Champions League, PSG-City, il derby dei Paperoni da 1,5 miliardi di euro
In Francia lo chiamano già “il Golfico”. Psg-Manchester City è il quarto di finale di Champions più ricco di sempre. È il derby dei nuovi ricchi, emiri contro sceicchi, gas contro petrolio Qatar da una parte, Abu Dhabi dall'altra. È il mondo che verrà, la terza guerra del football che conosce solo avversari e nessun rivale, perché i soldi non hanno odore né partito. Una guerra che in fondo, poi, tanto guerra non è: al Parco dei Principi, che diventerà per una sera il giardino dei re, sulle maglie di brahimovic e delle altre stelle del PSG spicca il marchio Emirates, la compagnia di bandiera di Dubai, uno dei sette Emirati Arabi Uniti.
Il PSG e gli Al Thani – Il PSG è il feudo della famiglia Al-Thani. L'emiro Tamim, 35 anni, che nel 2013 è succeduro al padre Hamad, è il più giovane capo di stato nel Consiglio della cooperazione del golfo. Ha studiato in una scuola militare di Londra e, già prima di salire sul trono, dirigeva la Qatar Investment Autorithy (QIA), il nono fondo sovrano al mondo che muove 220 miliardi di euro con partecipazioni in tutto il mondo, tra cui Harrods, Barclays, Lagardère, Volkswagen, Vivendi, Airbus, Vinci, Miramax. La QIA, attraverso il ramo sportivo, il Qatar Sports Investments (QSI), possiede il PSG, al-Jazeera e la sua derivata europea, beIN Sports, che in Francia trasmette sia la Ligue 1, sia la Champions League. Attraverso lo sport, Tamim ha portato il Qatar al centro di una rete di potere, che ha il suo secondo centro nevralgico in Francia: i legami con Sarkozy e Platini hanno aiutato e non poco il Qatar a ottenere il Mondiale 2022, nei modi ormai ben noti. È lui il vero patron del PSG, anche se non compare nell'organigramma del club, formalmente gestito da Nasser al Khelaifi.
Il City: lo sceicco Mansour – Il City ha invece alle spalle l'Abu Dhabi United Group (ADUG), inizialmente considerato un ramo della Abu Dhabi Investment Authority, il princpale fondo sovrano al mondo, con partecipazioni per circa 850 miliardi di dollari. E soprattutto, ha alle spalle lo sceicco Mansour, membro della famiglia reale di Abu Dhabi, vice primo ministro e ministro degli Affari presidenziali. A 45 anni, Mansour è l'uomo più ricco di Abu Dhabi: il suo patrimonio personale è stimato in 25 miliardi di euro. “E' un saggio uomo d'affari” spiega a Le Parisien Fatiha Dazi-Héni, docente e ricercatrice a Science-po Paris, che ha ricavato enormi profitti dal salvataggio della banca inglese Barclays e sul suo yacht monumentale ha accolto Leonardo Di Caprio. “La sua è una scalata tutta personale” ha sottolineato, sempre a Le Parisien, David Rigoulet-Roze, ricercatore all'Istituto Francese di Analisi Strategica (IFAS). “Gli Emirati Arabi Uniti hanno molto meno bisogno del Qatar di far parlare di loro”.
La fortuna del PSG – Dal 2011, gli Al-Thani hanno investito 558 milioni di euro sul mercato e, senza più gli effetti delle sanzioni per le violazioni del fair play finanziario, potrebbero spenderne 300 la prossima estate, secondo la stampa francese. Prima squadra di sempre in Francia ad aver completato la tripletta campionato, coppa nazionale e coppa di lega, l'anno scorso il PSG è salito al quarto posto nella Football Money League, la più alta di sempre per una squadra nel rapporto annuale dell'agenzia Deloitte ormai arrivato alla ventesima edizione. La differenza la fanno i 297 milioni di ricavi commerciali del PSG (62% del totale), che la scorsa stagione ha venduto 1.733.000 magliette, il sesto dato più alto al mondo: e proprio l'anno scorso è iniziata la partnership con Emirates e Nike. Rispetto alle big d'Europa, i diritti tv incidono tutto sommato poco, solo 105.8 milioni, 70 in meno del City, e la metà (56.2) arrivano dalla UEFA per la Champions League.
City record – Dal 2008, quando ha acquistato il City, lo sceicco Mansour ha messo sul mercato poco più di un miliardo di dollari, ma la squadra è solo sesta nell'ultima Money League, seppur con introiti record di 463.5 milioni di euro. Seconda squadra inglese di sempre a superare i 350 milioni di sterline di ricavi, l'anno scorso ha incassato 178 milioni di euro dai diritti tv (+2% rispetto al 2014) e ha visto crescere del 4% i ricavi commerciali, che pesano per il 49% del totale (228.5 milioni). La politica di espansione del brand passa per la creazione di 22 partnership globali e regionali con marchi come SAP, Nissan, Citi e PZ Cussons. Sono diminuiti, invece, i ricavi da botteghino, ma solo per i lavori alla South Stand: dal 2015-16, infatti, l'Etihad, per cui un abbonamento costa 400 euro (1000 in meno che all'Emirates di Londra, 20 in meno che al Parco dei Principi) ha una capienza aumentata del 15% e può contenere fino a 55 mila spettatori, ma c'è in programma un'ulteriore espansione fino a 61 mila posti per renderlo il secondo stadio più grande d'Inghilterra dopo l'Old Trafford.
Un duello politico – Tamim al Thani e lo sceicco Mansour non hanno rapporti personali diversi dagli incontri ufficiali. Rappresentano due posizioni, due mondi, vicini ma diversi: il Qatar è il quarto produttore mondiale di gas naturale secco dopo Stati Uniti, Russia e Iran, Abu Dhabi possiede il 9% delle riserve mondiali di petrolio. La rivalità coinvolge anche il livello politico-religioso, perché il Qatar ha sostenuto per esempio i Fratelli Musulmani in Egitto, e per reazione gli Emirati Arabi, il Bahrain e l'Arabia Saudita hanno ritirato i propri ambasciatori a Doha.
Al Thani, Sarkozy e Platini – Ma è soprattutto a livello politico, nelle tappe di un percorso di costruzione di un'influenza globale, che si misura la differenza di stili e di obiettivi. Un percorso meno evidente nell'operazione che ha portato Mansour al vertice del City, anche se prima del suo arrivo Tony Blair era diventato il consigliere degli Emirati Arabi Uniti, e dal 2008 gli interessi della famiglia reale in Gran Bretagna hanno continuato a crescere. Per gli Al-Thani, invece, lo sport è uno strumento di soft power, la chiave per ottenere riconoscibilità e visibilità. Una chiave che ha spalancato un portone grazie all'acquisto del PSG. Perché è da qui che nasce il “Qatargate”, la rete di corruzioni che ha generato l'assegnazione al Qatar dei Mondiali del 2022. Il 23 novembre 2010, una decina di giorni prima del voto della Fifa, Tamim bin Hamad Al Thani incontra all’Eliseo l’allora premier Nicolas Sarkozy, il presidente dell’Uefa Michel Platini e Sébastien Bazin, che era ancora proprietario del Paris Saint-Germain. È in quella riunione segreta, scrive France Football, che Al Thani si impegna a comprare il PSG, a investire nel gruppo Lagardere e soprattutto a creare beIn Sports per fare concorrenza a Canal+, invisa a Sarkozy, in cambio del pieno sostegno dell’Uefa alla candidatura del Qatar. Il resto è storia.