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Adebayor, un coltello alla gola e il tentativo di suicidio

L’attaccante del Tottenham si sfoga in un lungo post scritto su Facebook e racconta gli aspetti più bui della sua vita. A cominciare dal difficile rapporto con la famiglia. Il club lo congeda senza aspettare la fine della stagione nella speranza che risolva quelli che sono definiti come “problemi mentali”
A cura di Maurizio De Santis
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In ogni ruga un silenzio troppo duro da raccontare. Emmauel Adebayor trova la forza di aprire lo scrigno della sofferenza e lascia che tutto scorra via dall'anima. Trentuno anni, attaccante del Tottenham, a White Hart Lane vi è arrivato dall'altra parte del mondo. Il Togo, la Francia a far da ponte per lo sbarco in Premier League tra Arsenal, City, Spurs e una vita tormentata che non lo ha mai abbandonato. "Molte volte ho pensato di togliermi la vita, farla finita – ha scritto sul proprio profilo ufficiale di Facebook -. Ero pronto a suicidarmi, l'ho detto tante volte a mia sorella Iyabo". Scrive e parla di se stesso, quelle pietre piazzate apposta sopra il cuore erano un peso troppo grande da sopportare anche per chi, come lui, sa quant'è duro il mestiere di vivere. Scrive e non ha paura, non più. Scrive e fa sapere al mondo intero cosa c'è dietro quella maglia, in quella valigia di ricordi che tornano ogni notte. Ricordi che però non sono piaciuti al Tottenham che ha deciso di lasciar libero in anticipo l'attaccante, non aspettando la fine della stagione. In questa maniera il giocatore potrà tornare in Togo e risolvere quelli che a giudizio del Telegraph, sarebbero dei veri e propri problemi mentali

Come ritrovarsi in un incubo a occhi aperti. Fu così quando suo fratello Kola gli piazzò un coltello alla gola nel sonno: lo minacciò perché voleva soldi, tanti. Ne aveva bisogno per un affare, un'attività imprenditoriale nel settore auto in Germania da avviare assieme al terzo dei fratelli Adebayor, Peter. "Dio solo sa cosa stesse facendo in Germania… Ammazzatemi e prendetevi i soldi, dissi a lui e Peter. Misero giù il coltello. Io avvertii mia madre che mi consigliò di chiamare la polizia: lo feci, poi lasciai perdere".

Lutto in famiglia. "Il 22 aprile 2005 sapemmo che mio padre era morto. Ero distrutto. Pagai il biglietto a Kola e lui, chi si autodefiniva il ‘grande uomo' della famiglia, non fu affatto di aiuto. Fu così pure nel 2013 quando morì anche Peter… mi accusò di esserne il responsabile perché il negozio che avevo aperto per lui non era abbastanza promettente. Mi accusò di aver fatto soffrire mia madre. Questa è la mia storia".

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