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Champions League poco competitiva, perché il modello Superlega non è la risposta

L’ECA, l’assemblea dei club presieduta da Andrea Agnelli, punta a una Champions League sempre più chiusa, con partite nei weekend e più posti fissi alle big. Le leghe europee però temono che i campionati nazionali possano perdere appeal, e chiedono meccanismi più equi di redistribuzione delle risorse.
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La Champions League ha un problema? Almeno nella fase a gironi sì, è sempre meno competitiva. Trasformarla in una sorta di Superlega, un giardino riservato quasi solo alle grandi e alle più ricche del panorama continentale, è la risposta? Potrebbe sembrarlo, ma avrebbe conseguenze troppo pesanti di sistema.

L'ECA contro la European Leagues: posizioni a confronto

La European Leagues, l'organizzazione che rappresenta gli interessi delle Leghe nazionali professionistiche in Europa, vuole maggior potere di negoziazione con l'UEFA per indirizzare lo sviluppo della Champions League che dal 2024 potrebbe diventare una competizione per lo più chiusa. “Le competizioni nazionali devono essere alla base delle competizioni internazionali e ci si deve qualificare alle competizioni Uefa attraverso i campionati nazionali. Senza questo, impossibile mantenere l'interesse dei tifosi” ha detto il presidente dell'associazione Lars-Christer Olsson nella conferenza stampa dopo un recente incontro a Madrid. L'ECA, l'associazione dei club europei, e il suo presidente Andrea Agnelli spingono per un progetto simil-Superlega con quattro gironi da otto e le prime cinque comunque qualificate per l'edizione successiva indipendentemente dal piazzamento in campionato.

Un progetto a cui si dovrebbe accompagnare una diversa programmazione con le partite europee nei fine settimana. Al progetto si oppongono i piccoli club e le leghe che temono di vedere svalutati i campionati nazionali. "Non possiamo riformare nulla nelle competizioni europee senza un accordo con le leghe nazionali", ha detto il presidente della Liga spagnola, Javier Tebas. La ECA ha convocato una riunione dei club il 6-7 giugno a Malta.

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Champions sempre meno competitiva

La ricerca di un format più chiuso è la risposta dei grandi club al calo di equilibrio competitivo nella Champions League. Uno studio di febbraio del Football Observatory del CIES indicava come dal 2003-04 è costantemente aumentata la media punti delle squadre che hanno concluso la fase a gironi al primo posto (l'analisi suddivide le sedici stagioni in quattro quadrienni), mentre sono progressivamente diminuiti i punti a partita delle formazioni all'ultimo posto nei rispettivi gruppi. I risultati delle partite nella fase a gironi, poi, sono diventati via via più prevedibili, con un divario crescente: tra il 2015 e il 2018 quasi un quarto delle sfide della prima fase si sono chiuse con tre o più gol di scarto.

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L'equilibrio competitivo non è un elemento secondario per una competizione come la Champions League, in cui le risorse suddivise tra le squadre dipendono dalla cessione dei diritti televisivi. L'incertezza sul risultato, insieme alla presenza di campioni o squadre di grande richiamo, rimangono due fattori che indirizzano in maniera decisiva le scelte di chi la competizione la guarda da casa, in televisione.

Più soldi e più punti per le big

Nel 1999 due studiosi americani con una visione liberista dell'economia dello sport come Hoehn e Szymanski intuivano che gli introiti della Champions League fossero destinati a crescere a detrimento dell'equilibrio competitivo dei campionati nazionali. Questo, scrivevano, avrebbe portato le squadre più grandi, che abitualmente si qualificano per la Champions, ad investire di più in talenti (e dunque sul mercato), mentre “le squadre più piccole nelle competizioni nazionali restano indietro e i campionati nazionali diventano sempre più squilibrati. Quanto più si ricerca l’equilibrio competitivo, tanto più velocemente si distrugge il valore del campionato nazionale” (“The Americanization of European Football”, Economic Policy).

È un anno chiave, l'ultimo del secondo millennio. La Champions si allarga a 32 squadre, aumentano anche i fondi complessivi per le squadre. Nel medio-lungo periodo  il flusso di ricavi che derivano dalla partecipazione alla Champions League si traduce in una crescente concentrazione di punti, nei cinque principali campionati europei, per le squadre nei primi posti della classifica. Il minore equilibrio competitivo porta spesso le stesse formazioni a qualificarsi anno dopo anno, e a rinforzare una posizione dominante.

