel mondo, che guidi al successo come una forma di riscatto.

Napoli è pronta da sempre allo spirito di adattamento, perché è sempre stata la Napoli mille colori di Pino Daniele. Si innamora ma non si lega a un'idea. È, come ha scritto Erri de Luca, “monarchica e anarchica. Voleva un re però nessun governo. Era una città spagnola”. E lo è ancora, nel respiro di un'antica capitale che condivide il respiro di Barcellona e lo spirito del tempo. In questa Napoli che puoi “tradire se non hai vergogna ma non prendere per il c…”, come ha detto De Laurentiis, nella Napoli unica città che dai nazisti si liberò da sola, il leader calmo arriva per plasmare un'identità senza ignorare il brand della società.

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“Certo, perché si crei questa sintonia può essere anche che l’allenatore faccia cambiare l’approccio del club, ma è più facile il contrario, ovvero che sia il coach a sintonizzarsi: a meno che, ovvio, la stessa società non voglia un grande rinnovamento o ci siano buoni motivi per abbandonare le vecchie convinzioni”, scrive. “Se, ad esempio, un importante club vuole spezzare il monopolio del suo più grande rivale e crede che l’unico modo sia assoldare un allenatore che ha già avuto successo altrove, può decidere di ignorare il fatto che questi non sia molto in sintonia con la cultura societaria, perché la priorità assoluta è vincere”. Valeva per il Real Madrid dei Galacticos, vale in scala minore per il Napoli di De Laurentiis.

Il valore della progettazione

“Nel calcio, le chiavi della gestione di un giocatore sono le fasi fondamentali del ciclo del talento: reclutamento, integrazione (onboarding), crescita e successione” ricorda nel libro Ancelotti. A questi quattro assi è chiamato a tornare. La sfida del Napoli lo riporta un po' alle origini. La storia recente l'ha incoronato come un tecnico che valorizza gli uomini nel segno della logica, della normalità razionale. Un tecnico che viene, vede, vince: a Madrid, a Londra, a Parigi, a Monaco il primo anno. Napoli avrà bisogno del primo Ancelotti, di un tecnico che sappia progettare con l'orizzonte nel medio-lungo periodo, che costruisca sapendo rinunciare alla perfezione.

Dalla rigidità alla fluidità: due modi di vedere il 4-3-3

“Il mio dogma” diceva Ancelotti, “è: 4 difensori e 3 centrocampisti. Hai più copertura al centro e più varianti in attacco rispetto al 4-4-2, che è più prevedibile. Poi, se usi una o due punte, è meno importante”. Cerca la superiorità numerica, non lo affascina il gioco di posizione ma l'occupazione degli spazi di mezzo con le ali che rientrano e i terzini che salgono. Le sue squadre ricercano il pressing sull'uomo, si adattano allo spirito e agli avversari. Al Real, ha costruito lo spartito della decima Champions League grazie a Toni Kroos e ai due ponti che uniscono le linee, Sergio Ramos e James Rodriguez, trequartista con libertà di muoversi piazzato in partenza come interno sinistro in fase difensiva e ala in fase offensiva. In due hanno aggiunto stabilità alla vocazione offensiva dei blancos. Al Bayern è passato dal 4-3-3 al 4-2-3-1 in base alle esigenze e ai risultati, certo di una rosa a disposizione con il talento necessario a interpretare le differenti configurazioni.

Un esempio del calcio di Ancelotti al Bayern: la rete di passaggi contro l'Amburgo nell'ottobre 2016
Un esempio del calcio di Ancelotti al Bayern: la rete di passaggi contro l'Amburgo nell'ottobre 2016

Che Napoli sarà

A Napoli, in questa che è comunque una fase di passaggio, il reclutamento torna ad essere centrale. La società certamente ha obiettivi ambiziosi, vuole uscire da un senso di minorità nei confronti della Juventus, ma per questo non basta solo cambiare il nome dell'allenatore. Il tecnico, che ha adattato e plasmato Pirlo, Seedorf, Di Maria o Isco, nella rosa attuale può pescare almeno un paio di gioielli. Può investire sulla consapevolezza di Ghoulam e Koulibaly, può far evolvere Callejon in modo che esca dal binario di ala classica e sul senso dello spazio di Insigne, perfetto ponte fra le linee.

In mezzo, ha la possibilità, e magari il privilegio, di formare l'identità di Diawara, che può far tutto e diventare ancora regista o mezzala di corsa e possesso. Nel suo approccio ibrido possono convivere Milik e Mertens, possono stabilizzarsi le fondamenta di un cambiamento duraturo. Ancelotti, scriveva Giorgio Tosatti, “offre un rendimento di straordinaria regolarità: le sue squadre vanno quasi sempre vicine al massimo traguardo: o vincono o arrivano seconde”. Per uscire dalla prigionia del secondo posto, serve un percorso condiviso e una crescita di visione e di gestione. In campo e fuori.

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