Lazio, unica squadra di Serie A senza sponsor: Lotito resiste contro la ‘svendita’ delle maglie

C’è un risvolto della crisi che sta colpendo l’economia che potrebbe causare danni anche al calcio e si tratta dello sponsor sulle magliette di calcio. Sponsor, ovviamente, che hanno tirato il freno a mano e che non elargiscono più denari senza criterio tanto che alcuni club in Europa hanno iniziato la propria stagione senza la classica "pubblicità" sulla divisa ufficiale. I primi sintomi si sono visti in Spagna dove a stagione iniziata ben 9 club (poi ridottisi a 6) su 20 non avevano ancora trovato uno sponsor da stampare sulla maglia. E non si tratta solo di club minori, da tempo in difficoltà economiche e a gestione controllata per mancanza di pagamento degli stipendi ai giocatori e rossi in bilancio; la situazione ha coinvolto ‘corazzate‘ come Valencia e Villareal, che disputano la Champions League oltre ad Atletico Madrid e Siviglia ai nastri di partenza dell’Europa League. Dietro al Barcellona e al Real Madrid, insomma, c'è un preoccupante vuoto legato agli introiti provenienti dal marketing classico. Le due superpotenze iberiche da sole raccolgono l’80% dei fatturati pubblicitari degli sponsor di maglia spagnoli (30 milioni il Barcellona e 25 più bonus il Real Madrid). Agli altri restano semplicemente le briciole anche perchè il costo deciso a tavolino per la sponsorizzazione della propria maglia è stato stabilito dai presidenti in non meno di 3 milioni di euro. Un po' come ha deciso in Italia, Claudio Lotito presidente di una Lazio che ad oggi è l'unica in Serie A a non avere pubblicità sulla propria divisa.

Un calcio costruito sugli sponsor
Alla partenza del nostro campionato di Serie A erano solo tre società (rispetto alle spagnole) a non avere il main sponsor: Bologna, Genoa e Lazio (oggi solo La Lazio). Per le altre non ci sono stati problemi e recenti inchieste hanno dimostrato come, malgrado tutto, la nostra Serie A regga e il fatturato attorno agli sponsor "da maglietta" sia in leggero aumento. Le sponsorizzazioni garantiscono da sole circa un sesto del fatturato e come introiti siamo alle spalle solo di Premier League e Bundesliga in un mercato che nella scorsa stagione valeva circa 470 milioni di euro. A preoccupare con la recessione in corso è, invece, la crisi che sta investendo le banche che in Italia rappresentano il 40% delle sponsorizzazioni totali. Sulle maglie della Serie A sono infatti comparsi i marchi di Banca Popolare di Verona (Chievo), Bancapulia (Lecce), Banca Popolare di Novara (Novara) e Mps (Siena), tutte delle realtà legate ai territori di riferimento senza l’impegno diretto dei colossi del credito come, invece, avviene all’estero. Un altro bacino cui attingere è anche quello attorno al mondo delle scommesse, intese come aziende del settore, che in un anno sono cresciute come investimenti nel calcio del 48%. La Francia ha liberalizzato la pubblicità nel 2010, la Germania sta cambiando la legge e da noi sono già presenti marchi di grande diffusione come BetClic (Juventus) Eurobet (Palermo), Izi Play (Genoa) ma per intenderci basti pensare al main sponsor della serie B, il colosso estero Bwin. Ma la crisi è sempre dietro l'angolo e in Inghilterra c'è chi come il Manchester United, si è inventato una strada nuova con la sponsorizzazione da 46 milioni di euro della DHL sulle maglie d’allenamento.

Anche il Barcellona cede alla logica del business
L'altra scelta, che ha fatto discutere ma che non è potuta essere rifiutata è quella adottata da quest'anno dal Barcellona. Storicamente la società che si vanta essere "mes que un club" (più di una semplice società) ha portato con orgoglio sul petto la scritta benefica dell'Unicef, dal lontano 2006, come partner ufficiale, versando un milione e mezzo all'ente che si occupa del sostegno all'infanzia in difficoltà, in cambio del privilegio di poter mettere il suo logo sulla casacca tra le più prestigiose e vincenti dell'ultimo decennio. Oggi, quel logo è finito in basso, sulla schiena, in second'ordine, sotto al numero, davanti all'obbligo – economico e di bilancio più che morale – di avere marchiato a bella vista la scritta della "Qatar Foundation", a favore di telecamere e fotografi. Anche l'ultimo ‘baluardo‘ è caduto davanti ai 170 milioni di euro in cinque anni offerti dagli emiri arabi e poco conta le critiche che sono puntualmente sopraggiunte ai vertici del Barça. Certo, il mantenimento della scritta e dell'accordo con l'Unicef (cui va sempre il solito 1,5 milioni di euro) ha reso l'operazione un po' meno criticabile ed eticamente accettabile ma è un chiaro segno dei tempi che corrono. Non così, per tornare in Italia, per Claudio Lotito patron della Lazio controcorrente con ragione o meno su moltissimi temi del calcio e – oggi – anche su quello degli sponsor sulla maglia.

