video suggerito
video suggerito

Luciano Spalletti, il calcio libero del profeta di Certaldo

Ritratto del tecnico tornato alla Roma. Parole, opere, omissioni e schemi dell’allenatore che Daniele De Rossi non ha esitato a definire un genio. Analisi del suo calcio libero e innovativo.
40 CONDIVISIONI
Video thumbnail
Immagine

Il furgone del mobilificio Trio passava di mattina: Luciano Spalletti montava su e andava tra Sovigliana e Vinci, in compagnia del fratello. Proprietari al 50%. Scaricavano e assemblavano divani. Aveva ancora i baffi e qualche capello. Al pomeriggio, poi, allenava la squadra degli allievi dell'Empoli. “Non uso la lavagna” diceva ai ragazzi pronti a seguirlo. “Io preferisco ripetere le situazioni di gioco in campo, undici contro undici come la domenica”.

La carriera – Spalletti è stato un numero 8, un centrocampista di corsa e sacrificio, ma non di grande qualità. Figlio di un guardiacaccia, comincia a giocare all'Avane e alla Cooperpopolo. Un calcio semplice per bambini senza troppe sovrastrutture, “dove il portiere era colui che la prendeva con le mani, il libero quello cicciottello, il marcatore quello che tirava giù calci a tutti, la punta colui che calciava sempre in porta, da tutte le posizioni”, racconta sul suo sito ufficiale. Culla a lungo il sogno della Fiorentina. La Viola “era il simbolo del territorio, era la Serie A e poi c’erano Galdiolo, Roggi, Antognoni e l’amico soviglianese Luciano Venturini”. Ma dopo qualche partita negli allievi, viene retrocesso al Club Sportivo Firenze”. Da lì, è un peregrinare fra i dilettanti: la Volterrana in Promozione, la Cuoiopelli, il Castelfiorentino.

La svolta con Ventura – E’ Giampiero Ventura, tecnico dell'Entella, a portarlo per la prima volta in C2. Gli chiede poi di seguirlo anche allo Spezia, in C1. “Il mio sì fu carico di entusiasmo e riconoscenza verso il mio attuale amico e collega; avevo fatto un altro piccolo balzo verso il calcio che sognavo”. Seguono quattro stagioni di passione, tra il calore del pubblico delle Cinque Terre e le cene alla Marina di Portovenere, con i risotti del futuro chef della Juventus. Quattro anni, e Spalletti cambia: una sequenza che scandirà tutta la sua storia.

L'Empoli e gli inizi in panchina – Il progetto Viareggio naufraga presto per problemi societari, e Spalletti raggiunge un sogno mancato da piccolo. Il futuro profeta di Certaldo, l'allenatore bon-vivant che condivide i natali con Boccaccio, va a giocare nell'Empoli del presidente Fabrizio Corsi, suo amico di vecchia data. C'è Guidolin in panchina, e in campo brillano Gautieri, Montella, Protti, Galante. Spalletti comincia a prendere appunti, a studiare da tecnico. E il futuro si fa presente nelle ultime sei giornate della stagione 1993-94. L'Empoli è penultimo, ma si salva anche grazie a un Montella in forma smagliante nell'andata del playoff contro l'Alessandria.

Lo stile in panchina – Da allenatore, scrive Mimmo Ferretti, Spalletti “non ha i “paraocchi”, sul piano tattico: anzi, prende un po’ qui e un po’ là da tutti. C’è chi lo definisce uno zemaniano pentito, ad esempio. Due sono, al riguardo, le cose certe: il boemo andò a studiarlo a Empoli; il boemo è stato il suo primo avversario nella massima serie. In realtà, Spalletti mischia, ricicla, adatta, inventa”. È l'allenatore ideale, sosteneva Luca Valdiserri sul Corriere della Sera, “per un calciatore che si vuole mettere in discussione, il peggiore per un calciatore che si sente già arrivato. Tutto ruota intorno a una convinzione e a un concetto. Il primo: cercare la qualità. Il secondo: arrivarci con l’applicazione”. Perché, spiega Spalletti, “non sempre ti aiuta il talento. Giocare, come allenare, costa fatica”.

Spirito di squadra – Il ragazzo che ha sempre chiarito agli amici da che parte stava, che ragionava con la mia testa e sapeva dire di no, diventa un allenatore che ha costruito rapporti di amicizia, e non solo professionali, con molti giocatori. “Se c'è questo, i ragazzi possono dare anche qualcosa di più del massimo”. Cura i dettagli e tutto quello che può alimentare lo spirito di squadra. “Quando ci alleniamo pretendo che le cose che riguardano il lavoro, tipo spostar una porta, le facciamo insieme, io e i giocatori. Non devono pensare che i magazzinieri siano i loro maggiordomi”. Il calcio è vita, non è solo una professione, per questo le ispirazioni possono arrivare anche fuori dal campo di allenamento. "Quando vado al bar, sto attento anche alle bischerate. Sento quello che la gente ha da dirmi, tutto. Magari può esserci qualcosa di buono per il mio lavoro” raccontava al Foglio.

