Serie A in Tv: i club di calcio incassano i soldi di Sky e DAZN, perdono (sempre) i tifosi
Le debolezze strutturali della rete, l'insufficiente chiarezza delle modalità di abbonamento di Dazn e dell'offerta commerciale di Sky. Le pay tv finiscono sotto indagine dell'anti-trust dopo le prime due giornate di campionato segnate da disservizi, streaming interrotti e tifosi infuriati perché costretti a pagare di più per vedere meno e peggio. Sky e Dazn, ramo di Perform, sono al centro del mirino degli spettatori. Meno, invece, la Lega Calcio che pure ha contribuito a creare questo scenario nonostante i precedenti italiani suggerissero di non seguire questa strada.
Sky spingeva per l'esclusiva di prodotto
Alle pay-tv, questo è chiaro, interessa di più quest'ultima strada, l'esclusiva di prodotto. Perché poter trasmettere contenuti che nessun altro concorrente possiede aumenta l'appeal e il valore commerciale dell'offerta, oltre ad aumentare le possibilità di nuovi abbonamenti, soprattutto se l'esclusiva è legata alla Serie A o alla Champions League. Non a caso Sky aveva fatto ricorso al Tribunale di Milano contro gli spagnoli di Mediapro, gli intermediari inizialmente vincitori del bando per l'acquisizione dei diritti, e la versione definitiva del bando con cui intendevano commercializzare i diritti del campionato. L'offerta prevedeva sette pacchetti principali: uno unico per il satellite con le 380 partite; due a testa per digitale terrestre e IPTV (uno con otto club tra cui Juventus, Milan, Inter, Roma e Napoli e uno con il resto), due per Internet, tutti potenzialmente offerti a tutti i soggetti interessati. Esattamente il contrario dei desiderata di Sky che invocava l'esclusività dei diritti anche in una lettera di marzo a Malagò, rivelata da Repubblica: "a fronte di un'asta per prodotto, cioè con molti eventi concessi in esclusiva, non ci sarebbero stati problemi a trovare un'offerta ‘in linea con le attese dei presidenti'".
Dopo la bocciatura di Mediapro, che non aveva presentato garanzie patrimoniali conformi al bando, la Lega Calcio in tempi stretti ha ridisegnato di nuovo il bando per i diritti tv. Per minimizzare le possibili perdite nel bilancio complessivo, la Lega Calcio passa all'esclusiva di prodotto e ricava complessivamente 973 milioni, meno degli 1.1 miliardi del minimo garantito richiesto inizialmente dal bando.
Cosa prevedeva il bando
La Lega disegna tre pacchetti diversi: uno da 452 milioni con 3 partite a giornata (sabato alle 18, domenica alle 15 e 20.30); uno da 408 milioni con 4 match (sabato alle 15, domenica alle 15 e alle 18 e il ‘monday night’); e quello da 240 milioni con 3 gare (sabato alle 20.30, domenica alle 12.30 e 15). Il valore dei pacchetti è calcolato anche in base al numero di scelte disponibili (8 per i primi due, 4 per il terzo) per assicurarsi i big match, gli scontri diretti fra Inter, Milan, Juventus, Roma e Napoli. Per queste partite, e per la definizione degli incontri trasmessi dai titolari nelle fasce orarie con più partite in contemporanea, il bando delinea i turni di scelta un po' come il draft NBA.
Nessun operatore può comprare tutti i pacchetti, ma il licenziatario di uno o due di questi può accordarsi per ritrasmettere le proprie partite sulla piattaforma di un altro broadcaster attraverso accordi commerciali. Ed è quello che DAZN ha fatto con Mediaset, Sky e Tim.
DAZN e Tim, questione di infrastruttura
La partnership con Tim è un incentivo, anche, perché migliorino i rapporti fra Dazn e Telecom per l'infrastruttura di rete. Servizi come Dazn “potranno accelerare la diffusione della banda larga” perché "tutti i nuovi servizi digitali sono quindi di stimolo” fa sapere Tim, come riporta l'agenzia Agi. I problemi di trasmissione delle prime giornate, spiegano gli ingegneri e fonti interne della stessa Dazn, non coinvolge la disponibilità di banda ma i content delivery network (Cdn), i server da cui gli utenti accedono ai contenuti. Uno di questi Cdn ha bloccato lo streaming al 10% degli utenti per una ventina di minuti durante Lazio-Napoli. Anche il ceo di Dazn alla Gazzetta dello Sport rassicurava che la causa dei disservizi non fosse l'ampiezza della banda, nonostante i primi big match di serie A siano stati i due più grandi eventi in streaming mai trasmessi in Italia.
