Quanto sei bella Roma! La partita perfetta per una rimonta nella storia
Quanto si fa bella la Roma, quando è sera. Quando Totti e Cassano si specchiano nella squadra che prende tutte le stelle, quelle più belle, quella della Champions League, e si fa dare una mano da uno stadio che trascina, per un sogno che sembrava impossibile. Non aveva mai rimontato due gol di svantaggio in Europa, la Roma. Non giocava una semifinale di Champions dal 1984, l'anno del Dundee, del Liverpool e della paura di tirare un calcio di rigore. Ci ritorna, in semifinale, dopo il tris a un Barcellona che aveva perso una delle ultime 48 partite. Questa Roma sa di essere più vicina alle grandi d'Europa, con quell'idea offensiva semplice quanto letale, le verticalizzazioni di De Rossi per un Dzeko che calamita palloni, attenzioni e ambizioni.
I numeri: una rimonta da leggenda
La Roma non batteva in casa una squadra spagnola da dieci anni, dall'ottavo di finale contro il Real Madrid del 2008. E' l'ottava volta che i giallorossi ribaltano una sconfitta all'andata in una doppia sfida in Europa. Ma questa vale un pezzo di storia. Vale un'impresa da leggenda, di cuore, d'orgoglio, di squadra.
Dopo la Juventus l'anno scorso, è un'altra squadra italiana a fermare il Barcellona nei quarti di Champions. E' solo la quarta volta su 42 che i blaugrana escono dopo aver vinto all'andata. Hanno perso solo contro l'Atletico Madrid nei quarti di due anni fa, contro il Manchester United in Coppa delle Coppe nel 1984 e contro l'Aston Villa nella Supercoppa del 1982 che allora si giocava andata e ritorno.
Dzeko e Schick, che coppia
Dzeko terminale delle grandi occasioni guida il ribaltamento rapido con Umtiti distratto e richiamato da Valverde. Dzeko è spettacolare, segna il sesto gol in dieci partite in Champions, supera il record di gol di Pruzzo e dialoga con Schick che dimostra di trovarsi meglio come seconda punta atipica con il bosniaco a far da punto di riferimento principale davanti. Di Francesco gli chiede di non dare troppi riferimenti, di non andarsi a chiudere solo in appoggio a Florenzi sul fronte destro dell'attacco anche per agevolare le incursioni da dietro di Strootman. Certo, gli manca un po' di cattiveria ma la guadagnerà. A due, con Dzeko, ha trovato una dimensione più consona.
Nella notte di sogni, di coppe e di campioni, Florenzi e Kolarov si alzano a tempo, a elastico, in quello che diventa un 3-3-4 con le marcature a uomo, di fatto con duelli a specchio che esacerbano le difficoltà di Umtiti.
La Roma si muove in un equilibrio sottile, tra la necessità di pressare alto e di non lasciare campo alle spalle se il Barcellona supera la prima linea di pressing. Nainggolan deve inserirsi fra Rakitic e Semedo, le punte danno profondità contro una difesa incerta, scoperta, fragile. Il secondo tempo diventa un patrimonio da cui ripartire. Un tesoro di emozioni, con un Dzeko che viene incontro e anticipa anche i movimenti degli stessi compagni di squadra. Un tesoro di qualità, individuali e di squadra, che nelle grandi occasioni si rivelano, si moltiplicano, si esaltano.
Il Barcellona si scopre fragile
Iniesta, alla 667ma col Barcellona, a 99 da Xavi, non riesce a rappresentare in campo le indicazioni di Valverde, che non si capacita della troppa fretta con cui la sua squadra si libera del pallone. Pique tocca più palloni di tutti nel primo tempo (50), i blaugrana provano a gestire la costruzione bassa e ribaltare l'azione anche con lanci lunghi, il Barcellona, che prova a sorprendere fuori posizione la difesa alta della Roma e innescare Messi alle spalle dei centrocampisti a campo aperto, su palla scoperta.
Troppi gli errori, i passaggi sbagliati, le decisioni affrettate. Dietro i blaugrana ballano, la Roma crea superiorità numerica sugli esterni, Rakitic non argina in mezzo mentre Jordi Alba troppe volte si sente ignorato anche dai compagni. I tifosi passano dal timore, dal tremore al sollievo sulle prime due punizioni di Messi, non proprio all'altezza della Pulga. E di nuovo al timore e al tremore sul pallonetto di Dembelé che all'ultimo si gioca il biglietto della lotteria, su un fuorigioco giustamente non assegnato, con un pallonetto a porta vuota che galleggia a pochi centimetri dalla traversa. Da una delusione che sarebbe stata amarissima.
De Rossi, capitano e condottiero
De Rossi serve l'appoggio per il gol del vantaggio, si prende la responsabilità di battere il rigore del 2-0. Trascina, da leader, da capitano, contro un Barcellona in cui Messi va a spendere un cartellino giallo in pressing, in ripiegamento. Un tiro, un contrasto, oltre 30 passaggi scandiscono la prima ora di gioco. La presenza scenica si vede però ancor di più negli "intangibles", nei valori che non si possono toccare, che non si possono contare eppure contano eccome.
Sono i valori di intelligenza, di generosità che guidano Florenzi, che non replica il pallonetto di un paio d'anni fa ma pennella per El Shaarawy che sul secondo palo intuisce, anticipa e va in spaccata. Ma il sogno è solo rimandato. Un sogno che ha il volto di un Manolas commosso per il gol della semifinale, di De Rossi di Kolarov, di Florenzi che non smette di correre.
Tutti vogliono il VAR
La rabbia, per alcune decisioni nel primo tempo, riguarda anche l'arbitraggio. Si lamenta la Roma per il rigore del 2-0, assegnato solo dopo l'intervento del giudice di porta. Si lamenta Valverde per il secondo giallo a Fazio che, già ammonito, travolge Iniesta per neutralizzare un contropiede in mezzo al campo. A posteriori, visti i due rigori che mancano alla Roma nella gara d'andata, la questione sull'opportunità dell'introduzione del VAR, sdoganato anche per i Mondiali, torna. Da un lato, visti gli effetti della sperimentazione in Italia, l'accettazione dell'introduzione in Premier League, la consapevolezza dell'utilità che lo strumento tecnologico può avere è innegabile. Dall'altro, è comprensibile come l'UEFA cerchi il massimo di equilibrio, e una situazione nella quale ci siano arbitri, o addetti al VAR, non abituati all'uso dello strumento, perché magari introdotto nel rispettivo campionato nazionale, finirebbe per creare disomogeneità. Anche perché, contrariamente a un Mondiale, in cui è possibile una regia unica esterna con al massimo due partite in contemporanea, in Champions la questione è diversa e più pesante.
Ma ci sarà tempo per ragionare. Questo è il tempo dell'emozione. Il tempo di una Roma gladiatoria, che dimentica anche le polemiche dell'andata. Il tempo della Roma che scatena l'inferno, che conquista la folla e ha ottenuto la libertà di sognare in grande.