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Nazionale, Prandelli: “Io ct dell’Italia? Dico sì di nuovo con un progetto serio”

Cesare Prandelli, ex ct della Nazionale, si candida alla successione di Ventura: “Tornassi indietro accetterei l’incarico cento e mille volte ancora. Ma in Italia ci vuole gente che metta davanti l’interesse per il calcio”.
A cura di Maurizio De Santis
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L'avventura di Cesare Prandelli al timone della Nazionale finì nell'estate del 2014 quando, dopo la sconfitta con l'Uruguay che estromise l'Italia dal Mondiale ai gironi della Coppa in Brasile, rassegnò le dimissioni dall'incarico e con lui disse addio anche l'allora numero uno del calcio italiano, Giancarlo Abete. Pagò in prima persona per le scelte fatte, a cominciare dalla convocazione di Mario Balotelli che – protagonista all'Europeo due anni prima – lo fu anche in Sudamerica ma non certo per meriti sportivi. Oggi tornerebbe alla guida degli Azzurri? Ai microfoni di Fox Sports l'ex commissario tecnico si dice disponibile.

Se me lo chiedessero le persone con un progetto sportivo ci si potrebbe pensare – ammette Prandelli, intervistato ad Abu Dhabi in occasione della finale del Mondiale per Club tra Real Madrid e Gremio -. Non ho avuto il coraggio di chiamare Ventura dopo la mancata qualificazione al Mondiale di Russia. Stavo male per lui. Lui non deve rimproverarsi di nulla perché è il sistema che non ha funzionato. Alla Nazionale non si può dire di no. Tornassi indietro accetterei l'incarico cento e mille volte ancora.

Progetto sportivo, persone qualificate e volti nuovi. Serve ripartire e farlo con un piano di ampio respiro, con persone che aiutino – con il loro operato – alla crescita del movimento. Concetto semplice, semplice. Più facile a dirsi che a farsi… però Prandelli ci crede e spiega la sua visione.

In Italia ci vuole gente che ami il calcio, che mettono davanti l'interesse per il calcio, la crescita dei giocatori e del movimento: penso a Albertini, Zoff, Tommasi, Tardelli e Maldini. Ce ne sono di persone che hanno dimostrato nella vita di avere qualità etiche e morali e di che hanno anteposto la parte sportiva a quella economica.

Questione di uomini e di programmi ma anche di mentalità. Prandelli chiosa l'intervento parlando anche dell'atteggiamento differente che deve esserci da parte delle stesse società e dei presidenti.

In Italia per certi presidenti mandare i giocatori in Nazionale è un danno. I giocatori italiani giocano poche partite a livello europeo. È lì che si formano i campioni che rischiano un dribbling o un tiro. Invece noi facciamo solo il compitino.

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