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Brasile 2014: Robben e il tabù Mondiale dell’Olanda

Ai Mondiali in Sudafrica, Robben ha sbagliato un gol che avrebbe potuto cambiare la storia. L’Olanda ha perso tre finali mondiali su tre. Storia dell’Arancia Meccanica, del calcio totale, di Cruijff, di Michels e di una nazione che convive con uno schema ricorrente di autodistruzione.
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Ci sono due momenti “sliding doors” nella carriera di Arjen Robben. Nel 2002, dopo essere stato votato giocatore dell'anno del Groningen, avrebbe dovuto passare all'Ajax. Ma suo padre Hans, che gli fa anche da agente, ha strappato il contratto perché Arjen era scritto male: non puoi giocare, gli dice, per una squadra che non sa nemmeno scrivere bene il tuo nome sui documenti ufficiali. Robben diventerà una componente fondamentale nel PSV di Guus Hiddink. Otto anni dopo, ai Mondiali, il destino gli affida una palla fondamentale nella finale contro la Spagna, ma a tu per tu con Casillas si fa stoppare. Si costruisce una fama di perdente, che cresce nel 2012. Tira sul portiere il rigore del possibile pareggio nella sfida scudetto contro il Borussia Dortmund, e soprattutto il penalty della vittoria nei supplementari della finale di Champions League persa all'Allianz Arena contro il Chelsea. Si riscatterà un anno dopo con il gol che dà al Bayern la coppa dalle grandi orecchie nella finale tutta tedesca col Borussia. Agli ultimi europei, nonostante un palo, è il peggiore in campo nel match d'esordio con la Danimarca. Tutto il destino della nazionale è nell'immagine di Robben solo, a capo chino, mentre i danesi festeggiano.

La più ovvia diagnosi per la tendenza olandese di fallire nei momenti vitali sta nella natura dell'individualismo olandese e nell'antipatia verso l'autocrazia. La democrazia, l'individualismo e la profonda sfiducia verso l'autorità hanno forti radici storiche”, scrive David Winner, autore del bel libro Brilliant orange. Per Herman Plaji, docente di storia medievale e letteratura olandese, questa storia è funzione della geografia. "Dal Medio Evo abbiamo dovuto sviluppare istituzioni democratiche per mantenere asciutta la nazione. Siamo stati costretti a diventare mercanti, perché non c'era un altro modo di sopravvivere qui. E questo ci ha reso indipendenti. Parlare, parlare, parlare: così ci siamo sempre governati”. E Paul Scheffer, studioso di politica, vede uno schema fisso di autodistruzione. "Gli olandesi hanno una sorta di orgoglio nazionale nel negare di avere un'identità nazionale… Siamo cittadini del mondo che hanno superato il nazionalismo e reso obsoleto il concetto di nazione. E pensiamo che tutto il mondo dovrebbe guardare nella nostra direzione. L'arte di essere olandese consiste nel trasformare la nostra vulnerabilità in una superiorità morale. E questo senso di superiorità morale è talmente forte che non è così importante per noi se vinciamo o perdiamo”.

Robben e il metodo Coerver – Robben è il prodotto di maggior successo delle innovative tecniche di allenamento ideate da Wiel Coerver, che da giocatore ha vinto lo scudetto nel 1956 con il Rapid, ora noto come Roda, e da allenatore ha portato il Feyenoord alla doppietta scudetto-Coppa Uefa nel 1974. E' in quegli anni che sviluppa il dettagliato programma di allenamento focalizzato sullo sviluppo graduale delle doti individuali e della consapevolezza tattica attraverso esercizi in piccoli gruppi e lunghe sedute di video-analisi sul gioco dei grandi campioni. Con le sue lezioni Robben, il giovane con l'aria e la faccia da veterano, arriva al Chelsea di Abramovich e Mourinho. Il talento si vede subito, ma una serie di infortuni lo frenano. In tre anni vince sei trofei: suo l'assist a Drogba per il gol che decide la Coppa di Lega del 2007. Il bambino che ha iniziato a giocare nel giardino di casa a Bedum, frazione di Groningen, è diventato un campione e arriva nella squadra dei campioni: il Real Madrid. Bernd Schuster alla sua prima stagione lo fa giocare ovunque, Juande Ramos lo sposterà all'ala destra. L'esito non cambia: a 24 anni, Robben è una star nella squadra delle stelle. Ma nel 2008 Florentino Perez viene rieletto presidente del Real. Il creatore dei Galacticos torna a spendere: arrivano Kakà e Cristiano Ronaldo, Benzema e Xabi Alonso. I nuovi devono giocare, chiede, e Robben per la prima volta è sacrificabile. Il Bayern coglie l'occasione al volo e con lui si trasforma da nobile decaduta a dominatrice assoluta del calcio europeo. “E' il punto più alto per un giocatore, è la sola cosa che mi mancava nella vita” ha detto dopo aver festeggiato la Champions League che ha reso il Bayern la prima squadra tedesca a completare il treble (scudetto, coppa di Germania, Champions) nello stesso anno.