Due miracoli – Nasce su queste premesse il miracolo Empoli. Un doppio salto dalla C1 alla A che sembrava impossibile per un tecnico che ha iniziato senza avere nemmeno il patentino. “ I successi dipendono da tanti fattori che hanno a che fare anche con la casualità” raccontava in un'intervista a Massimo Cecchini. “Ma ciò che conta è mettere basi di cemento armato per poi salire. Magari non si arriverà al ventesimo piano, ma le soddisfazioni ci sono lo stesso”. Conosce la paura, il tremore dell'esordio prima della serie A. “Non mi sento in grado d'allenare in A, non conosco nemmeno i giocatori avversari" sosteneva. Corsi sdrammatizza e lo convince. "Ti si compra l'album delle figurine, così impari tutti i nomi". Due mesi dopo ha già battuto Lazio e Fiorentina. E i tifosi cominciano a scrivere sugli striscioni: “Sacchi più Zeman uguale Spalletti”. Passano poi quattro anni di insoddisfazioni, sconfitte, esoneri, fra Sampdoria, Venezia, Udine e Ancona. Perché il calcio, come la vita, non è facile per nessuno e devi rischiare la notte e la malinconia se vuoi gustarne fino in fondo tutto il suo profumo.

Poi il treno del successo riparte. Pozzo investe su di lui, e Spalletti, che si sta facendo una fama di allenatore triste, ritrova l'immagine vincente. Crea un modello spettacolare che ruota intorno alla regia di Pizarro, e porta l'Udinese prima in Coppa Uefa, poi addirittura in Champions League. “Io faccio la zona” spiega, “perché, tolto Ventura, tutti i miei allenatori erano zonisti, perché sono convinto che sia la scelta più vantaggiosa per la copertura degli spazi. Ho una squadra di quantità, con cui m’intendo perché mi somiglia. Mi regalassero un fantasista non lo vorrei. Vorrei gente come Maldini, Batistuta, Casiraghi. Credo molto nello spogliatoio, alleno come un fratello maggiore che sa di dover passare a sergente di ferro”.

L'occasione Roma – Le stesse due anime scandiscono la sua esperienza alla Roma. Accolto con freddezza, arriva in giallorosso lo stesso giorno in cui è nata Gaia, la figlia di Daniele De Rossi. “Lo chiamai e gli chiesi un giorno di ferie, per dormire insieme alla bimba. Mi rispose ‘Dai un bacio alla bambina e vieni subito a Trigoria. C'è l'allenamento'. L'ho odiato. Poi, ho conosciuto una persona meravigliosa. E' un genio. Un allenatore incredibile" ha detto. Per la rivoluzione, c'è da aspettare il 18 dicembre del 2005. A Genova, contro la Sampdoria, deve rinunciare a Cassano, Montella e Nonda. Con Andreazzoli, il suo tattico, nasce l'intuizione di una squadra senza centravanti, con Totti reinventato prima punta.

“Fu soprattutto lui ad indicarmi la strada da seguire, giocatori di questa pasta si modellano da soli. E poi avvicinare Francesco all’area di rigore è come mettere la volpe vicina al pollaio: trova sempre lo spazio per creare terrore”. Il 4-2-3-1 diventa il marchio di fabbrica della più bella Roma degli ultimi anni, la Roma delle undici vittorie di fila, del trionfo al Bernabeu e del doppio passo di Mancini a Lione (ma è anche la Roma del 7-1 all'Old Trafford, si ricorderà). Ruota tutto intorno a due concetti-base: chi ha la palla, la gioca e va avanti; passare sempre a un giocatore in movimento. È un coro, un ingranaggio perfetto e sottile, che ha bisogno di tecnica e di una condizione atletica invidiabile. Un moto perpetuo che trasforma un gregario come Perrotta nella colonna di una squadra che ragiona in termini di spazi da aggredire. Una storia, un modello che, se ripetuto nella Roma di oggi, potrebbe facilmente portare all'ennesima reinvenzione tattica di Florenzi.

Spalletti oggi – Spalletti torna con un amore mai finito e con un discorso sospeso, a risolvere una guerra del cuore ormai logorante fra i tifosi, la squadra e Garcia. Torna con un peso internazionale diverso, dal quadriennio con quattro trofei allo Zenit San Pietroburgo, che ha trasformato nel diamante del nuovo calcio russo e nel blocco chiave della nazionale. Torna per bandire tacchi e numeri sterili. Torna perché quello scudetto solo accarezzato per un tempo ancora pesa. Torna come una distrazione, come un dovere. Torna perché certi amori non finiscono, anche se fanno dei giri immensi.

40 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views