Ajax, cosa resta della lezione di Cruijff (e cosa deve temere la Juventus)
L'Ajax gli ha intitolato lo stadio. I tifosi, però, hanno voluto fare di più per omaggiare Johann Cruijff. Lo scorso ottobre, dopo soli tre mesi, hanno annunciato di aver raccolto 75 mila euro nel giro di tre mesi per costruirgli una statua all'ingresso dell'impianto. Ma l'Ajax, che ha raggiunto i 100 gol in campionato per la 14ma volta, in una sorta di omaggio simbolo al numero del campione che ha cambiato la storia del gioco, cosa ha mantenuto della sua eredità? Quali i punti di forza e dove, invece, la Juve potrà costruire il vantaggio competitivo nel quarto di finale di Champions?
I maestri di ten Haag: Cruijff e Guardiola
La coincidenza, il sottile filo della storia scritto nei numeri, gli sarebbe piaciuto. Ha sempre prestato attenzione a questi dettagli. Lo scrive anche nella sua autobiografia, La mia rivoluzione: gli piace che data del suo matrimonio sia il 2-12-68, perché 2+12 fa 14 e 6+8 fa 14. Da allenatore, ha scritto, ha sempre voluto accanto un preparatore “puro”, perché si considerava più un tecnico, concentrato sulle basi del gioco e sull'occupazione degli spazi, quello che serve per combinare i rudimenti del pallone con il gioco di posizione.
Erik ten Haag sta provando un'operazione ambiziosa: fondere lo spirito dell'Ajax e del Barcellona di Crujff, eredità del calcio totale degli anni Settanta, con la sua più sofisticata evoluzione, la filosofia di Pep Guardiola. Hanno lavorato insieme, ten Haag allenava la squadra riserve durante il suo periodo al Bayern Monaco, e certe trasmissioni di pensiero si vedono.
De Ligt imposta da dietro
È meno rigido, sul modulo base, di Cruijff, convinto che il 4-3-3 sia la configurazione perfetta per le caratteristiche del calcio olandese, per bilanciare la creatività e l'esigenza di equilibrio con la possibilità di mantenere un uomo almeno davanti alla difesa e abbastanza elementi sotto la linea della palla anche nelle fasi di pressing alto. Rimane, però, l'attenzione alla distanza corta fra le linee, la ricerca dell'ampiezza in fase di possesso, la moltiplicazione delle linee di passaggio. L'Ajax di ten Haag, come negli anni migliori, attacca strutturando una serie di triangoli così che il portatore di palla abbia almeno due opzioni di passaggio. In fase offensiva, scrive Cruijff, “lo spazio da coprire va dal semicerchio di centrocampo nella propria metà campo fino all'area di rigore avversaria”. Uno spazio in cui sono i difensori a dettare la lunghezza.
Difensori come Matthijs de Ligt, che completa 67,6 passaggi con il 90% di precisione. Offre lo stesso contributo alla manovra di un difensore di costruzione come Pique, e rispetto al catalano completa più spazzate e respinge più tiri. Vince quattro duelli aerei su 6.1 a partita, 0.7 più della scorsa stagione, e distribuisce 3,1 palloni lunghi.
De Jong, centrocampista totale
Ten Haag enfatizza il gioco di possesso e il movimento fra le linee, Disegna un 4-2-3-1 flessibile, modulare, che facilmente diventa 4-3-3. La squadra costruisce da dietro con De Jong che si abbassa a fornire ai due centrali la prima opzione per l'uscita del pallone. È lui che, allo stesso tempo, rompe la prima linea di pressing e crea spazio in avanti. Ridefinisce i confini del suo ruolo: non è un centrocampista difensivo, ma nemmeno uno “box to box” alla Gerrard, non è un playmaker basso alla Pirlo né un mediano classico. Ha un lato tipicamente olandese, gli piace dribblare anche nella propria metà campo, per poi spingersi in avanti. È un giocatore di visione, che sa orchestrare il gioco anche da dietro, si inserisce con la palla per vie centrali mettendo pressione ai centrocampisti avversari e così crea le condizioni perché si smarchi un compagno da cercare poi con un passaggio filtrante.
