Champions, finale Juventus-Barcellona: per fortuna non è solo questione di soldi
Los de afuera son de palo, quelli di fuori non contano. Il messaggio di Obdulio Varela, entrato ormai nella letteratura classica dello sport, può servire ancora. Può servire soprattutto alla Juve scendere in campo a Berlino con la convinzione che tutto quanto sia fuori dal terreno di gioco, non conti, che la finale contro il Barcellona non si decide col prestigio, con la storia e soprattutto con il fatturato. Altrimenti, non si dovrebbe nemmeno cominciare.
Palmares – Le squadre più titolate di Italia e Spagna, Juve e Barcellona si preparano per l’ottava finale di Coppa Campioni/Champions League. Ma le analogie praticamente finiscono qui. I bianconeri, che Luis Enrique ha esaltato alla vigilia, cercano di evitare di diventare la prima squadra nella storia a perdere sei finali, i blaugrana potrebbero riuscire nell’impresa senza precedenti di completare per due volte il “triplete”. Il Barça che ha festeggiato lo scudetto numero 23 si presenta a Berlino con lo status sempre più forte di squadra più titolata di Spagna (67 trofei): vanta anche 27 Coppe del Re, l’ultima suggellata dal gol capolavoro di Messi, 2 Coppe di Lega spagnola, 11 Supercoppe di Spagna e 4 Coppe Eva Duarte, l’antica supercoppa. Ha il tridente d’attacco più prolifico di sempre, la Pulce, Neymar e Suarez hanno segnato 120 gol in tutte le competizioni (battuto il record delle 118 reti di Karim Benzema, Cristiano Ronaldo e Gonzalo Higuaín per il Real Madrid nel 2011/12), ma ha perso più finali internazionali di ogni altra squadra, 12.
La Juve, che torna in finale di Champions per la prima volta dal 2005, rigore di Shevchenko al Teatro dei Sogni, resta l’unica squadra al mondo ad aver vinto almeno una volta tutti i trofei ufficiali messi in palio dalla confederazione di appartenenza. Con 58 titoli, e la stella d’argento appena conquistata per la decima Coppa Italia, la Juve è il secondo club italiano, il quarto in Europa, per vittorie e potrebbe diventare la settima a completare la tripletta scudetto-coppa nazionale-Coppa Campioni o Champions League dopo Celtic (1967), Ajax (1972), PSV Eindhoven (1988), Manchester United (1999), Barcellona (2009), Inter (2010) e Bayern Monaco (2013).
Precedenti – Per i bianconeri, la finale di Berlino rappresenta la sfida numero 45 contro una squadra spagnola: il bilancio registra 15 vittorie, 11 pareggi, 18 sconfitte. Un precedente in meno contro le italiane per il Barcellona, l’ultimo nella fase a gironi dell’anno scorso contro il Milan di Allegri: il 3-1 in casa rappresenta il 22mo successo blaugrana, l’1-1 del ritorno a San Siro il 13 pareggio. Otto le sconfitte, esattamente come i confronti con la Juve. La serie di quattro doppie sfide inizia con la doppia vittoria juventina nei sedicesimi di Coppa delle Fiere 1970-71. Haller e Bettega firmano il 2-1 al Camp Nou (Marcial accorcia), replicato al ritorno ancora con Bettega e Capello. Si ritrovano nei quarti di Coppa dei Campioni 1985-86. La Juve campione in carica tiene bene in Spagna, ma deve arrendersi al gran tiro dalla distanza di Julio Alberto. Al Comunale è Archibald di testa a gelare il pubblico juventino alla mezz’ora.
Alla Signora servirebbero tre reti, ma arriva solo il pareggio pregevole di Michel Platini. Sfortunata anche la semifinale di Coppa delle Coppe 1990-91 per la Juve di Maifredi. Casiraghi sblocca all’andata al Camp Nou, ma i blaugrana di Crujff dilagano nella ripresa: uno due micidiale griffato Stoichkov e gran tiro dalla distanza di Goicoechea. Al Delle Alpi non basterà la splendida punizione di Roberto Baggio. Scenario diverso per l’ultima sfida ufficiale, i quarti di Champions edizione 2002-2003. La deviazione di Montero sembra mettere il match nella giusta direzione per la Juve, ma nel finale Saviola buca Buffon. Si decide tutto in Spagna, i bianconeri giocano a viso aperto e Nedved al 53’ rompe l’equilibrio. Il finale si complica per la Juve, dopo il pareggio di Xavi e l’espulsione di Davids, ma è nelle condizioni più avverse che si compiono le imprese straordinarie. Il miracolo di Buffon sulla mezza rovesciata di Kluivert nei supplementari è un segno del destino, che matura quando il cross di Birindelli incrocia la testa di Zalayeta.
