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Messi diventerà grande come Maradona? Russia 2018, un Mondiale per fare la storia

Tripletta all’Ecuador, Argentina al Mondiale. Messi s’è preso il palcoscenico nei 90′ più importanti della Seleccion che ha rischiato di essere eliminata nel girone di qualificazione. La Pulce finalmente decisiva, il ct Sampaoli lo esalta così: “Messi non deve un Mondiale all’Argentina ma il calcio deve un Mondiale a Messi. È il miglior giocatore della storia. Grazie a Dio il miglior giocatore della storia è di nazionalità argentina”.
A cura di Jvan Sica
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tripletta messi mondiale

L’Argentina ce l’ha fatta. Ma soprattutto ce l’ha fatta Lionel Messi, per la prima vera volta. Mai fino ad oggi la Pulce era entrata nel cuore e nell’animo del popolo albiceleste, accompagnandolo per mano alla manifestazione calcistica più importante al mondo. I tre gol realizzati nella partita contro l’Ecuador fanno sì che diventi (assieme a Suarez) il giocatore sudamericano che ha segnato più di 20 gol (21) nelle qualificazioni mondiali. E tracciano una linea spartiacque. Prima della gara giocata a Quito, Messi era un alieno, cresciuto in Spagna, con la faccia sempre troppo triste per portare la Seleccion alla vittoria. Da questa notte per gli argentini Messi è davvero uno di loro, ha dato felicità e soprattutto tutta l’energia e la classe che ha in corpo per portare ai Mondiali una squadra tutto sommato mediocre in tanti ruoli, al di là di un attacco fin troppo ricco.

Messi non deve un Mondiale all'Argentina ma il calcio deve un Mondiale a Messi – ha ammesso il ct, Sampaoli -. È il miglior giocatore della storia. Grazie a Dio il miglior giocatore della storia è di nazionalità argentina ma dobbiamo far sì che non dipenda sempre tutto da Messi. Il gruppo aveva l'obbligo di accompagnare Messi al Mondiale.

Un argentino che quasi da solo fa vincere una squadra mediocre? Ma dove l’abbiamo già sentita? Ovvio che da stanotte il binomio Messi/Maradona verrà ripetuta sempre più spesso perché il 10 del Barcellona ha creato davvero i presupposti per essere accostato al 10 che è stato del Napoli. Il grande romanzo parallelo tra Messi e Maradona inizia appena la Pulga appare nel mondo del calcio. Inevitabile, ingombrante, a tratti ingeneroso l'accostamento per caratteristiche tecniche, tattiche, l’essere difficilmente inquadrabile in un ruolo specifico (anche se all’inizio Rijkaard lo utilizzava solo in fascia per poi essere accentrato e avvicinato alla porta da Guardiola), fantasia, capacità di risolvere la partita in un attimo con un colpo ad effetto.

Messi invece sembra essere davvero diverso. Nel 2006 la Pulce va ai Mondiali con un’Argentina che ‘non è sua' e Pekerman fa di tutto per non coinvolgerlo nell’anima della squadra. Lo utilizza da ultimo arrivato e ottiene una squadra ordinata, che pensa attraverso i piedi di Riquelme e improvvisa attraverso le sfuriate di Tevez. In una squadra così Messi è il bimbo dorato che però non si prende il palcoscenico sperato. Sembra molto simile all’esordio di Maradona ai Mondiali spagnoli del 1982. Anche lì la squadra era in mano a Passarella, Kempes e Ardiles e Maradona finì male quel Mondiale venendo espulso contro il Brasile.

Il 2010 doveva essere il Mondiale in cui tutto si sarebbe compiuto. Il primo numero 10 era in panchina e guidava l’altro numero 10 in campo, attesi alla vittoria finale. Quanto ordinata e forse un po’ prevedibile era l’Argentina di Pekerman, così disordinata e senza un flusso costante di gioco era l’Argentina di Maradona. Se lì Messi aveva difficoltà di inserimento perché i meccanismi erano determinati, nell’Argentina di Maradona-tecnico Messi si è trovato in un ‘bailamme' a cui non era assolutamente abituato negli anni d’oro che stava vivendo con il Barcellona. Attaccanti che portavano palla, centrocampisti che sapevano schermare ma non dare ritmo alla manovra, difesa di lotta e niente più. In questa entropia tattica Messi si ingarbuglia totalmente e gioca un Mondiale scadente, senza segnare nemmeno un gol.

Quattro anni dopo, un’altra prova. Il vero banco di prova per capire se Messi è davvero paragonabile a Maradona. In Brasile l’Argentina arriva con un allenatore che sa fare una cosa molto bene. Capire come utilizzare meglio Messi e gli altri della sua rosa galattica. Schiera i calciatori dove vogliono giocare, magari sacrificando leggermente solo lo stesso Messi, a cui viene rubato lo spazio che ha nella sua squadra di club da un altro centravanti di grande presenza, Higuain. Ma i due, con Di Maria, si capiscono fin da subito e l’Argentina, senza soffrire mai arriva alla finale con la Germania, pronta a festeggiare nella terra degli acerrimi rivali.

Invece non sarà così, Messi stecca la partita, giocandola a sprazzi. E ancora una volta viene sottolineato quello che lo differenzia e lo distanzia da Diego, la personalità, quella capacità di muovere undici e più uomini verso l’obiettivo finale, anche quando quell’obiettivo sembra quasi impossibile da raggiungere. Con Maradona tutti hanno giocato meglio, e non era soltanto una questione di opportunità nuove che la sua classe e il suo genio sapevano darti, ma proprio perché Maradona si imponeva su tutto come l’esempio da seguire, e non seguirlo sarebbe stato un tradimento troppo grande.

In Russia 2018 l'ultima chiamata. Messi, già silente e poco trascinante di suo, in alcune partite si fa davvero troppo piccolo per poter contare davvero per gli altri (Diego stesso lo aveva capito quando disse che l’Argentina era Mascherano e altri dieci). Questo però fino a stanotte, quando sul palcoscenico infuocato di Quito Messi ha segnato una tripletta e portato di peso l’Argentina ancora molto sconclusionata di Sampaoli al Mondiale. In Russia questa estate l’ultima chiamata. Messi diventerà grande come Maradona?

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