Var, perché è ora di cambiare: diamo ai tecnici il potere di chiedere la moviola in campo
La trattenuta di Alex Sandro su Zaza nel derby di Torino. La spinta di Florenzi su Pandev nel recupero di Roma-Genoa. La carica di Padoin su Fabian Ruiz in Cagliari-Napoli. Tre episodi e una stessa domanda che, come ormai da inizio campionato, ritorna ad ogni lunedì: perché non interviene il VAR? Aumentano le proteste, le lamentele, i dubbi. Una soluzione ci sarebbe: dare agli allenatori la possibilità di chiedere la review di un'azione, magari due volte a tempo.
Il nuovo protocollo: meno possibilità di intervento
Da quest'anno l'IFAB, l'International Football Association Board che definisce i regolamenti, ha imposto un'interpretazione più restrittiva dell'utilizzo del VAR, che può intervenire soltanto in caso di "chiaro ed evidente errore". "Sono i casi che un tempo si chiamavano sviste" mi spiegava l'ex arbitro Luca Marelli dopo la prima giornata di campionato. Si tratta di episodi sfuggiti all'attenzione dell'arbitro, oppure in cui è talmente evidente l'errore di valutazione da richiedere l'intervento del VAR. Per il resto, è passato il concetto per cui quel che l'arbitro vede non si può discutere. Un'interpretazione diversa rispetto all'anno scorso, quando in Italia si è visto un uso un po' estensivo del VAR".
L'anno scorso solo 0,89% di errori in Italia
Così, mentre si allarga la presenza della tecnologia disponibile dall'anno prossimo anche in Champions League, si torna indietro alle interminabili discussioni da bar sport che hanno accompagnato la storia del calcio italiano. In fondo, ancora ci chiediamo se Turone fosse o meno in fuorigioco, se quello di Iuliano su Ronaldo fosse fallo da rigore o no. Le insinuazioni di malafede si ripresentano, in una nazione abituata a pensar male e a scoprire ad anni di distanza di averci preso.
Nella scorsa stagione, si legge in una nota della FIGC, la tecnologia ha portato la percentuale di errori arbitrali allo « 0,89% rispetto al 5,78% che si sarebbe verificato senza l’ausilio del VAR». L'ausilio tecnologico, utilizzato in 397 incontri tra Serie A TIM e TIM Cup, ha permesso di modificare 117 decisioni arbitrali: 59 di queste in merito all'assegnazione di calci di rigore, 42 alla convalida o all'annullamento di gol, 16 all'espulsione di un giocatore. Complessivamente, nella scorsa stagione, sono state verificate attraverso i check degli assistenti al VAR, 2023 situazioni, oltre cinque a partita.
Gli arbitri dovrebbero non decidere subito
Il risultato positivo stona con la decisione di restringere il campo di applicazione del VAR e il suo potere di intervento. E' chiara, da parte dell'IFAB, la volontà di lasciare all'arbitro in campo il potere decisionale maggiore, anche per non delegittimare di fatto la sua funzione. La tecnologia può e dovrebbe, nel momento in cui è disponibile, aiutarlo a non sbagliare, permettergli di ritornare su alcune decisioni. Con l'attuale protocollo, il potere dell'arbitro sui casi come quelli più controversi di questa giornata è massimo: se vede e valuta, vale il suo giudizio come se il VAR non esistesse. L'anno scorso, avrebbe avuto la possibilità di rivedere gli episodi da regolamento. Quest'anno, perché succeda lo stesso, l'arbitro dovrebbe scegliere di non valutare subito: andare, in sostanza, contro la sua natura e contro un processo decisionale ormai interiorizzato dopo anni di pratica. Che fare allora?
Introdurre i "challenge" per le squadre
In base al protocollo, il VAR può intervenire su gol, rigori, espulsioni dirette e scambi di persona. Dunque, salvo sviste o richieste dirette dell'arbitro, non dovrebbe avere voce in capitolo su prime o seconde ammonizioni. Certo, la questione della troppa discrezionalità rimane un vulnus, già dall'inizio. Limitare il VAR solo ai casi di errori "chiari", come l'anno scorso, o "chiari ed evidenti" come oggi, di fatto introduce una gerarchia degli errori in cui però non è affatto chiaro come distinguere quelli "di serie A" e quelli "di serie B". Se una rosa è una rosa, anche un errore è un errore, e il VAR dovrebbe poter intervenire ogni volta che le immagini facciano sorgere dei dubbi.
Se una squadra ha la sensazione di essere stata penalizzata da una decisione, poi, dovrebbe poter chiedere la review. Che siano i capitani o ancor gli allenatori a richiedere l'intervento del VAR, con un numero limitato di chiamate per tempo. Così funziona nel tennis, in cui i giocatori possono chiedere di controllare il segno della pallina tre volte per set: se hanno ragione però, e dunque la decisione originaria era sbagliata, la chiamata non viene conteggiata.
L'esempio del volley: un principio paritario di tutela
Anche nel volley, l'allenatore della squadra che ha perso il punto può chiedere la review entro otto secondi dal fischio dell'arbitro (e in in particolari situazioni può tramite tablet invocare la review anche a scambio in corso) in caso di palla dentro o fuori, invasione, tocco a muro o pestata della seconda linea o della linea di battuta. "Ogni squadra" si legge nella normativa di quest'anno della federazione italiana, "ha il diritto di richiedere la verifica Video-Check due volte per ogni set. Qualora il controllo delle immagini comporti una modifica della decisione arbitrale in favore della squadra che lo ha richiesto, il numero delle richieste a disposizione richiedente rimarrà inalterato per quel set; qualora invece, dopo il controllo delle immagini, venga confermata l’iniziale decisione arbitrale, il numero delle richieste a disposizione per la squadra richiedente verrà ridotto di uno. Si precisa infine che eventuali richieste di Video-Check non avanzate in un set non sono cumulabili nei set successivi".
Il responsabile della CAN, Rizzoli, nell'incontro di un mese fa con gli allenatore si è detto contrario all'idea, che metterebbe in competizione l'allenatore con l'addetto al VAR. Ma sarebbe l'unica maniera, a fronte di un regolamento e di un protocollo di applicazione del VAR fin troppo discrezionale e con eccessive zone grigie, di dare a tutte le squadre uno strumento paritario di tutela. Di farle sentire, dunque, tutte protette in egual misura dalle decisioni sbagliate. Il "beautiful game", il bel gioco del calcio, ne avrebbe solo da guadagnare.