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Zenga e Maldini, Vialli e Mancini: la storia della “generazione Vicini”

Vicini ha costruito l’Italia del dopo-Bearzot con i campioni che aveva fatto crescere in under 21. C’erano Zenga, Giannini, Donadoni, Ferri, De Napoli, Vialli e Mancini, che rimane il suo principale rimpianto: non gli ha fatto giocare nemmeno un minuto a Italia ’90.
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Un nome, un perché. Azeglio Vicini, scomparso oggi a 84 anni, formidabile raccontatore di barzellette che il calcio l'ha vissuto come libertà e divertimento già da quando lo scopre bambino dopo la guerra, ha costruito una delle nazionali più amate di sempre. Ma alla vittoria, in under 21 prima e con la selezione maggiore poi, è sempre arrivato solo vicino. Ha avuto il merito, però, di ereditare il posto di Bearzot dopo il Mundial del 1986 e rifondare l'Italia sulla base di una generazione d'oro cresciuta con lui in under 21. C'erano Zenga, Riccardo Ferri, Berti, Donadoni, De Napoli, c'era il futuro principe Giannini, Paolo Maldini che con lui giocherà sempre titolare all'Europeo 1988, e i gemelli doriani Vialli e Mancini.

Vialli, il bomber all'Europeo 1986

Chiamato in under 21 nel 1976, quando la Uefa decide di abbassare l'età dell'europeo giovanile prima riservato agli under 23,  semina bene e raccoglie meglio nel triennio 1984-1986. Nell'anno che avrebbe reso Diego Maradona el Pibe de Oro, la nostra generazione di fenomeni fa sognare l'Europa. Superiamo il girone eliminatorio con 15 gol in quattro partite. Ne basta uno di Vialli per superare nel doppio confronto di quarti la Svezia. Si ripete contro l'Inghilterra in semifinale e nell'andata della finale contro la Spagna, al Flaminio. Vinciamo 2-1, segna anche Giannini. al ritorno, a Valladolid, perdiamo 2-1 e sbagliamo tutti i rigori. Un segno del destino.

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Vialli e Mancini, i destini opposti dei gemelli del gol

Chiaro il progetto quando viene chiamato a debuttare in nazionale maggiore l'8 ottobre 1986. "Porto con me gran parte di quel gruppo, la stampa è dalla nostra parte e il progetto prevede far bene gli Europei ’88 e crescere in vista dei Mondiali di Italia ’90″. L'esordio a Bologna, Bologna, amichevole contro la Grecia, 2-0. E 45mila spettatori paganti. Ora te li sogni" raccontava qualche tempo fa. Il dopo-Bearzot si muove lungo due binari: il ricambio generazionale con il blocco dell'under 21 e la certezza delle gerarchie in porta. Vicini stravede per Zenga, tiene in panchina Tacconi e considera Pagliuca come il possibile futuro azzurro. E non avrà torto.

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All'Europeo Mancini, capitano dell'under 21 battuta due anni prima, gioca sempre. L'Italia, nell'unica giornata di pioggia e maltempo, è penalizzata contro i potenti sovietici in semifinale. Due anni dopo, lo scenario cambierà. Vialli dovrebbe essere la star delle notti magiche, ma la prima partita, contro l'Austria, disegna il futuro, tratteggia una storia inattesa. Vialli, che è nato in una villa fuori Cremona per tutti conosciuta come "il castello", figlio di un imprenditore di provincia che lascia un futuro sicuro nell'azienda di famiglia in prefabbricati in calcestruzzo, crossa da destra per l'uomo che regala la vittoria e gli toglierà il posto, Totò Schillaci.

Non giocherà più fino alla semifinale contro l'Argentina. Dopo, accuseranno Vicini, battuto ancora solo ai rigori, di aver preferito Vialli a Baggio contro l'Argentina, ma poi Baggio entra e gioca tutti i supplementari.

Il rimpianto della semifinale mondiale

Vialli ha sentito la mancanza in azzurro di Roberto Mancini, che a lungo non ha perdonato a Vicini le scelte in quelle notti per lui non tanto magiche. "Ero il capitano della sua Under 21: c’ erano Zenga, Vialli, Ferri, Giannini, De Napoli, Donadoni, la futura nazionale" racconterà. Il ct, che ha fatto molto per imporre e poi difendere la presenza del Mancio all'Europeo under 21, alla vigilia si sbilancia. "La sorpresa del Mondiale – dichiara – sarà Roberto Mancini’ . "Fu davvero di parola: di sette partite, non ne giocai neanche una. Neanche mezza!" ammetterà con rabbia l'allora icona della Sampdoria in pole position per diventare il prossimo commissario tecnico azzurro.

La nazionale più amata

La sua sola colpa, avrebbe detto dieci anni dopo al Corriere della Sera, era proprio nella maglia che portava, nel suo rappresentare una provinciale “e non in una società politicamente più forte. E Vicini, si sa, non è mai stato un cuor di leone”. Il ct ha ammesso il suo rimpianto per non averlo mai schierato in quel mondiale. Ma con quella sua generazione di fenomeni nella semifinale di Napoli del 1990, ha tenuto incollati alla tv  27,5 milioni di italiani per uno share dell’87,5%: da quando esiste l'Auditel, nel 1986, nessun altro evento ha raggiunto un pubblico così numeroso. E' questa la migliore eredità di un allenatore che ha coltivato talenti e ha plasmato una nazionale libera e divertente, la più amata dagli italiani.

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