‘Ndrangheta, due anni a Iaquinta. L’ex attaccante contro la Corte: “Vergogna, ridicoli”

Dopo le indagini preliminari e le prime deposizioni, per Vincenzo Iaquinta è arrivato il verdetto del giudice. Il trentottenne ex calciatore calabrese è stato condannato a due anni, nell'ambito del processo di ‘Ndrangheta "Aemilia". Una pena molto dura, che avrebbe potuto anche essere durissima visto che la direzione distrettuale antimafia aveva chiesto per lui sei anni per reati relativi al possesso di armi. Per l'ex attaccante della Nazionale campione del mondo nel 2006, nella sentenza di primo grado è caduta l’aggravante mafiosa. Cosa che invece non è accaduto per il padre Giuseppe: accusato di associazione mafiosa e condannato invece a 19 anni.

Le urla di Iaquinta
Tirato in volto, l'ex giocatore di Udinese e Juventus ha reagito male alla sentenza di primo grado letta dal giudice e ha lasciato l'aula urlando "vergogna, ridicoli" mentre era ancora in corso la lettura del dispositivo. La sentenza è arrivata nelle scorse ore nell'aula bunker allestita all'interno del tribunale di Reggio Emilia, dopo che i giudici si erano riuniti e chiusi dal 16 ottobre scorso nella camera di consiglio blindata in Questura per decidere sulle pene per i 148 imputati del dibattimento del più grande processo mai celebrato sulle le infiltrazioni di ‘Ndrangheta al nord.
La sua difesa contro il possesso d'armi
Nel maggio dello scorso anno, Vincenzo Iaquinta provò a difendersi dall'accusa di associazione mafiosa e dalla detenzione abusiva di armi: "Sono una persona famosa – aveva detto l'ex calciatore durante la deposizione – la pistola l'avevo presa più che altro per quando avessi smesso di giocare. Mi piaceva andare al poligono di Reggio, ma non ho mai girato armato". A Iaquinta venne contestato il ritrovamento di due sue pistole nella casa del padre, successivamente segnalate dallo stesso proprietario: "L'ho fatto perché sono onesto – aveva riferito in aula – Mi prendo purtroppo la responsabilità per non aver trascritto lo spostamento".