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Brasile 2014: Schweinsteiger, il cervello della Germania che vuole il Mondiale

In difficoltà al Bayern Monaco con Guardiola, Schweinsteiger ha giocato oltre 100 partite in nazionale. E’ una delle colonne della squadra multietnica di Low. La storia della Germania ai Mondiali, dal Miracolo di Berna al duello con la Germania Est del 1974 fino al rigore di Brehme a Italia ’90.
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All'Ernst Happel Stadion di Vienna, Angela Merkel sta guardando la Germania affrontare l'Austria nell'ultima partita del girone di Euro 2008. In un momento di stanca, ne approfitta per voltarsi verso l'uomo che è seduto accanto a lei e tenergli una breve lezione sulla differenza tra l'intensità e l'impeto. Il vicino in questione è Bastian Schweinsteiger, il cervello della Mannschaft, squalificato dopo l'inutile reazione su Leko nel recupero della partita contro la Croazia. Schweinsteiger rappresenta la solidità di una nazione che fa bene le auto (vero Claudia Schiffer?) e di una nazionale che non sacrifica la storia e l'identità nella ricerca di un calcio un po' più attraente.

Le origini – Schweinsteiger, bandiera del Bayern, con cui ha vinto sette scudetti prima di compiere trent'anni, e nessuno ci era mai riuscito prima, non ha tradito il bambino per l'uomo. Nel simbolo della nuova Germania c'è ancora il ragazzino che va fiero di aver tirato un gavettone alla nipote di un maestro ma a scuola è sempre andato bene. Il suo maestro di musica, che insegna ancora alla stessa scuola elementare, la Dietzenhofer di Branneburg, usa ancora il suo nome per convincere gli attuali studenti a mettersi al primo banco: “Lì si sedeva Schweinsteiger” dice loro, e il gioco è fatto. Nel campione di oggi c'è ancora il ragazzino che dava i voti alle compagne di scuola insieme al suo amico, Wolfgang Lagler, ma rispettava una dieta ferrea perché sognava di diventare un calciatore. Lagler, che giocò insieme a “Basti” nel TSV 1860 Rosenheim, ancora si stupisce pensando al giorno in cui “Schweini” (maialino, il soprannome generato per contrappasso che un produttore aveva scelto per chiamare le sue salsicce prima che un giudice lo costringesse a pagare i danni al giocatore) si concesse un hamburger da McDonald's per festeggiare la vittoria in un torneo giovanile della Baviera. Il ragazzino che già a 10 anni si prendeva cura dei suoi muscoli come un tempio, che faceva un ottima figura anche alla sbarra e alla parallele asimmetriche, e nelle gare di sci nell'impianto gestito dai genitori riusciva perfino a battere Felix Neureuther.

Tempi difficili con Pep – A 12 anni Schweinsteiger, nato a Kolbemoor, un paesino di 5 mila abitanti, concittadino del centrocampista radicale Paul Breitner, ha scelto il calcio e il Bayern Monaco. Quattro volte la settimana, la mamma lo accompagnava agli allenamenti, 80 km all'andata e 80 al ritorno. E al ritorno il padre, che era stato calciatore in Austria in gioventù, nel giardino di casa gli faceva ripetere infiniti tiri con il sinistro, il suo piede debole. Una dote che però a Guardiola non piace troppo. Durante l'incontro di Champions contro l'Arsenal all'Allianz Arena, una telecamera ha colto un gesto del tecnico catalano rivolto a Schweinsteiger, che i media tedeschi hanno interpretato come: “passala, non tirare dal limite dell'area”. Il tiqui-taca che ha cambiato il calcio in Spagna ha portato al Bayern lo scudetto dopo appena sette mesi di campionato (record assoluto), ma è naufragato contro il Real. Guardiola, arrivato dopo il triplete di Heynckes, ha portato la sua visione del calcio, che Beckenbauer ha liquidato come noiosa: una visione in cui Schweinsteiger non è più protagonista assoluto. Anche se suo fratello Tobias, calciatore pure lui, che si è fatto tatuare l'immagine di Bastian su un fianco, non la pensa così. “Basti”, che ha giocato la sua prima partita con il Bayern in Champions League (l'insignificante 3-3 con il Lens nel girone del 2002), che ha sbagliato il rigore decisivo nella finale contro il Chelsea di due anni fa e ha dimenticato tutto trascinando i suoi al triplete dell'anno scorso, che è il decimo giocatore con più presenze in Bundesliga nella storia del Bayern, ha vissuto una stagione contrastante. I numeri dicono che ha una media di 109 passaggi a partita, più alta che in qualsiasi altra con la maglia del Bayern, ma spesso Guardiola gli ha preferito Lahm come vertice basso del 4-1-4-1. Il catalano preferisce abili passatori, e Schweinsteiger non si combina così bene al tiki-taka, perché aumenta il rischio di palle perse e di contropiede. Schweini si adatta meglio a un modulo diverso, un 4-2-3-1, quello che Guardiola ha scelto nell'infausta notte dell'Allianz contro il Real di Ancelotti.