La battaglia di Lotito, unico senza sponsor
La Lazio che gioca in Europa League e vuole essere tra le protagoniste in Italia, oggi è l'unica formazione professionistica italiana a giocare nella massima serie senza avere un main sponsor sulla propria divisa ufficiale. Non perchè i responsabili del marketing della società siano stati incapaci di ‘vendere' il prodotto. Anzi, dopo l'ottima campagna acquisti estiva e gli arrivi importanti di Cissè e di Klose che hanno "aperto" alla Lazio anche l'interesse di mercati importanti come quello francese e quello tedesco, di richieste e proposte ne sono arrivate, ma tutte sono state accantonate. Il diktat del patron biancazzurro è stato perentorio: nessuna svendita del valore della divisa, chi vuole "marchiare" la Lazio deve sapere che la prima maglia vale 4 milioni di euro, nè più nè meno. Una presa di posizione forte e intransigente che al momento non ha trovato risposte positive. Bisognerà capire fino a che punto Lotito stesso potrà (vorrà) continuare in questa direzione rifiutando gli attuali "inserzionisti" già pronti a versare meno (ma immediati) soldi nelle casse della società. E, comunque, dati alla mano, non è che Lotito questa volta abbia completamente torto.

La ‘svendita' al miglior offerente
Malgrado i problemi economici, un recente studio dell’agenzia "SportEconomy" ha infatti rivelato i dati relativi al mercato delle sponsorizzazioni in Serie A, cresciuto del 16% rispetto alla passata stagione nonostante la crisi che ha colpito il paese. Il totale si attesta a 72,35 milioni di euro, frutto dei 30 marchi che campeggiano sulle divise delle squadre. All'inizio erano solo due i club che non avevano sottoscritto nessun accordo commerciale, si trattava di Genoa e Lazio. Il Grifone però, a serie A iniziata ha chiuso un accordo commerciale con Izi Play, azienda del settore delle scommesse. Ben 10 club presentano il doppio sponsor e a guidare la classifica troviamo l’Inter che da Pirelli prende ora 12,7 milioni, sorpassando i cugini del Milan fermi a 12 con l'Emirates. Sul podio anche il Napoli che, forte dell’accordo stipulato con MSC, ha fatto un grande balzo in avanti sorpassando la Juventus (non è noto l’introito ricavato da Balocco, main sponsor per la seconda maglia ufficiale). Assieme ai bianconeri c’è a sorpresa il Siena con 7 milioni elargiti da Monte dei Paschi. A chiudere questa speciale classifica Cesena e Lecce, ferme a 750.000 euro. Ma non è tutto oro ciò che luccica e qui ritorna la volontà di Lotito di non voler "svendere" la Lazio. Rispetto all’estero, infatti, siamo tremendamente lontani dalla Premier League che ha registrato un nuovo record, volando a 117,5 milioni di sterline. Il dato è ancora più sconfortante se pensiamo che hanno un solo marchio sulle divise. Nella top 3 inglese, tutte a 20 milioni, ci sono Manchester United, Manchester City e Liverpool. Chiude il Norwich con 350.000 sterline.
Non a caso, per far fronte alla crisi, tra le altre cose la Lega ha approvato da questa stagione e per il futuro, l’aumento da 250 a 350 cm quadrati dello spazio riservato agli sponsor, che resteranno sempre due. La misura massima di un singolo sponsor rimarrà di 250 cm quadrati, rifiutando la proposta del Napoli di de Laurentiis che aveva richiesto la possibilità di inserire almeno tre sponsorizzazioni contemporanee.
E a quel punto, come dar torto, per una volta, a Claudio Lotito?