Nel capolavoro del Bernabeu, che nell'esplosione di pressing alto e velocità di esecuzione ha ricordato il meglio del calcio olandese che ha rivoluzionato il mondo e il concetto stesso dello spazio sul campo, c'è un altro elemento che ha reso possibile la sistematica distruzione delle fondamenta del centrocampo merengue: Donny van de Beek. È il centrocampista che non vedi, teoricamente trequartista nella formazione di partenza, ma serve a lasciare a Tadic la libertà di tagliare dall'esterno verso il centro. È lui che gli copre le spalle, è lui che favorisce la corsa di Neres in occasione del secondo gol. La sua presenza, che a volte si evolve in secondo attaccante aggiunto, manda fuori posizione Varane ed esalta una delle principali qualità dell'Ajax nello sfruttamento delle fasce. Le ali vengono a giocare più dentro, negli spazi di mezzo, sono dei trequartisti che partono larghi, e lasciano ai terzini il compito di salire e sviluppare l'ampiezza nello svolgimento del gioco. È quello che a sinistra fa benissimo Tagliafico, che sovrappone, dialoga con l'ala e la mezzala e mantiene il triangolo chiave per mantenere o formare la superiorità numerica negli ultimi trenta metri.
Dolberg, fisico da centravanti e tecnica da fantasista
Davanti, oltre a Tadic, messo al centro del progetto dopo le delusioni in Premier League al Southampton, il valore della flessibilità nell'interpretazione canonica dei ruoli è garantita da un centravanti atipico come Kasper Dolberg. Fisico da centravanti classico che protegge palla e fa salire la squadra, ha piedi da trequartista. Galleggia fra le linee, è difficilissimo da inquadrare e ancor più da marcare, tende a spostarsi sull'ala, avendo giocato anche largo a sinistra a inizio carriera, e addensare la presenza sulla fascia sbilanciando la difesa. Secondo per tiri a partita in squadra dietro Ziyech, tenta 2,8 conclusioni di media, ai livelli del 2016-17 (contro i 5,4 del marocchino) di cui solo 0,4 da fuori area. Poco meno della metà centrano lo specchio della porta. Gli manca, però, applicazione nella fase difensiva.
Un aspetto su cui si fondava l'idea di calcio di Cruijff per cui l'attaccante è il primo difensore. Una filosofia per cui il pallone, come diceva al coreografo Rudi van Dantzig, diventa una danza, un balletto, in cui ognuno deve sapere dove stare e cosa fare soprattutto quando il pallone non ce l'ha: ovvero, diceva, per 89 dei 90 minuti di una partita.
Una squadra che rischia sui ribaltamenti
Un calcio che si gioca prima con la testa e poi con i piedi, in cui la ricerca quasi ossessiva del possesso palla non è solo vezzo quantitativo. In questo, ten Haag eredita il primo comandamento della visione del profeta del gol: l'Ajax è l'unica squadra a superare il 60% di possesso in Eredivisie e ha la seconda miglior difesa del campionato. Perché, diceva Cruijff, se controlli il pallone non concedi gol.
Dove si distacca di più, ten Haag? Proprio nel modo di attaccare. Mantiene, antico atout degli orange di Michels, un centrale come libero e stacca l'altro come centrocampista aggiunto, ma i tre di centrocampo giocano molto alti e quando i terzini salgono la squadra è scoperta in caso di ribaltamento rapido al centro. È così che il PSV ha saltato le linee di pressing e creato le principali occasioni nel big match perso a fine marzo. È qui che la Juve, con l'abilità e la visione periferica di Pjanic e un incursore a tutto campo, potrebbe ribaltare il gioco e la partita.