Sarri e Mancini: chi è senza peccato scagli la prima pietra
Il nuovo mostro. E la somiglianza con don Savastano, boss della serie Gomorra, stavolta non c'entra. Maurizio Sarri ha dato del "frocio" a Mancini. La patina di decoro perbenista è svanita in frantumi di specchi. Sarri è "il mostro da sbattere in prima pagina", per qualcuno Sarri è omofobo. Ma non è così, non è col perbenismo bigotto che si può interpretare questa storia. Perché qui l'omofobia c'entra poco. Perché "frocio", in bocca a chi pretende o ritiene di poter dire quel che vuole, quando diventa un insulto smette anche di avere qualcosa a che fare con gli orientamenti sessuali. E' una categoria di pensiero. E Sarri, più che una tendenza omofoba, ha mostrato il peggio di un modo di pensare tipico di questa povera Italia.
Vizi e virtù – L'Italia di via del campo, delle pubbliche virtù e dei vizi privati, della probità ostentata e dei segreti da non dire, impregnata di cultura catto-clericale e di quel gran pezzo dell'ubalda. L'Italia che gioca a pallone per com'è, che non s'indegna per la guerra, per i morti sulle nostre coste, per la Corea che prova la bomba chissà se H o atomica o cos'altro, ma si indigna sulle unioni civili o sulla step-child adoption. L'Italia che se la prende perché un allenatore da' del frocio al tecnico avversario. Viva l'Italia metà giardino e metà galera, l'Italia dei poli delle libertà e dei moralismi pruriginosi, l'Italia del così fan tutti e delle toppe peggiori del buco. E' il caso, di nuovo, di Sarri e di quel "ho tanti amici gay" che tenta di salvare quel che avrebbe richiesto solo il silenzio. Sarri ha sbagliato, e non è questione di semantica. E' questione di ruoli: un allenatore, a ogni livello, dagli esordienti alla serie A, è un riferimento, senza retorica è un educatore. E da chi educa non si può accettare l'uso di frocio come insulto. Ha sbagliato due volte, non tanto e non solo perché l'allenatore del Napoli già aveva sfondato il politically correct a Empoli. Non tanto e non solo per quella proposta di maxi-squalifica così distonica anche in una nazione che vorrebbe punire la bestemmia con il cartellino rosso. Ma per quel che dice dell'Italia, di un paese che a calcio gioca, e di calcio parla, per com'è.
Bigottismi – Un Paese arrivato ormai a considerare frocio una categoria dello spirito, un modo di essere, un dispregiativo, il marchio di una debolezza, dell'assenza di spina dorsale. "Il calcio non è uno sport per gay, è troppo fisico" diceva Gianni Rivera una decina d'anni fa: mettere "femminucce" al posto di "gay" non cambia la sostanza della filosofia machista che ha nutrito tutto il nostro rapporto con il pallone. Ecco, la domanda da farsi, ecco l'ennesimo dualismo all'italiana. L'epica del campo, del sudore del gioco maschio (un altro di quei termini che da soli raccontano un paradigma, un meccanismo di pensiero) basta a difendere l'offesa? Se sì, allora deve bastare anche per gli striscioni sui "napoletani colerosi", per "il negretto Balotelli" o per chi dice che i neri non sanno difendere quando si tratta di pensare. Ma purtroppo, siamo sempre il Paese delle mezze misure, delle parole prima dei fatti, che alla prova dei fatti getta la spugna (e nemmeno più con gran dignità). Il dibattito esalta una nazione ancora, potremmo dire, democristiana, la nazione che ha fatto convivere l'assenza di una legge sul divorzio e il delitto d'onore. Esalta i moralismi bigotti per un allenatore che ha sbagliato e ora viene additato come il mostro in prima pagina. Certo, errare è umano, perseverare no: la ripetizione non giova a Sarri, ma additarlo come omofobico serve solo a sviare dal problema.