“Schweini” in nazionale – In nazionale, però, è tutta un'altra storia per Schweinsteiger, che ha giocato 101 partite con la Mannschaft (è il nono nella classifica all-time di presenze con la maglia della Germania). Dopo la lezione ricevuta da Angela Merkel, ha steso il Portogallo nei quarti di Euro 2008 con un gol e due assist. Ai Mondiali in Sudafrica, Maradona ha provato a stuzzicarlo e a provocarlo in uno strano accento finto-tedesco, e per tutta risposta Schweinsteiger ha sfoderato una delle prestazioni più dominanti di tutta la sua carriera in nazionale in un 4-0 memorabile. Nonostante tutto, gli manca ancora qualcosa. “Non voglio finire la carriera senza aver vinto nemmeno un trofeo con la Germania”, ha detto. Ed è significativo che la colonna di una Germania più bella ma ancora non vincente abbia esordito con la Mannschaft in un'amichevole che celebrava i 50 anni di uno dei trionfi più inaspettati e straordinari nella storia della Germania ai Mondiali: il Miracolo di Berna.

Il miracolo di Berna – “La città di Kaiserslautern fu fondata da Fritz Walter” scrisse un giorno un ragazzo nel suo tema per la scuola. Un errore in un certo senso comprensibile: è vero che le origini della città risalgono al Medioevo, ma Walther è diventato un simbolo di rinascita e di riscatto per tutta la Germania del secondo Dopoguerra. Pupillo di Sepp Herberger, il tecnico che cercò di dare alla Mannschaft degli anni Quaranta e Cinquanta un gioco più spettacolare e vicino a quello della Scuola Danubiana, Walther ha debuttato in nazionale nel 1940 con una tripletta nel 9-3 alla Romania. Tornerà in Romania un paio di anni dopo, ma in un'altra veste, quella di soldato. Combatterà anche in Francia, in Corsica, in Sardegna. Nel maggio del 1942 tornerà a giocare in nazionale, contro l'Ungheria: i Magici Magiari chiudono il primo tempo in vantaggio 3-1. Herberger in spogliatoio carica i suoi: “Non trasformiamo questa partita in una catastrofe”. L'umiliazione in terra ungherese non sarebbe stata ben accolta dai nazisti in patria. Il giovane Walther lo prende in parola e guida la rimonta: i tedeschi vincono 5-3. Tre anni dopo, il ricordo di quella partita gli salva la vita. Il 30 aprile 1945, il giorno dopo che l'Amburgo ha vinto l'ultima partita ufficiale giocata in Germania nel periodo di guerra, Hitler si suicida. La Germania capitola e Walther viene fatto prigioniero dai russi. Sta giocando una partita contro le guardie in un campo in Ucraina, dove vengono trattenuti tutti quelli che saranno spediti in Siberia. Una guardia ungherese, che era allo stadio nel '42, lo riconosce e cancella il suo nome dalla lista dei prigionieri destinati alla Siberia. Dodici anni dopo, il ricordo di quella partita lo trasformerà nel primo capitano tedesco ad alzare la Coppa Rimet. Battuti 8-3 dall'Ungheria nel girone, i teutonici ritrovano i magiari in finale. Dopo 8 minuti, sono sotto 2-0. è il 4 luglio del 1954 e diluvia. In Germania, quando piove così, dicono che “è il tempo di Fritz Walther”. Non segna, ma è il maschio alfa di quella nazionale, il faro di una squadra che rimonta, forse con qualche aiutino non proprio lecito all'intervallo. Il gol di Morlock e doppietta di Helmut “Der Boss” Rahn cambiano in meno di 90 minuti la psicologia di un'intera nazione. “La rete di Gerd Muller contro l'Olanda nel 1974, e il rigore di Brehme contro l'Argentina a Italia '90 non sono altro che dei gol” scrive Uli Hesse nel suo libro sulla storia del calcio tedesco Tor!. “Ma il sinistro di Rahn in quel piovoso giorno d'estate a Berna è qualcosa di completamente diverso”. “Improvvisamente, l'intero popolo tedesco riguadagnò autostima; improvvisante eravamo di nuovo qualcuno” ha detto Franz Beckenbauer. Quel giorno, per lo storico Joachim Fest, rappresenta “la vera nascita della nazione”.