Clockwork orange – Robben è il perfetto esempio di un Olanda che gioca a calcio per com'è. Una nazione che ha sconfitto l'acqua con i presupposti del calvinismo: etica, purificazione, perseveranza.  “Misurare le distanze” scrive ancora Winner, “è un'inclinazione naturale per gli olandesi. Noi misuriamo lo spazio con calma, ordine e precisione”. E dall'Olanda arriva l'ultima grande rivoluzione tattica, ingranaggio della rivoluzione culturale che ha il suo presupposto più profondo in una nuova concezione dello spazio. Quell'idea di “spazio fluido” che pervade il cinema di Kubrick, non a caso quella nazionale è per tutti l'”Arancia Meccanica”, e la musica dei Pink Floyd, è l'essenza dell'estetica del calcio irripetibile dell'Ajax prima e dell'Olanda poi. Un calcio che sostituisce la staticità col dinamismo, l'individualismo con il pensiero collettivo, la specificità dei ruoli con l'atleta polivalente. Un'utopia in cui natura e cultura si specchiano, una visione che unisce la geometria astratta di Vermeer e la razionalità delle grandi coltivazioni e dei quadri di Mondrian. Questa cultura e il “parlare, parlare, parlare” con cui da sempre gli olandesi si governano hanno prodotto una doppia rivoluzione che aveva in sé le ragioni del suo stesso fallimento. Il calcio che nessuno aveva mai nemmeno pensato comincia con Rinus Michels che arriva all'Ajax e convince la generazione dei Cruijff, dei Neeskens, dei Rensenbrink a seguirlo con un patto e una scritta sui muri dello spogliatoio: "Dove serve fermezza ci vuole rigore; dove serve fantasia deve esserci massima libertà d'invenzione". “Nessuno mi ha insegnato tanto come lui” ha detto Cruijff. “Ha portato l'Olanda al centro della geografia del calcio e ancora oggi continuiamo a sentirne i benefici. Ho provato spesso a imitarlo, ed è il più grande complimento che uno possa fargli”. Con lui, l'Ajax vince tre Coppe dei Campioni di fila, dal 1971 al 1973, con tre capitani diversi: Velibor Vasovic a Wembley '71. Piet Keizer a Rotterdam '72. Johan Cruijff a Belgrado '73. Michels viene scelto come ct dell'Olanda, all'Ajax arriva Knobel. Come tutti gli anni, durante il ritiro pre-campionato al De Lutte, piccolo e tranquillo hotel olandese vicino al confine tedesco, i giocatori votano il capitano. Si chiudono in una stanza, senza l'allenatore, e scrivono su un foglio il nome di uno dei tre candidati: Cruijff, Keizer, Barry Hulshoff. Hulshoff prende zero voti, Keizer una dozzina, Cruijff, a seconda delle versioni, tra i tre e i sette. I compagni hanno sminuito l'autorità di uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi. Appena finita la riunione, telefona al suocero e agente, Cor Coster: “Chiama subito Barcellona. Io da qui me ne vado”. L'Ajax è finito. Ma quella generazione si ritrova in nazionale, per i Mondiali di Germania. Un trauma che l'Olanda non ha ancora metabolizzato.

