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Coppa Campioni: quando Milan e Inter stendevano il Real Madrid

Il 27 maggio 1964 l’Inter vinceva la Coppa Campioni contro il Real Madrid. Un quarto di secolo più in là, il Milan di Sacchi pose fine a un’altra era merengue. Oggi Milano potrà solo guardare il derby di Madrid che vale la Champions League.
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Milano vicina all'Europa, cantava Lucio Dalla. Ma in questo 27 maggio, Milano può solo guardarla l'Europa, che tanto somiglia alla Spagna, così vicina e insieme così lontana. Ma in un altro 24 maggio, in una Vienna che tanto somigliava a Milano, era l'Inter a segnare la fine di un'era del Real Madrid. Un quarto di secolo più in là, un'altra stagione merengue si chiuderà nel simbolo del calcio nuovo e della Milano da bere: il San Siro rossonero contro il Milan di Sacchi.

Vigilia al Prater – Sono in venticinquemila i tifosi italiani a Vienna. Il Real Madrid sceglie per la vigilia il nuovo albergo Kahlemberg, alla periferia della capitale. Il presidente, però, rimane in un grande hotel del centro. Il Real è un gigante stanco, vecchio, con cinque giocatori sopra i trent'anni: il portiere Vicente, il centromediano Santamaria, Di Stefano che sta sui 39, Puskas e Gento. Per loro, arrivano i vecchi giocatori dell'Honved e della Aranycsapat, l'Ungheria d'oro: Boczik, Lorant, Hidegkuti. L'Inter prenota un intero motel di 18 camere ai bordi di una piccola foresta a una cinquantina di chilometri da Vienna. Al Prater, però, l'Inter scopre di essere davvero in trasferta. I tifosi austriaci, forse infastiditi dall'esibizionismo degli italiani, parteggia per il Real. All'annuncio delle formazioni, un unico fischio accompagna i nomi dei nerazzurri. Un boato, invece, si alza quando dall'altoparlante lo speaker scandisce Di Stefano e Puskas. “Chi scrive ricorda i tempi successivi alle due guerre mondiali, quando bisognava fare bene attenzione ad alzare la voce in lingua italiana per essere sicuri di tornare a casa incolumi” ricorda Vittorio Pozzo. “L'ambiente dello stadio del Prater può essere definito come pienamente internazionale”. In tribuna d'onore si vedono gli ambasciatori d'Italia e di Spagna, il presidente della FIGC e della Lega, il ct della nazionale Edmondo Fabbri. C'è anche Alfred Hitchcock, che però se ne va prima della fine della partita. “Non c'è abbastanza suspence” ammette.

La partita – L'incertezza dura fino alla fine del primo tempo, fino al tiro dal limite di Mazzola che vale l'1-0: sarà proprio a lui che Di Stefano chiederà di scambiare la maglia in spogliatoio. Il palo di Puskas in avvio di ripresa salva Sarti, che pure era stato in dubbio fino all'ultimo. La fuga di Milani e il rasoterra che inganna un Vicente distratto preparano un finale già scritto. “Delle due, l'unità milanese era la più giovane, la più fresca, quella che era fornita di maggiore slancio e di maggior spirito di intraprendenza” commenta Pozzo, mentre il Real “è un undici invecchiato e appesantito alquanto dal faticoso servizio che ha ormai sulle spalle”. Felo salva l'onore spagnolo da calcio d'angolo, ma Santamaria paga la troppa fiducia in se stesso. Azzarda una rovesciata che però rimbalza sul petto di Mazzola: il 3-1, è proprio il caso di dirlo, è servito. Davanti alla tv festeggia anche la Juve, in Romagna per un'amichevole a Cesena. Esultano anche a Bologna, che per una sera dimentica di dover affrontare proprio l'Inter nello spareggio per quel che sarà l'ultimo scudetto rossoblù. “Vi ringrazio ragazzi” annuncia Moratti, “ma dobbiamo tornare subito in ritiro a Como. Il campionato ci aspetta”.