Vent'anni dopo – «Cosa succede quando davanti al televisore ci si sente sdoppiati? Accadde quando la Germania giocò contro la Germania». Accadde, come ricorda Gunther Grass ne Il mio secolo, il 22 giugno 1974.Al Volksparkstadion di Amburgo, per la prima e unica volta nella fase finale di una competizione internazionale, si affrontano Germania Ovest e Germania Est. È il Bruder-Duell, il duello tra fratelli. Quando i due capitani Franz Beckenbauer e Bernd Bransch si stringono la mano e si scambiano i gagliardetti, quel gesto si carica di significati e di responsabilità che esulano dal rituale dell’immediato pre-partita. Lo sanno i ventidue giocatori in campo, lo sanno i tifosi che riempiono lo stadio, compresi quelli dell’est che sono arrivati ad Amburgo in treno con un visto turistico valido solo per quei novanta minuti. Lo sanno gli operai, i lavoratori che sono rimasti dall’altra parte del muro a guardare la partita alla televisione. Lo sa la Stasi, la polizia segreta della Germania Est, che ha mandato centinaia di agenti mescolati ai tifosi Lo sanno i vertici politici della Germania Ovest che a due anni dalla tragedia di Monaco hanno dovuto affrontare la minaccia, rimasta comunque solo tale, della banda Baader-Meinhof di imbottire il Volksparkstadion di tritolo e farlo saltare in aria proprio quel 22 giugno. Al 69′ il ct della RDT Schon prova a cambiare in corsa: sostituisce Schwarzenbeck con Hottges e Overath con Günther Netzer, “il re godereccio” di Monchengladbach che guida una Ferrari e gestisce una discoteca. È l'opposto di Beckenbauer, del Kaiser, che avrebbe imposto al ct Schon di preferirgli Overath. In quei mondiali Netzer gioca solo i ventidue minuti finali contro la Germania Est, ma, curiosamente, sarà proprio lui, una volta diventato general manager dell’Amburgo, a chiamare in squadra Beckenbauer. L’ingresso di Netzer, però, non porta i cambi di ritmo sperati. E al 78′ minuto Erich Hamann pesca in area Sparwasser che supera in velocità Berti Vogts, evita la chiusura di Hottges e chiude in diagonale sull’uscita di Maier. È un gol operaio, di un attaccante che guadagna quanto un professore delle medie in Italia e che porta insita nel nome una vocazione all’umiltà: Sparwassser significa, infatti, «colui che risparmia l’acqua». La Germania Est vince 1-0 e passa come prima del girone. A fine partita Sparwasser scambierà la maglia con Paul Breitner, un gesto simbolo di innegabili affinità ideologiche. Sarà proprio lui a trasformare il secondo rigore mai concesso in una finale mondiale, il primo l'aveva segnato Neskens una ventina di minuti prima. Muller spegnerà la superbia del Calcio Totale olandese, poi passeranno altri 16 anni prima di vedere un'altra finale decisa da un penalty.

Incroci di destini – E' quello di Brehme all'Olimpico di Roma. La Germania vince in Italia, ma da decenni soffre contro l'Italia. La partita del secolo, la notte del Bernabeu, Del Piero, Grosso, doppietta di Balotelli: cinque indizi che fanno più di una prova. Il terzino dell'Inter vendica la sconfitta contro l'Argentina di quattro anni prima, una finale che la mamma di Maradona guarda in tv solo con i figli perché, disse, “ogni volta che resto sola davanti alla televisione, Diego vince”. L'arbitro è il francese Vautrot, accusato di corruzione per Roma-Dundee di Coppa Campioni di sei anni prima. È connazionale di Battiston, steso con una mossa da karate, nel quarto di finale del 1982, dal portiere Schumacher che volutamente si disinteressa dei medici che cercano di rianimare il francese rimasto privo di sensi. Così, nell'Italia delle tangenti e degli sprechi, il rigore premia la Germania (tanto in finale quanto nella semifinale con l'Inghilterra decisa dai tiri dagli 11 metri). Ma non c'entrano né Mario Draghi, né Mario Monti, né l'euro.

La nuova Germania – Dopo la disfatta americana di quattro anni dopo, e l'ultima recita in Asia contro il Brasile di Scolari, la Germania è riuscita in un'operazione di trasformazione radicale senza precedenti. Ha generato un modello di calcio divertente, appetibile ed economicamente sostenibile. Ha cambiato il rapporto tra le società e i tifosi, ha valorizzato i settori giovanili e creato una nazionale polifonica e multietnica lasciando che l‘editto della purezza valga solo per i produttori di birra. La nazionale di Neuer, di Muller, di Schurrle, ma anche di Podolski, di Khedira, di Ozil, che i tifosi dell'Arsenal hanno amato e poi odiato, e poi amato e poi odiato. La nazionale di Reus e Gotze, di Lahm e Klose. Quella di Low è una Mannschaft “fusion”, sospesa tra gioventù ed esperienza, tra intensità e impeto.

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