Il trauma di Monaco – Ruoli e numeri si confondono nell'Arancia Meccanica. Undici calciatori-drughi che sembrano, come i cervelloni per il protagonista dell'omonimo film, affidarsi all'ispirazione. Davanti al tabaccaio Jongbloed, che gioca col numero 8 ed è bravissimo coi piedi, Michels schiera un debuttante, Wim Rijsbergen, ed è costretto ad adattare Haan a centrale per fare “uscire” la palla perché Rinus Israël, il "libero del Feyenoord, è infortunato e Mansveld, la sua naturale alternativa, si è rotto i legamenti a marzo del 1974. In finale, c'è “il nemico totale”, la Germania. Per i primi tre minuti, i tedeschi non toccano palla. Sono i 3 minuti migliori nella storia del calcio, che si concludono con il rigore per fallo di Cruijff e l'1-0 Oranje. L'Olanda però si specchia troppo in se stessa, si ferma e concede alla Germania di rientrare: un errore fatale. Il più scioccato dalla sconfitta è Van Hanegem, che nella guerra contro i tedeschi ha perso il padre, la sorella e due fratelli. Non è l'unico nel blocco Ajax, per tradizione la squadra degli ebrei di Amsterdam, il centro simbolico della persecuzione nazista in Olanda, ad avere fotogrammi tragici della guerra. Per questo la sconfitta in Germania non ha lo stesso sapore di altre. Perché in Olanda la resistenza è continuata anche dopo la guerra. Nel 1988, quando l'Olanda batterà i tedeschi prima di vincere l'Europeo, centinaia di migliaia di persone scendono in strada e lanciano al cielo le biciclette, un riscatto metaforico e liberatorio: durante l'occupazione, infatti, i tedeschi erano soliti sequestrare le bici ai cittadini.

La seconda caduta degli dei – Quattro anni dopo, in Argentina, in panchina c'è l'austriaco Ernst Happel, che aveva vinto la Coppa dei Campioni con il Feyenoord. Non c'è Cruijff, e non per protesta politica come per anni si è creduto: perché a Barcellona, pochi mesi prima dei mondiali, dei ladri sono penetrati in casa sua e hanno minacciato con le pistole moglie e figli. L'Olanda chiude seconda il girone di primo turno, dopo la sconfitta 3-2 contro la Scozia nella partita in cui Rensenbrink segna il millesimo gol dei mondiali e Archie Gemmill entra nella leggenda. Al secondo turno, gli Oranje dominano l'Austria 5-1 ma la partita più attesa del secondo girone è la rivincita con la Germania. In campo ci sono quattro “superstiti” tedeschi (Sepp Maier, Berti Vogts, Rainer Bonhof e Bernd Hölzenbein) e sei olandesi, compreso René van de Kerkhof che era entrato a partita in corso. Pure l’arbitro, l’uruguayano Ramon Barreto, era stato guardalinee a Monaco di Baviera. Anche stavolta la partita si sblocca subito, ma è la Germania a segnare per prima. Punizione dal limite di Bonhof, Schrijvers respinge ma Rüdi Abramczik di testa non sbaglia. L’Olanda gradualmente prende il comando del gioco e pareggia con Haan che ferma l’imbattibilità di Maier a 475 minuti. A venti minuti dalla fine la Germania torna in vantaggio con la punizione veloce di Erich Beer che pesca libero Dieter Müller: 2-1. Alla fine arriva il meritato pareggio olandese. Poortvliet filtra per René van de Kerkhof che apparentemente senza sforzo anticipa l’uscita di Maier. A questo punto all’Olanda, complice la miglior differenza reti, basta il pareggio contro l’Italia per conquistare la certezza della finale. E infatti si chiude, pensa soprattutto a difendersi mentre l’Italia, che ha in campo nove giocatori della Juventus che tre mesi prima aveva eliminato l’Ajax ai rigori nei quarti di Coppa dei Campioni, dà sfoggio del suo gioco offensivo. Gli azzurri passano con l'autorete di Brandts che si incarta nel tentativo di anticipare Bettega. Nella ripresa Bearzot prova a difendere il risultato sostituendo Causio con Claudio Sala mentre Happel avanza Neeskens. Il cambio agevola gli oranjes, che in pochi minuti pareggiano proprio con Brandts: nemmeno guarda la porta ma inventa un gran tiro che Zoff non riesce a neutralizzare (e sarà fortemente criticato nei giorni immediatamente successivi). A 13′ dalla fine, poi, un altro “gol del torneo”, quello di Haan, porta l'Olanda in finale contro l'Argentina. Ci sono ottantamila persone stipate sulle tribune dell’Estadio Monumental di Buenos Aires.

