Pipita Higuain, l’oro di Napoli
“Tutti i calciatori dovrebbero provare cosa significa giocare nel Napoli”, diceva Omar Sivori. Anche Diego Maradona ha sempre rivendicato quanto abbia significato nella sua storia essere diventato qui il migliore di tutti. E il Pibe de Oro, cui non piace Sarri ma che per il tecnico con quella bocca può dire quel che vuole, ha incoronato il suo erede: Gonzalo Higuain. Arrivato per 37 milioni più 3 di bonus, terzo acquisto dell’era Benitez proveniente da Madrid dopo Callejon e Raul Albiol, convinto da un quadriennale da 6 milioni a stagione e dal progetto De Laurentiis, il Pipita de Oro fa presto dimenticare ai tifosi l'amore per Edinson Cavani. Napoli sogna, con un bomber da 36 gol in una stagione di A, che ha battuto anche il record che apparteneva a Nordhal. Un attaccante che oggi, secondo la valutazione del sito specializzato Transfermarkt, vale 47 milioni di euro: il secondo gioiello più prezioso della serie A dietro Pogba. L'oro di Napoli, insomma. Eppure, quando era piccolo, i medici avevano detto a mamma Nancy che Gonzalo avrebbe potuto soffrire per tutta la vita di problemi di coordinazione.
Affetto da meningite, salvo per miracolo – Era mattina presto, lo chiamano alla finestra, gli dicono tuo figlio sta molto male. È l'ottobre del 1988 e Jorge Higuain, il papà del piccolo Gonzalo, corre in ospedale. Il figlio ha dieci mesi e già lotta per la vita: ha una meningite fulminante. Jorge è stato una bandiera del Boca Juniors, ha cercato invano fortuna in Francia, in un Brest ambizioso quanto eccentrico, ma dopo la nascita di Gonzalo (che per questo ha due passaporti ed è stato a lungo, invano, corteggiato da Domenech per giocare nella nazionale francese), torna in Argentina per giocare con i rivali storici del River Plate. Diventa grande amico di Daniel Passarella, all'ultima stagione da calciatore.
Un angelo custode chiamato Daniel – È lui, che insieme a Gonzalo e Nancy, figlia di Santos Zacarias, “el Piponazo” che ha insegnato ai giovani di Buenos Aires a tirar di boxe, sorella di Claudio, difensore del San Lorenzo che proprio in quel 1988 rischiò la vita quando una bomba carta esplose in spogliatoio a Cordoba, veglia il piccolo Gonzalo per venti, lunghi giorni. Sarà sempre Passarella, diventato ct della nazionale, a favorire il provino di Higuain con le giovanili del River Plate, e dalle parti del Monumental ancora ricordano quella partitella: da una parte i titolari, con il futuro Pipita al centro dell’attacco; dall’altra le riserve con Messi trequartista e con la maglia numero 10 sulle spalle. Il resto è storia. Sarà sempre Passarella, tornato sulla panchina dei Millonarios, a far esplodere la carriera del Pipita.
Il River – Nel suo primo gol, contro il Banfield, la squadra in cui papà Jorge detto “el Pipa” ha chiuso la carriera da calciatore, c’è già tutto Higuain: anticipa i difensori su un lancio lungo e la tocca di punta quel tanto che basta, come ha imparato nei pulcini del Palermo Club. Il River vincerà 3-1 ma al Monumental non hanno ancora visto niente. Pipita entra negli ultimi venti minuti della gara di ritorno e risolve l’ottavo di finale di Copa Libertadores contro il Corinthians di Tevez e Mascherano, preludio a un giorno di gloria che vale un posto nella storia. L'8 ottobre va in scena il Superclasico numero 178 della storia. Contro il Boca del tecnico Rodrigo La Volpe, che aveva quasi eliminato l’Argentina ai Mondiali di Germania da Ct del Messico, il suo colpo di tacco entusiasma il Monumental. Gli è sempre piaciuto colpire così: leggenda vuole che una volta a nove anni, sempre di tacco, sia riuscito anche a fare canestro su un campo da basket, ma il racconto dell’unico altro testimone, Cesar Goldes, è perso tra la verità e la leggenda. Segnerà una doppietta in quel derby, il modo migliore per smettere di essere solo una promessa, un figlio d’arte, e diventare un futuro campione.
