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Ricky Lambert, una vita da operaio: “Al calcio non ho mai giocato per soldi”

Tifoso del Liverpool, fu cacciato dalle giovanili dei Reds a 15 anni. Lavora come operaio, segna nelle serie minori fino all’esplosione al Southampton. Nel 2013 l’esordio in nazionale e il gol vittoria al primo pallone toccato. Nel 2014 torna al Liverpool, ma inizia il declino di fisico e motivazione. “Il lavoro duro mi ha fatto capire che il destino non ti viene regalato. Se non dai il massimo, puoi anche dire addio ai tuoi sogni”.
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Un amore che finisce. Un sogno inseguito per anni, da una fabbrica di conserve alla nazionale. Il sogno di Ricky Lambert, da sempre tifoso del Liverpool, però, si spezza proprio quando si realizza, quando arriva a vestire la maglia dei Reds. “Venivo pagato anche bene, ma non venivo impiegato quasi mai. E non ho mai giocato a calcio per soldi”.

Lavoravo per 20 sterline l'ora

Al Liverpool era già entrato a dieci anni. “Ci sono rimasto fino ai 15, poi mi hanno detto che non ero abbastanza bravo per restare. A quell'età, è dura da accettare”. La sua carriera è al primo bivio. Ricky soffre di una leggera forma di dislessia, a 16 anni finisce la scuola con una C in disegno e tecnologia e una B in educazione fisica. Il secondo bivio sarà ancora peggiore. Nel 2000 finisce un'esperienza da dimenticare al Blackpool, dopo due partite giocate in tre anni. Lambert è senza squadra e senza futuro.

Si allena al Macclesfield, per 50 sterline di rimborso spese a settimana. “Non avevo soldi, per cui lavoravo come operaio in un'azienda, mettevo i tappi sui barattoli di barbabietole, che nemmeno mi piacciono” ha raccontato. Lavora la mattina a Kirby, non lontano da casa, e si allena di sera, ma non si arrende. Quel periodo, dirà, “mi ha fatto capire che il destino non ti viene regalato. Se non dai il massimo, puoi anche dire addio ai tuoi sogni”.

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Il Macclesfield alla fine gli offre un contratto e Lambert riparte. Risale dalle serie inferiori, segnerà 18 gol con lo Stockport, 28 al Rochdal dove il coach Steve Parkin lo fa giocare più avanti e compone una coppia d'oro con Grant Holt, 51 al Bristol Rovers. Nel 2009 ha la prima grande occasione. Il Southampton, nobile decaduta finita in League One, la terza serie, lo sceglie per tornare grande.

When the Saints go marching in

Certo non tutti sono convinti che il club abbia fatto la scelta giusta spendendo un milione di sterline per il 27enne del Merseyside. Per la prima volta, Lambert sente la responsabilità di essere un calciatore professionista. Il tecnico Alan Pardew gli fa capire che è in sovrappeso, che deve allenarsi meglio e vivere da atleta anche fuori dal campo. è un cambio di paradigma radicale per Lambert che resta il solito ragazzo di sempre, educato e modesto. Tre aspetti impressionano Adam Blackmore, il responsabile dello sport di BBC Radio Solent, che ha seguito praticamente ogni suo passo al Southampton. “Innanzitutto l'abilità di segnare in ogni categoria in cui abbia giocato” elenca, “la sua reinvenzione fisica che gli ha permesso di trasformarsi da attaccante all'antica a centravanti moderno, capace anche di fornire assist, e soprattutto il suo atteggiamento in campo e fuori”.

Come goleador, raccontava l'ex manager del Southampton Dave Merrington alla BBC, “Lambert non è secondo a nessuno. Si inserisce negli spazi, detta la profondità, si smarca benissimo in area e soprattutto segna tanto”. Il primo anno guida la promozione in Championships. Il secondo lo chiude come capocannoniere del campionato e riporta i Saints in Premier per la prima volta dopo sette anni.

Il debutto non potrebbe essere da favola. Entra dalla panchina all'Etihad e firma il gol della vittoria contro il Manchester City. Ne realizzerà altri 14, sarà il miglior cannoniere inglese della Premier. “E' straordinario” commenta Mauricio Pochettino. In molti lo vorrebbero vedere in nazionale.

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Nazionale, debutto da sogno

E la chiamata arriva, lo stesso giorno in cui nasce sua figlia, Bella. Hodgson, che già avrebbe voluto portarlo al Fulham quando allenava gli Whites e Lambert brillava al Bristol City, lo chiama per l'amichevole contro la Scozia che celebra i 150 anni della Football Association e rinnova la rivalità più antica di sempre nella storia del calcio internazionale.

La partita è ferma sul 2-2, Kenny Miller è diventato il primo scozzese a segnare su azione a Wembley dal 1979, quando Hodgson manda in campo Lambert per Wayne Rooney. Il pubblico gli riserva un'ovazione, ma sarà il suo sostituto a fare la storia. Gary Neville, collaboratore del ct, ha un presentimento. “Segnerà”, dice a Hodgson.

Passano 166 secondi e Leighton Baines gli disegna un corner perfetto. È il 70′, il suo primo pallone toccato in nazionale vale il 3-2 e decide la partita. “E' stato probabilmente il miglior colpo di testa della mia carriera” dirà, “questo va oltre ogni mio sogno”. Il sogno sembra non finire mai. Hodgson lo convoca per i Mondiali e nella stessa estate si completa la trattativa con il Liverpool. Ricky torna a casa.

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Liverpool, le delusioni e l'addio

Contenta la famiglia, contento Ricky che non dimentica la delusione per il rifiuto a 15 anni, la convinzione di allora che non sarebbe mai diventato calciatore, la sensazione che il mondo ti crolli addosso e niente di peggio possa mai succedere. Poi però la vita va avanti e si torna al punto di partenza, con una storia, una maturità ben diverse.

Esordisce proprio contro il Southampton, Rodgers gli affida l'attacco, deluso da Balotelli, ma alla sua unica stagione ai Reds segna solo tre gol in 36 partite. Non andrà meglio al West Bromwich e al Cardiff. Dovrebbe andare al Wigan, ma ha la schiena a pezzi. “E' una degenerazione dei dischi nella parte bassa della schiena” dice. Ha bisogno di iniezioni, ma durante una partita a golf con il manager del Wigan, Paul Cook, capisce che il Big Ben ha detto stop. “Sapevo di non essere il più veloce o il più dotato quando giocavo” ha detto, “ma dentro di me riuscivo a convincermi di essere il migliore. Gioco da quando ho 5 anni, era arrivato il momento di smettere. Ora la mia schiena sta decisamente meglio”.

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