La storia, ormai quasi cronaca, tramanda un ultimo confronto diretto, non ufficiale ma comunque significativo. È il 24 agosto 2005, la Juve di Capello è l’avversaria scelta per battezzare l’inizio della stagione per la squadra di Rijkaard, che avrebbe alzato la Champions al Parco dei Principi dopo la finale vinta contro l’Arsenal, nel tradizionale Trofeo Gamper. Vincerà la Juve ai rigori, ma quel giorno scoprirà il talento di Leo Messi, che fa impazzire Pessotto e manda in porta Iniesta per il provvisorio 1-1. Sono gli unici superstiti di quella sfida che saranno in campo a Berlino sabato sera: il terzo, Chiellini, dovrà saltare l’appuntamento più importante della carriera per la lesione muscolare al polpaccio sinistro.
Bilanci – Se fosse solo una questione di soldi, la Champions League l’avrebbero già assegnata. Ma se fosse solo una questione di soldi, la Juventus non avrebbe mai eliminato il Real Madrid, la squadra più ricca d’Europa, con 550 milioni di fatturato nel 2014, come indicato dal rapporto Deloitte nonostante le dimissioni del presidente Rosell, il congelamento del mercato e la morte di Tito Villanova, e un brand che per Forbes vale più di 3 miliardi. Il Barcellona rimane quarto nell’ultima Football Money League, con entrate per 484,6 milioni, plusvalenze escluse, oltre 200 in più della Juventus (279,4), penalizzata nel confronto in tutte le principali fonti di ricavo: commerciale (85 milioni contro 185,7 milioni, 60 grazie agli accordi con Nike e Qatar Sports Investments), ricavi da stadio (57,2 milioni contro 128,5 milioni) e diritti televisivi (153,4 milioni contro 182,1 milioni). La gestione del club catalano, dunque, si pone in continuità con la storica decisione del 2013, quando il Barcellona ha modificato lo statuto del club per introdurre l’obbligo del pareggio di bilancio e la garanzia di un “principio di equilibrio patrimoniale”, anche per tutelare gli oltre 160 mila soci.
Il dirigente blaugrana Javier Faus ha dichiarato che vuole raggiungere i 750 milioni di ricavi stagionali entro i prossimi 5 anni, anche grazie al piano da 600 milioni per la cittadella sportiva Espai Barça, con il nuovo Camp Nou, ristrutturato e dalla capienza aumentata, che potrebbe anche cambiare nome perché il club prevede di cedere i naming rights per rientrare di metà dell’investimento, il Palau Blaugrana, dove giocherà la squadra di basket, e il Miniestadi. Nella strategia del club, che punta a potenziare gli accordi di sponsorizzazione regionale come il Manchester United, pesa anche l’approvazione della contrattazione collettiva dei diritti tv della Liga a partire dal 2016-2017. Gli introiti saranno distribuiti per il 50% in parti uguali, per una quota da definire in base ai risultati degli ultimi cinque anni, per 1/3 del residuo in base alla vendita di abbonamenti e biglietti degli ultimi cinque campionati, per la restante parte in proporzione al bacino d’utenza.
Nessuna delle squadre potrà ricavare più del 20% del totale disponibile per ogni singola categoria di valutazione e nessuna potrà guadagnare meno del 2% della torta: in sostanza, il rapporto first to last non può essere superiore a 4,5 volte e, laddove superato, dovrà essere oggetto di interventi riequilibrativi. Tuttavia, per i primi sei anni, sono previste clausole di salvaguardia, disegnate sulle esigenze di Real e Barcellona, per evitare che i singoli club guadagnino meno rispetto alla situazione attuale. Anche in Spagna, dunque, i soldi continuano ad andare dove i soldi già ci sono. Ma non è con questi particolari che si vince una Champions League.