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La serie A a 18 squadre: ecco perché sarebbe una buona idea

Il presidente Tavecchio vuole riportare la serie A a 18 squadre. Una scelta che potrebbe risollevare l’equilibrio competitivo del nostro campionato. Con effetti positivi per tutti i soggetti. Sarebbe comunque solo un primo passo, non la soluzione di tutti i mali.
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L'Italia dei campanili ha anche il record di squadre professionistiche di calcio. Con la riforma della Lega Pro, la vecchia serie C, tornata la terza divisione unica per la prima volta dal 1978, il numero è sceso a 102 dalle 132 del 2003-2004, anno record con la serie B a 24 per il caso Catania.

Inghilterra – In Italia ci sono dunque 10 squadre professionistiche in più dell'Inghilterra, che pure ha quattro campionati professionistici. La Premier League, a 20 squadre, dal 1992 si è staccata per trattare autonomamente i diritti tv e riconoscere una quota minore di mutualità alle serie inferiori. Alla Football League resta il governo dei campionati di seconda, terza e quarta serie, la Championship, la League One e la League Two, tutti a 24 squadre. E dal 2016 potrebbe aggiungersi una quinta categoria pro per le squadre riserve, che ora disputano un campionato a parte simile alla nostra Primavera.

Spagna e Francia – All'opposto, tra i principali campionati europei, Spagna e Francia che hanno solo due serie professionistiche per un totale, rispettivamente, di 42 e 40 squadre. La Liga de Futbol Professional iberica gestisce solo la Primera Division e la Segunda Division, dalla terza serie (la Segunda Division B) si passa sotto l'egida della federazione. Il campionato spagnolo è l'unico a consentire alle squadre riserve di partecipare ai campionati professionistici, anche se non possono più competere in Copa del Rey: resterà dunque unico il caso del Real Madrid Castilla che vinse la coppa nazionale nel 1980 e conquistò il diritto di entrare in Coppa delle Coppe l'anno successivo (perse dal West Ham al primo turno). Non possono comunque salire in Primera Division: nel 2011 e 2014 le riserve del Barcellona hanno conquistato i playoff promozione ma non li hanno potuti disputare per regolamento. Anche l'introduzione delle “squadre B” è una delle proposte di Tavecchio per la riforma del calcio italiano. In Francia, invece, le squadre riserve, come le formazioni dilettantistiche, possono arrivare al massimo alla National, la terza divisione. Ligue 1 e Ligue 2 sono le uniche categorie professionistiche, per un totale di 40 squadre.

Germania – Tre le serie professionistiche in Germania, che però ha introdotto la Zweite Bundesliga, la seconda divisione, solo nel 1973. Prima, dopo la Bundesliga c'era solo la Regionalliga, un campionato semi-professionistico suddiviso in cinque gironi regionali (Nord, West, Südwest, Süd e Berlino). Anche la seconda divisione è spezzata in due raggruppamenti fino al 1981, quando passa al girone unico. Con l'unificazione, si allarga provvisoriamente a 24 squadre, ridotte a 18 dal 1993-94. Nel 2008 sparisce la Regionalliga sostituita dalla Dritte Bundesliga, la terza divisione che ha fatto salire a 56 il numero di squadre professionistiche teutoniche. La Bundesliga è l'unico dei principali campionati europei ancora a 18 squadre, il numero cui Tavecchio vorrebbe riportare anche la nostra serie A. E i numeri dicono che sarebbe una buona decisione.

Parola chiave: equilibrio competitivo – Perché ridurre il numero di squadre aumenta l'equilibrio competitivo e l'interesse del campionato. Non è solo il buon senso a suggerire questa conclusione, ma uno studio longitudinale del professor Loek Groot, della Utrecht School of Economics, pubblicato nel 2003, che applica ai campionati di serie A il suo indice di misurazione del competitive balance basato sui “punti sorpresa”, che abbiamo esteso applicando lo stesso metodo ai campionati fino alla scorsa stagione. Ogni partita ha un numero di punti sorpresa pari a zero se a vincere è la squadra che a fine stagione si è classificata meglio, pari alla differenza in classifica in caso di pareggio o al doppio del divario in caso di vittoria della squadra più debole. La somma dei punti sorpresa viene poi ponderata e divisa per il totale che si otterrebbe in una lega ideale perfettamente equilibrata, che dipende dal numero di squadre che partecipano al campionato. Nel periodo 1972-1988, sottolinea Groot, con la serie A a 16 squadre, l'indice di sorpresa, che possiamo considerare come la percentuale di imprevedibilità del campionato, è in media al 62%, per poi scendere al 57% tra il 1989 e il 2004, quando la serie A passa a 18 squadre. Tocca il punto più basso proprio nel 2003-2004 (48%), l'anno in cui Ancona, Brescia, Chievo, Empoli, Modena e Perugia si fanno attirare dalla nuova pay tv della Lega, Gioco Calcio, che promette 54 milioni di euro complessivi per le sei squadre. Ma dopo pochi mesi fallisce e i club, sull'orlo del fallimento, si trovano costrette ad accettare da Sky cifre molto più basse. Nei dieci campionati a 20 squadre, l'imprevedibilità della serie A scende ancora, al 56,4%: una perdita di competitività contenuta dall'eccezionalità della stagione 2004-2005, in cui la crisi di Roma, che cambia tre allenatori (Prandelli, Voeller, Del Neri), Parma e Fiorentina spingono l'indice di sorpresa al 67%. Un altro studioso, l'italiano Maurizio Brizzi, ha mostrato che un valore del 60% indica che la lega è tra le prime dieci più equilibrata d'Europa, mentre un tasso sotto il 45% indica uno dei dieci campionati più squilibrati. Purtroppo, con due stagioni su 10 al 49%, la serie A a 20 squadre ha gradualmente perso competitività. E il minore appeal si traduce in minori introiti per i diritti tv, quest'anno per esempio Mediaset ha ridotto il numero di squadre di cui trasmette le partite, in contratti di sponsorizzazione meno lucrativi o addirittura inesistenti, sette squadre senza marchi sulle maglie sono un record negativo non proprio piacevole, in stadi sempre più vuoti, un effetto negativo che quest'anno non ha risparmiato nemmeno lo Juventus Stadium, al di là della sfiducia verso Allegri.

La domanda di calcio – Anche se, a giudicare dai dati pubblicati nella dettagliata analisi di Marco Di Domizio nel 2007 sulla Rivista di Diritto ed Economia dello Sport, il calo degli spettatori è iniziato molto prima del 2004, nel 1979-80, l'anno del primo scandalo del Totonero, segno che la qualità delle partite è un elemento cruciale nel determinare il comportamento dei tifosi insieme all'incertezza sul risultato, ai parametri economici e al livello complessivo atteso dell'esperienza che costituiscono le ulteriori variabili nel rapporto qualità/prezzo. Tornare alle 18 squadre, dunque, sarebbe un primo ma importante passo per poter restituire appeal, credibilità e competitività al nostro campionato. Ma non può certo bastare da solo.

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