Real Madrid 1960: campioni del mondo!
La coppa dei due mondi. Ha un'anima “colonialista” l'Intercontinentale, la sfida che mette di fronte i campioni d'Europa e del Sudamerica. E come tutte le grandi manifestazioni, come i Mondiali e gli Europei, la conquista del mondo comincia in Francia.
L'origine della Coppa Campioni – Nel 1954, i Wolverhampton Wanderers battono in amichevole lo Spartak Mosca e l'Honved di Puskas. Per gli inglesi, sconfitti dai dilettanti Usa ai Mondiali del 1950 e umiliati due volte, anche a Wembley, dalla Grande Ungheria, è l'occasione di riaffermare lo status di inventori del football. “Salutiamo i campioni del mondo” titola il Daily Mail. Ma i francesi non la prendono proprio bene e nel 1955 Gabriel Hanot, giornalista dell'Equipe, risponde dalle colonne del giornale. “Prima di proclamare l'invincibilità del Wolverhampton, aspettiamo almeno che replichi i suoi successi a Mosca e a Budapest. Ci sono altri grandi club che potrebbero aspirare a quel titolo: come il Milan o il Real Madrid, tanto per citare le prime due che mi vengono alla mente. L'idea di un campionato del mondo (o almeno d'Europa) per club più ampio, più qualificato e meno episodico della Mitropa Cup meriterebbe comunque d'essere lanciata. E noi ci proviamo”. Hanot è stato de facto commissario tecnico della nazionale dal 1945 al 1949, anche se ufficialmente la sua carica era di consigliere tecnico del selezionatore Gaston Barreau, che però era praticamente il suo vice. Ma dopo l'1-5 in casa contro la Svizzera, scrive uno degli editoriali più violenti nella storia del giornale. In due pagine, disegna il progetto di una rivoluzione del calcio francese in ogni minimo dettaglio. “In queste condizioni” scrive, “bisogna trovare un nuovo consigliere, dice uno di noi, dato che l'attuale non è riuscito a ottenere il livello richiesto di prestazioni dai giocatori”. L'articolo non è firmato, ma l'autore e l'anonimo “uno di noi” coincidono: Hanot sta chiedendo di essere licenziato.
Si guarda al Sudamerica – Jacques Ferran, collega all'Equipe di Hanot, spinge insieme a Jacques de Ryswick per convincere Joao Havelange a creare una Coppa Campioni in Sudamerica. Qualche mese dopo invitano Marcel Hansenne a fare da emissario. Re incontrastato del mezzofondo francese ngli anni '40, bronzo olimpico negli 800 ai Giochi di Londra 1948, sette volte campione nazionale, è diventato caporedattore dell'Equipe e sta partendo per il Sudamerica in viaggio d'affari. La missione riesce. Il 5 marzo 1959, al 24mo congresso della CSF, il trofeo viene approvato. Si chiamerà Copa Libertadores, la coppa dei liberatori, in onore degli eroi nazionali che hanno dato l'indipendenza alle dieci nazioni della confederazione: Bernardo o’Higgins (Cile), Simon Bolivar, Francisco Miranda, Antonio José Sucre (Bolivia, Colombia e Venezuela), Rodrigues Francia (Paraguay), José San Martin (Perù), Manuel Belgrano (Argentina), José Gervasio Artigas e José Fructuoso de Rivera (Uruguay). Tra i “padri putativi” della Libertadores, e dell'Intercontinentale, la coppa dei due mondi, c'è anche l'eroe dei due mondi, Giuseppe Garibaldi.