Sarri e l'Italia – A Sarri è sfuggita una parola di troppo, come nel marzo del 2014. Allora, al termine di Varese-Empoli (anche in quel caso finì con una sconfitta e con la sua espulsione) il tecnico toscano sbottò a fine gara: "Il calcio è diventato uno sport per froci. Abbiamo subito il doppio dei falli, ma abbiamo avuto più gialli noi. È uno sport di contatto e in Italia si fischia molto di più che in Inghilterra con interpretazioni da omosessuali". Verrà multato di 5 mila euro, ma per aver insultato i sostenitori della squadra avversaria e non per quelle dichiarazioni rilasciate a fine partita. Già allora erano chiari i termini della questione, era chiara la sostanza al di là delle parole: siamo immersi in un humus culturale per cui dare del frocio non ha niente a che vedere con il disprezzo per gli orientamenti sessuali. Per cui, come diceva Damiano Tommasi, i gay nel calcio farebbero bene a non fare coming out. Siamo pur sempre la nazione che ha scelto, per rappresentare il suo calcio, Carlo Tavecchio, che nell'ordine se l'è presa con gli Opti Poba che hanno invaso il calcio italiano, con "l'ebreaccio" Cesare Anticoli, proprietario di vari immobili a Roma, con gli omosessuali: "Non ho nulla contro, però teneteli lontani da me. Io sono normalissimo". E poi ci chiediamo perché non si riesce ad approvare una legge decente sulle unioni civili. E poi, c'è la giustificazione, il tentativo di deresponsabilizzazione. “Mancini non doveva dire quelle cose: è stata una litigata di dieci secondi e doveva finire lì” dirà Sarri, che ha così fornito un indizio ulteriore per gli attacchi, per i difensori del bon ton e della supposta morale. E il primo a doverlo ricordare sarebbe proprio Mancini.
I precedenti di Mancini – Quando al termine di un Lazio-Arsenal di Champions League Mihajlovic fu accusato da Patrick Vieira di insulti razzisti, è stato proprio l’amico Mancini a dire: “Nel corso di una partita l'agonismo esasperato può portare a momenti di tensione e di grande nervosismo. Credo che anche qualche insulto ci possa stare. L'importante è che tutto finisca lì". Non era nemmeno la prima volta. Non è stato certo l'unico caso. Dagli insulti a Koeman in amichevole, per vecchie ruggini non smaltite dopo Samp-Barcellona di Coppa dei Campioni, al lungo monologo in cui ha dato del disonesto e chissà che altro all'arbitro Nicchi. Dal Lazio-Perugia del "forza Roma" di Cosmi e dell'inseguimento a Conceicao al Lazio-Milan del 2000, della rissa con Galliani per questioni di rigori, ma non di rigore. "Non è successo niente" dirà l'ad del Milan, il campo ha la sua legge, come le regole del fight club. E c'era in panchina, Mancini, quando i tifosi dell'Inter se la presero con Zoro del Messina, che chiese di sospendere la partita: ma il calcio che ora vorrebbe squalificare Sarri non prese provvedimenti. Lo spettacolo doveva andare avanti.
Le conseguenze – Tuttavia, non si può ridurre tutto ad amor di bandiera, a questioni di umori e colori. Sarri ha fatto crollare un bel pezzo della sua immagine pubblica, e le reazione, l'accusa e la difesa, per una volta dovrebbero prescindere dal tifo pro o contro il Napoli. Ha perso in campo e soprattutto fuori dal campo. Perché oggi la partita non finisce al 90′ e quel che succede in campo trasmigra su tv, giornali e social. Tuttavia, sarebbe ancora peggio se una vicenda come questa, che illumina un problema e una questione di principio, venisse strumentalizzata per antipatia, per rivalsa, per calcolo. L'omofobia è un'altra cosa. E' questione troppo seria per piegarla a una vicenda di pallone. Anche nell'Italia che gioca le partite come le guerre e perde le guerre come fossero partite.