Gli anni al Real – Higuain sarà ceduto al Real Madrid, a gennaio del 2007, dopo 15 reti in 41 presenze, ben oltre le 7 reti messe a segno dal padre nei 141 incontri con i Millonarios. È il regalo di Natale del presidente Ramón Calderón a Fabio Capello. “Vidi delle cassette, mi interessò immediatamente perché si muoveva molto e partecipava sempre all’azione. Ha sempre dimostrato fiuto del gol e grande determinazione, è un calciatore importante. Mi colpiva una cosa in particolare del Pipita. A fine allenamento si fermava e tirava tante volte in porta. Voleva sempre migliorarsi tecnicamente, caratteristica questa dei grandi campioni” ha raccontato per I Signori del Gol a Sky. Come a Buenos Aires, è un derby a farlo amare in quella prima, mezza stagione: è lui a pareggiare al Vicente Calderon su assist di Cassano, rimasto ai margini della squadra dopo la celebre imitazione del tecnico di Pieris, che vince il campionato ma non salva la panchina.
Il rapporto col nuovo tecnico, Schuster, non decolla. “Ma questo qua non sa proprio segnare?” sbotta in panchina il tedesco. Lo sa ancora fare, e a Pamplona firma il gol che vale il secondo titolo consecutivo. Sul pullman scoperto che trasporta la squadra in trionfo, il vicepresidente Gaspar Rosety tiene stretto il pallone di quella partita: lo conserva ancora nella sua casa di Gijon. Nel 2008, anche per l'infortunio di Van Nistelrooy, vive l'anno della svolta. Contro il Malaga, per la prima volta segna 4 gol in una stessa partita, e a Natale regala la prima vittoria da tecnico del Real a Juande Ramos, scelto per sostituire l'esonerato Schuster. Si trova ancora meglio con Manuel Pellegrini, l’Ingegnere chiamato nell’estate 2009 per dare l’assalto alla Champions League, che porta nello staff l’ex portiere Rubén Cousillas, compagno di squadra di papà Jorge al San Lorenzo trent’anni prima. Segna 27 gol in campionato, uno più di Cristiano Ronaldo, e firma il suo primo centro in carriera in Champions League.
Combina sulla destra su Raul e trova il diagonale vincente che frutta al Real la terza rete nel 5-2 sul campo dello Zurigo del 31 ottobre 2009, il giorno della prima doppietta di Cristiano Ronaldo con la nuova maglia. La Champions, però, resta un miraggio, anche per Jose Mourinho, che non mette Higuain al centro del progetto madrileno al primo anno. Il Pipita però segna la rete numero 700 del Real tra Coppa Campioni e Champions, contro il Milan, e tocca quota 100 l'anno dopo con la camiseta blanca: compone con Karim Benzema e Cristiano Ronaldo il tridente d’attacco più prolifico nella storia della Liga. Ma dopo tre anni, dopo 121 reti in 264 partite, capisce che è di nuovo ora di partire. E allora prende tutto, e come San Giuseppe, rotola per le scale cercando un altro Egitto. Lo troverà a Napoli.
Pipita de Oro – Vero asso di coppe, ha segnato in tutte le competizioni, dalla Champions League, preliminari compresi, all’Europa League, e ha deciso praticamente da solo la Supercoppa a Doha: doppietta e penalty trasformato nella serie di rigori che ha condannato la Juventus. Il fratello Nicola, che gli fa da manager, si è spinto ancora più in là: si è tatuato Pulcinella su un fianco, un omaggio a Napoli e ai tifosi che portano Gonzalo nel cuore, il marchio di una corrispondenza d’amorosi sensi. Ci ha messo la faccia dopo la vittoria di Pirro contro l'Arsenal, quel 2-0 che ha fatto del Napoli la prima squadra a non passare un girone di Champions League con 12 punti, ha mostrato gli attributi, e non solo come metafora, nel duello qatariota contro Tevez. È un trascinatore decisivo come nessun altro nel calcio italiano, che segna con dirompente puntualità e si arrabbia quando sbaglia o quando i compagni non capiscono un suo movimento.
Dipendesse da lui, il Napoli dovrebbe uscire sempre a testa alta. Pochi riescono ad incidere sul rendimento di una squadra come fa lui. Tatticamente ntelligente, incisivo negli ultimi venti metri, ha maturato una eccellente visione di gioco oltre alla capacità di vedere e servire il compagno smarcato. Anche per questo se la prende se intorno a lui non tutto gira come dovrebbe. Dopo le ombre e i dubbi dell'ultima parte della scorsa stagione, dopo il cambio di modulo di Sarri è rinato. È tornato il simbolo che ha fatto innamorare il popolo del Napoli. Un’affinità elettiva perfetta e totalizzante, una storia scritta nel cuore e col cuore, dal finale ancora pieno di tante pagine bianche. Perché le grandi destinazioni non sono già tutte descritte. E il viaggio del Napoli è solo all’inizio.