C'è Videla con la sua giunta, i «militari che si fregiarono con cimiteri di croci sul petto», e accanto a loro Licio Gelli. Menotti chiede ai suoi giocatori di non voltarsi verso i generali, chiede di guardare verso i macellai, i panettieri, gli operai, i tassisti, verso tutta la gente che aspetta il trionfo. L’Argentina ha ottenuto dalla Fifa la sostituzione dell’arbitro designato, l’israeliano Abraham Klein (che li aveva diretti nell’unica sconfitta rimediata nel torneo, contro l’Italia) con l’italiano Sergio Gonella. Renè van de Kerkhof si presenta con una fascia rigida al polso destro, infortunato nel match di debutto contro l’Iran. Gli argentini protestano, anche se nessuno aveva mai obiettato nelle precedenti partite. Gonella, però, gli ordina di toglierla e scendere in campo solo con una benda leggera. Gonella ammonisce quasi solo olandesi, ma sorvola su una gomitata di Passarella su Neeskens, che gli stacca due denti. Al 37′ Ardiles lancia un’azione offensiva che Luque rifinisce per Kempes: il bomber arriva in anticipo e in diagonale centra l’angolino. La finale procede piatta fino all’80′. Poi Renè Van de Kerkhof trova lo spunto giusto sulla fascia e centra, Tarantini e Galvan non liberano, Nanninga con la collaborazione di Poortvliet tocca quel tanto che basta per il pareggio ormai insperato. Al 90′ Rensenbrink, totalmente anonimo fino a quel punto, si scuote e vola sulla sinistra. Una nazione intera è sul baratro della disperazione temendo di vivere un nuovo Maracanazo. Rensenbrink tira a botta sicura; gli arancioni sono pronti a urlare di gioia, gli argentini sperano nel miracolo. E il miracolo arriva: palo! L’Olanda la finale la perde qui, la perde nel carattere, nella mente, nel cuore prima che sul campo, nell’appendice dei tempi supplementari che serve solo a scrivere nella forma quanto già sancito nella sostanza. Nella forma, sono Kempes e Bertoni a completare il 3-1. L’Olanda, furibonda contro l’arbitraggio di Gonella, lascia il campo senza assistere alla consegna della Coppa del Mondo all’Argentina. Eloquenti le parole di Passarella venticinque anni dopo: “Era scritto che avremmo vinto noi il Mondiale e se il tiro di Rensenbrink fosse entrato, l’arbitro avrebbe sicuramente trovato il modo di annullarlo”.

Il presente – Anche quest'anno c'è un senso di ingiustizia che accompagna l'Olanda verso Brasile 2014. A pochi giorni dal sorteggio, infatti, la Fifa ha deciso di cambiare la posizione della Francia che, essendo la nona squadra europea tra le non teste di serie sarebbe dovuta finire in un urna speciale. E invece sono stati catapultati nella Fascia 2 assieme a tutte le altre squadre europee. Una decisione che per il direttore della federazione olandese Bert van Oostveen è altamente irregolare. L'Olanda, sorteggiata nel girone con la Spagna e la possibile sorpresa Cile, arriva in Brasile senza il capitano Strootman. Nei trenta pre-convocati di Van Gaal c'è un mix di esperienza e giovani promesse. C'è anche Nigel De Jong, chiamato a fare da “chioccia” insieme agli altri simboli come Robben, van Persie, Sneijder, Huntelaar e Kuyt.

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