Esclusiva di prodotto: in Inghilterra funziona
L'esclusiva di prodotto, però, in Inghilterra ha portato all'esponenziale aumento del valore della Premier League, di cui pure vengono trasmesse in diretta un terzo delle partite sul mercato domestico. Dal 2001, infatti, la Commissione Europea ha iniziato a trattare la vendita collettiva dei diritti tv (per cui la lega, direttamente o attraverso intermediari, vende i diritti di trasmissione dell'intero campionato) alla stregua di un cartello industriale tradizionale. Dal 2003, la Premier League suddivide i diritti in tre pacchetti di diversa qualità, sempre con i match suddivisi in base all'orario del calcio d'inizio, ma senza imporre vincoli ai broadcaster, per cui Sky per l'ultima volta acquista tutti i 138 match disponibili. Il 17 novembre 2005, poi, viene annunciato l’accordo con la Commissione Europea sui meccanismi dell’asta per il triennio successivo: pacchetti di qualità comparabile e divieto per un singolo broadcaster di comprarli tutti. Dal punto di vista della Premier League, l’asta ha stimolato l’ingresso di un nuovo
concorrente, e fatto salire gli introiti dei diritti televisivi da 1 a 1,7 miliardi. Il valore, da allora, non smetterà di salire. Come sottolineano Cowie, Daripa e Kapur in uno studio del 2006 del Birkbeck College inglese, se si aumentano i pacchetti in un’asta con un acquirente dominante, i profitti per il venditore crescono.
In Italia non funziona
In Italia, però, lo stesso meccanismo non ha funzionato. Eppure, in momenti diversi e anche con meccanismi differenti di cessione dei diritti tv, la Serie A e i suoi telespettatori hanno sperimentato l'esclusiva di prodotto e il doppio abbonamento. Succedeva quando la trasmissione via satellite era divisa fra Telepiù e Stream, quando ancora erano le singole squadre a trattare autonomamente i diritti di trasmissione delle proprie partite casalinghe ma per effetto della cosiddetta legge D'Alema un operatore non poteva accordarsi con oltre il 60% delle squadre. Le due pay tv accumuleranno quasi 2,5 miliardi di debiti fra il 1998 e il 2001, anche perché secondo un rapporto Confesercenti del 2004 circolano 2,3 milioni di schede pirata, e si fonderanno in Sky Italia. Non andrà meglio l'esperimento di Gioco Calcio, la pay tv della Lega nata nell'estate 2003 e naufragata in meno di un anno, né ha portato vantaggi agli operatori la spartizione della Serie A sul digitale terrestre fra Mediaset e La7, poi Dahlia, presto fallita.
Il futuro dei diritti tv
Le ultime vicende, compresa la decisione di Mediaset di non partecipare alla trattativa per i diritti della Serie A, disegnano un futuro in contro-tendenza rispetto agli anni recenti. Il calcio in tv potrebbe valere di meno nelle prossime stagioni, con effetti a cascata sullo sport tutto in televisione. E' questa la tesi contenuta in un'analisi dell'Economist dello scorso giugno, che parte dalla Premier League dove British Telecom e Sky hanno visto triplicare i costi annuali del campionato ma, con l'asta per il triennio 2019-2022 in programma a febbraio, sono state costrette a un accordo complessivo cross-piattaforma che prevedibilmente condurrà a un'offerta più bassa. Gli abbonamenti, infatti, scendono perché molti più utenti preferiscono servizi come Sky Now, Netflix o Amazon Prime con abbonamenti più flessibili. "In ogni mercato" scrive l'Economist, "il valore dello sport è in discussione. Il calcio è stato un fattore importante per spingere i consumatori ad abbonarsi alle pay tv, ma i costi elevati hanno ridotto gli introiti". L'esclusiva di prodotto è una risposta. Pagata a caro prezzo dagli utenti.