L’Olanda del calcio totale era bella e (anche) vincente. E il Napoli non c’entra
L’Olanda degli anni ’70, l’Arancia Meccanica che ha rivoluzionato il gioco con il suo calcio totale, nell’immaginario comune rappresenta ormai l’esempio massimo di squadra che ha segnato un’epoca senza vincere. L’ultimo in ordine di tempo a ricordarlo è stato l’allenatore del Napoli Maurizio Sarri al termine della gara vinta in casa del Lipsia che non è però bastata a qualificare i partenopei agli ottavi di finale dell’Europa League. "Nella storia del calcio – ha detto il tecnico toscano – ci sono squadre che segnano un periodo: negli anni ‘70 si ricorda l’Olanda e non chi ha vinto. Noi proviamo a fare questo. Sono convinto che tra 20 anni questo Napoli sarà ricordato da tutti".
In realtà però le cose non stanno proprio così, dato che, come vedremo, si ricorda quella Nazionale oranje come emblema di un intero movimento calcistico che, con quei calciatori e quel ct, fatti passare come i “più bei perdenti della storia del calcio”, in quel decennio ha dominato il panorama europeo e mondiale, facendo incetta di titoli e trofei con i propri club, centrando anche (ma non solo) le due finali consecutive della Coppa del Mondo nel 1974 e nel 1978 entrambe perse contro i Paesi ospitanti: la Germania Ovest prima e l’Argentina poi.
Perché il Napoli di Sarri non è l’Olanda di Johan Cruijff e non ha con essa nulla in comune se non la ricerca del bel calcio e un simile modulo di partenza ce lo ha già spiegato Alessandro Mastroluca, adesso invece cercheremo di illustrare perché quella Nazionale, la più forte a non aver vinto il Mondiale, non può essere scissa dall’intero movimento olandese, e dagli interpreti che ne hanno dato forma e vita, e perché quindi non si può parlare di squadra che ha segnato un’epoca senza vincere.
L’Ajax di Rinus Michels
Partiamo innanzitutto da quello che viene considerato il “padre” del calcio totale che dell’Olanda del ‘74 era il ct, vale a dire Rinus Michels. Il tecnico nativo di Amsterdam fu discepolo di Jack Reynolds, l’allenatore inglese che nell’immediato dopoguerra portò all’Ajax un modo di giocare innovativo in cui ogni giocatore può assumere il ruolo di qualsiasi altro in campo (se un difensore va in attacco, un centrocampista o anche un attaccante può prendere il suo posto in difesa), lo stesso che rese poi grande l’Ungheria degli anni ’50, quella di Puskas e Kocsis. Centravanti di quell’Ajax è proprio Michels che, smessi i panni del calciatore, diventerà poi allenatore dei Lancieri evolvendo le idee di Reynolds in quello che passerà alla storia come calcio totale.
Sulla panchina della compagine di Amsterdam dal 1965 al 1971 vince quattro campionati olandesi, tre coppe nazionali e soprattutto, prima di trasferirsi al Barcellona, la Coppa dei Campioni nel 1971, che darà il via ad un triennio di dominio del team olandese che con il romeno Stefan Kovacs al timone farà incetta di titoli: trieble (o triplete) nella stagione 1971/72, mentre l’anno successivo vincerà la prima Coppa Intercontinentale, un altro scudetto e la terza Coppa dalle grandi orecchie consecutiva.
Il Feyenoord di Ernst Happel
Ma l’Ajax non è l’unica squadra olandese a incantare l’Europa in quel periodo. Prima ancora dei Lancieri, infatti, fu il Feyenoord di Ernst Happel, che sarà poi il ct dell’Olanda nel Mondiale del ’78, a conquistare il trofeo più prestigioso del Vecchio Continente nella stagione 1969/70 dopo aver “scippato” proprio alla compagine di Amsterdam il campionato e la coppa d’Olanda nell’anno precedente. Il suo è un calcio che tende al calcio totale (difesa a zona, accorciamento delle distanze tra i reparti e continuo movimento per occupare ogni zona del campo), ma più difensivo rispetto a quello di Michels. Un calcio comunque vincente: non è un caso se il giramondo Happel diverrà il primo allenatore a vincere il campionato nazionale in quattro Paesi diversi e la Coppa dei Campioni con due distinte squadre; e non è un caso se la compagine di Rotterdam sulla via tracciata dal tecnico austriaco centrerà poi il successo nella Coppa Uefa 1973/74.
Non solo Cruijff: un’Olanda di vincenti
Il calcio totale di cui la Nazionale olandese degli anni ’70 diventa l’emblema è dunque un calcio vincente, così come vincenti sono i calciatori che ne sono stati gli interpreti in campo. A conferma di ciò, basta guardare il palmares di quei calciatori scesi in campo il 7 luglio 1974 a Monaco di Baviera contro la Germania Ovest nella finale della Coppa del Mondo. Ci si ricorda soltanto di Cruijff, Neeskens, Rep o Krol, ma in realtà dei 13 giocatori olandesi, quasi tutti con trascorsi in quell’Ajax o in quel Feyenoord di cui abbiamo parlato prima, solo il portiere Jan Jongbloed non ha mai vinto un titolo internazionale, dato che sia Rob Rensenbrink che René van de Kerkhof, gli altri due non forgiati da Michels o Happel, hanno vinto in Europa rispettivamente con le maglie di Anderlecht (Coppa delle Coppe 1975/76 e 1977/78) e Psv Eindhoven (Coppa Uefa 1978/79).
Appare quindi evidente che l’Olanda degli anni ‘70 ha sì segnato un’epoca, ma non senza vincere, anzi. Al massimo si può affermare che con le due finali mondiali perse il calcio totale olandese non ha avuto la sua ciliegina sulla torta, come invece successo quasi quarant’anni dopo al tiqui-taca del Barcellona di Pep Guardiola con la vittoria del Mondiale 2010 e dell’Europeo 2012 della Spagna. Ora, la domanda è semplice: se la Roja non avesse vinto quei titoli, si parlerebbe oggi di “bel calcio ma perdente”? Io non credo.