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Rivoluzione Sacchi – Venticinque anni più in là, in un maggio di rivoluzione senza immaginazione, a San Siro arriva il Real Madrid di Beenhaker. All'andata, il Milan ha lasciato intuire il futuro del calcio moderno. “Con Sacchi, le squadre acquisirono per la prima volta una bellezza estetica anche in fase di non possesso” dirà Valdano. Contro l'ultimo Real della Quinta del Buitre, imbattuto in campionato ma senza l'ombra di un'organizzazione difensiva, l'1-1 dell'andata, con tanto di gol annullato, è una vittoria ai punti per il Milan. Anche se le 7-8 occasioni lasciate al Real preoccupano Sacchi, che al ritorno non può schierare Evani: fatale un tackle in allenamento di un ragazzino della Primavera, Demetrio Albertini. Sacchi sta costruendo un idea di calcio che nessuno ha mai giocato. Non è solo la zona mista. È l'idea di una squadra che difenda avanzando a cambiare le prospettive. “Volevo che la squadra fosse padrona del gioco in casa e in trasferta” spiegava Sacchi. Era difficile far capire il nuovo modo di giocare, il movimento sincronizzato della squadra senza palla, avere undici giocatori con e senza palla sempre in posizione attiva. Avere una difesa attiva vuol dire che anche quando hanno la palla gli avversari tu sei padrone del gioco. Con tale pressione li obblighi a giocare a velocità, a ritmi e intensità tali per cui non essendo abituati vanno in difficoltà”. La mano alzata di Baresi su ogni fuorigioco è l'immagine simbolo, icona e sintesi di un modo di pensare.

Senza palla – È un Milan che si esalta quando Gullit, vero modello del giocatore universale che Sacchi ha in mente, parte in corsa con la criniera al vento. Il Milan parte con un 4-4-2, ma il modulo è solo sulla carta. Il tecnico chiede almeno cinque giocatori davanti alla palla, consegna a Ancelotti e Donadoni la libertà di muoversi e di controllare lo spazio. Tutti hanno almeno due ruoli, con la palla e senza palla, e partecipano alla manovra. Quell'1-1 al Bernabeu, dirà Baresi, è un momento decisivo. In quei 90 minuti, in quell'esibizione di pressing contro la squadra da tre anni campione di Spagna, che non perdeva da 27 partite di fila, il Milan ha preso coscienza della sua forza. Ha scoperto di poter fare la rivoluzione. E l'osservatore del Real, mandato a spiare l'allenamento il giorno prima del ritorno, quella rivoluzione la vede sotto i suoi occhi: il Milan si muove all'unisono seguendo la voce di Sacchi, ma la palla non c'è. Sacchi la fa immaginare e costringe la squadra a spostarsi di conseguenza.

Manita – Il Real è una delle squadre più forti del mondo. Ma il Milan ha una visione. Il primo gol è un'invenzione di Ancelotti. I movimenti sinuosi di Gullit preparano la steada, Ancelotti capisce che gli spagnoli si aspettano un passaggio e li sorprende con un gran tiro dalla distanza. Il vantaggio è una mazzata per il Real, che si sfalda, perde troppi palloni mentre il Milan amministra, controlla, aspetta e colpisce. Corner battuto corto, cross di Tassotti, testa di Rijkaard: elementare, Watson. Gullit, ancora di testa, allunga prima dell'intervallo. La ripresa illumina Van Basten, che si era visto poco: il Pallone d'Oro si destreggia e libera il sinistro nel sette che vale il 4-0. La goleada segna la fine di un'era, il Real è schiantato anche da Donadoni: va in gol tutto il quintetto d'attacco. Berlusconi è raggiante. “Avevo chiesto una goleada. E sono stato accontentato da questa squadra meravigliosa. È stata una notte da ricordare”. Sacchi si fa attendere. Deve smaltire tensione e gioia. “Faccio fatica a cacciare via il pensiero. Almeno per le prossime ventiquattr' ore vorrei veramente godermi la vittoria. Ma per me lo Steaua è già lì, dietro l' angolo. E' stata una bella vittoria, ottenuta contro una grandissima squadra. E' un vero peccato che di partite così un allenatore ne viva così poche”. Ne vivrà almeno un'altra, a Barcellona, contro lo Steaua annichilito in finale. Oggi potrebbe vivere la revancha di Simeone o l'esaltazione di Zidane. Vivrà un confronto di stili, di caratteri, di personalità. Ma è difficile vedere, quando puoi limitarti solo a guardare. In una Milano così vicina e insieme così lontana dall'Europa.

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