L'evoluzione dei ricavi nelle cinque principali leghe europee
L'evoluzione dei ricavi nelle cinque principali leghe europee

Le due esigenze della UEFA

Il presidente della UEFA, Aleksander Ceferin, ha più volte fatto riferimento alla necessità di incentivare l'equilibrio competitivo come a un obiettivo primario della sua gestione. Tuttavia, come scriveva David Conn sul Guardian a marzo del 2018, “l'UEFA vive un conflitto interno: è l'organismo che governa l'intero calcio europeo e allo stesso tempo è l'organizzatore commerciale del torneo che distribuisce 1,3 miliardi di euro di prize money, in gran parte a poche squadre dell'elite europea”. Un torneo nel quale, dal 1995, il 64% dei 44 posti in finale si è concentrato in sei squadre:Manchester United, Barcellona, Real Madrid, Bayern Monaco, Juventus e Milan.

Da un lato, è comprensibile che le big vogliano continuare a sfidarsi tra loro, e anzi farlo con ancora maggiore frequenza. È una risposta agli effetti negativi del calo di equilibrio competitivo, e di appeal, non nuova. Nel 1988 l'allora numero 1 del tennis mondiale, lo svesede Mats Wilander, sostenne l'esigenza di riformare il calendario per dar modo ai top player di incontrarsi più volte nel corso della stagione. Nacque così la categoria di tornei che oggi si chiamano Masters 1000, in cui rientrano anche gli Internazionali d'Italia di Roma: nove eventi in cui i tennisti al vertice della classifica sono iscritti di diritto.

Dall'altro, l'organizzatore dell'evento si trova a compenetrare esigenze diverse. Spesso con soluzioni di compromesso che non risolvono le disuguaglianze economiche, che spesso, anche se non automaticamente, si traducono in un maggiore disequilibrio in campo.

Le possibili strategie

Una di queste soluzioni è il fair play finanziario, che ha finito per produrre effetti contrari alle motivazioni della sua introduzione consolidando le differenze fra le società. Un'altra è la creazione del market pool, per cui una quota del prize money della Champions League viene distribuito non in base alle effettive prestazioni ma all'importanza della nazione di appartenenza, e dunque del mercato di riferimento, di ciascuna squadra. Di fatto anche la modifica dei turni preliminari, con la garanzia di cinque posti per le squadre che hanno vinto in campionati “minori” ha permesso a queste formazioni un affaccio più che altro occasionale al grande calcio europeo ma non ha prodotto effetti positivi e duraturi dal punto di vista della competitività.

Anche la riforma dei meccanismi di distribuzione dei proventi introdotta quest'anno mantiene una rendita di posizione: riduce la percentuale dei ricavi complessivi destinata al market pool ma allo stesso tempo introduce una nuova graduatoria basata sui risultati degli ultimi dieci anni da cui dipende l'assegnazione del 30% del prize money.

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Le proposte della European Leagues

La quota di mutualità non basta certo a bilanciare, e certo sarebbe auspicabile ma non realisticamente praticabile una ridefinizione più equa dei criteri di redistribuzione delle risorse derivanti dai diritti televisivi nei principali campionati europei. Altrettanto irrealistica, seppur vantaggioso in termini di equilibrio competitivo, appare una riduzione delle squadre partecipanti alla Champions.

La tentazione della Superlega potrebbe dare nell'immediato un vantaggio alle big ma nel modello europeo di sport, centrato su promozioni e retrocessioni e non su un limitato numero di franchigie come le leghe americane, l'oligopolio non è un modello sostenibile. Perché aumenta il rischio di indebitamento delle squadre in un contesto di campionati nazionali meno equilibrati e meno interessanti.

Lo scorso ottobre l'assemblea delle Leghe Europee ha proposto, oltre alla creazione di una terza competizione UEFA, la riduzione del divario nella proporzione del montepremi fra le coppe e l'eliminazione di quei criteri in base ai quali una parte consistente del prize money viene assegnato non in base alle prestazioni. Sarebbe già un bel passo avanti. Molto più del modello Superlega.

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