La prima Libertadores– Ci sono quasi 70 mila spettatori al Centenario, il 12 giugno 1960, per l'andata della prima finale di Libertadores. Il Peñarol affronta i paraguayani dell'Olimpia Asuncion, che scendono dall'aereo all'aeroporto di Carrasco con l'impeccabile abito grigio d'ordinanza accompagnati dal segretario della CSF, Lydio Quevedeo. Le foto di rito con i dirigenti uruguayani, Fernando Parrabere, Washington Cataldi e José Valverde, testimoniano un clima rilassato e cordiale, che prosegue nella cena della vigilia. Ma in campo la storia cambia. Il Peñarol non può contare sul centrocampista Néstor Goncalvez, tutto garra e cuore, che in carriera ha indossato solo la maglia dei “girasoli”: è infortunato. Il tecnico Roberto Scarone lo sostituisce col giovane Matosas, più moderno, eclettico, elegante. È una partita tesa, e al 52′ l'Olimpia resta in 10: Juan Lezcano viene espulso per un fallo, molto presunto almeno dai compagni di squadra, su Spencer. E sarà proprio Spencer a ricevere il passaggio dell'ala destra Cubilla al limite dell'area e a disegnare il rasoterra in diagonale che vale l'1-0 e il primo round. Al termine del match, Quevedo attacca l'arbitro, il cileno Robles. “La pessima direzione di gara ha dato la vittoria ai nostri rivali” dice, come riporta il Pais di Montevideo, “e ha raggiunto il culmine con l'ingiustificabile espulsione di Lezcano, aggredito da Spencer e non aggressore come presentato dall'arbitro. E le stesse colpe ha l'assistente Armental, che dall'inizio della partita ha visto falli immaginari dei nostri avversari. Il Peñarol ha festeggiato con grande vigore, sembra si siano dimenticati che devono giocare ancora un'altra partita, che devono venire a Asunciòn”.
Il trionfo del Penarol – Il 19 giugno al Puerto Sajonia, oggi Defensores del Chaco, ci sono forse più dei 20 mila spettatori della capienza massima. L'arbitro stavolta è l'argentino José Praddaude. Come da regolamento, i guardalinee sono della stessa nazionalità della squadra di casa: una determinazione certo curiosa, presa per ragioni economiche, per contenere i costi dei trasferimenti in una prima edizione che avrebbe comunque pesato sui conti della confederazione. I paraguayani hanno occhi e attenzioni solo per Spencer, reggono bene in difesa e al 28′ passano: Recalde di prima trova l'angolino da fuori. Nell'intervallo, Scarone toglie Spencer e sceglie Juan Eduardo Hohberg, al Peñarol dal 1948. Argentino di Cordoba, ha acquisito la nazionalità uruguayana e giocato per la Celeste ai Mondiali del 1954 e del 1958. Avrebbe dovuto trasferirsi allo Sporting Lisbona, ma nel viaggio di ritorno dal Brasile, l'aereo su cui viaggia con la famiglia si incendia sopra un'isola non lontana dall'aeroporto di Rio. Si salva, ma dice basta col calcio. Il tecnico Hugo Bagnulo lo convince a tornare qualche mese dopo. “Hohberg ha fatto onore alla sua qualità”, scrive El Diario. Il suo ingresso cambia la partita. All'83' Cubilla sfrutta il cross di Borges e pareggia. La prima Libertadores è del Peñarol.
Campioni del mondo – Per il titolo non ufficiale di campioni del mondo resta da superare il Real Madrid. I 134 mila spettatori dell'Hampden Park di Glasgow non hanno ancora dimenticato il 7-3 all'Eintracht Francoforte. C'erano anche Bobby Charlton e Billy Bremner, che aveva appena firmato per il Leeds. “E' stato come vedere Frank Sinatra che suonava soltanto per noi” dirà. C'era anche un ragazzino di 18 anni che poteva solo sognare, allora, di poterla un giorno alzare quella coppa: non era ancora baronetto, era ancora solo Alex Ferguson. L'andata della finale si gioca a Montevideo, ma il campo è fradicio e lo spettacolo povero: lo 0-0 non si sblocca. Due mesi dopo, al Bernabeu, si gioca davanti a 120 mila spettatori e a 150 milioni di tifosi collegati in diretta tv in 13 Paesi. La doppietta di Puskas e il gol di Gento (che segnerà anche l'ultima rete della sfida) lanciano il Real sul 3-0 dopo 10′. Alla festa partecipano anche Di Stefano e Herrera, con Spencer a regalare agli uruguayani solo una magra consolazione nel 5-1 finale. Il Real è campione del mondo. Ma non per la Fifa. “Si è abusato in questa occasione, a puro titolo speculativo, del titolo” scrive il vicepresidente Ottorino Barassi sul Calcio Illustrato. “Il fatto, come esempio di malcostume, ha richiamato l'attenzione della Fifa, che ha aperto una questione con l'Uefa, che è andata al di là dei suoi poteri. Competizioni come la Coppa di Europa delle società (ed in parte anche quella europea delle squadre rappresentative che potrà forse un giorno diventare il vero e proprio campionato d'Europa) hanno avuto grande successo ma bisognerebbe far punto fermo, e non inventare altre competizioni (o appesantire quelle esistenti) perché si finirebbe per nuocere alle Associazioni nazionali”. Ci vorranno una quarantina d'anni perché lo scenario cambi.