Juve-Napoli, non solo Higuain: sarà l’attacco la chiave per la vittoria
Parola d'ordine: controllo. Dopo la Roma, Juve e Napoli sono le squadre che tirano di più in Serie A. E alle avversarie concedono pochissimo: i bianconeri lasciano appena 7 conclusioni, il Napoli 9.7, come il Genoa e meno di ogni altra in Serie A. Sarà una sfida di sottigliezze e geometrie, di pressing e transizioni positive, di dettagli che fanno la differenza.
Higuain da valutare – Allegri ha sempre insistito nel suo progetto tattico sull'esigenza di controllare il pallone per controllare la partita. Ha costruito una Juve flessibile, capace di passare dal 3-5-2 al 4-4-2 in fase di non possesso. L'obiettivo è mantenere il possesso, ed eventualmente recuperarlo, lontano dalla porta, alzare il baricentro, comprimere l’avversario. Un progetto di lungo periodo che però appare, soprattutto davanti, un work in progress. Il grande ex Higuain ne è l’esempio: la squadra non lo cerca a sufficienza e, soprattutto, non verticalizza a sufficienza su di lui. Il Pipita tira solo 2.9 a partita, rispetto alle 5.2 conclusioni di media dell'anno scorso al Napoli, e tocca 10 palloni in meno di media. È questo il primo rebus che Allegri deve risolvere, integrare di più Higuain nei meccanismi offensivi della Juventus.
Dybala a tutto campo – In questo contesto Dybala gioca 38 palloni a partita, con 2 key pass, e ha creato 16 occasioni da gol complessive. Tira tanto, 3.8 conclusioni di media, un dato che però scende significativamente in Champions (un tiro a partita). In campionato Paulo ha segnato tre reti tirando in porta ben 30 volte di cui 15 da fuori area, uno dei suoi marchi di fabbrica che però la Joya non sta riuscendo a esportare in Europa. Segno che in Champions, a parte la goleada di Zagabria, fa più fatica a costruire manovre offensive: di conseguenza l’argentino tende più spesso a tornare indietro, a dare profondità e moltiplicare le linee di passaggio.
Si sblocca Mandzukic – Interessante, però, l'integrazione con Mandzukic che si è vista contro la Sampdoria. Il colpo di testa che ha sbloccato la gara, il suo unico tiro in porta bastato però a fargli ritrovare il sorriso, ha giocato da centravanti di manovra, un po' come Llorente nella prima juve di Allegri: spalle ai centrali per tenere alta la squadra, spostamenti sulla fasca per dare ampiezza e moltiplicare le soluzioni per gli inserimenti dei centrocampisti, lavoro in appoggio sulla trequarti. Non a caso tutti i gol della Juve, compresa quella di Pjanic, nascono da palloni alti in area.
La svolta con Dani Alves – “Se difendi a 70 metri dalla porta, hai meno possibilità di prendere gol e più di farne, se recuperi palla” spiega Dybala. La visione di Allegri, derivazione di un'eredità “guardioliana” che caratterizza tutto il calcio moderno, si è esaltata quest'anno con l'arrivo di chi in quella cultura ha passato otto anni, di chi ne porta assiomi e movimenti, Dani Alves. “Ha portato la mentalità perfetta: meglio fare un metro avanti che cinquanta indietro. Anche perché abbiamo una difesa che può permettersi l'uno contro uno”.
Jolly Khedira – Difesa in cui contro l'Udinese ha utilmente arretrato Alex Sandro, permettendo anche a Evra di stazionare in una zona più centrale, un dinamica che può tornare utile in futuro. Il rebu centrale, però, rimane il centrocampo. Gli interni si inseriscono con frequenza, soprattutto Sami Khedira che dialoga con Dani Alves nei semi-spazi sul centrodestra e, segno del destino, ha segnato il primo gol stagionale contro la Fiorentina con uno splendido colpo di testa in corsa, oltre al diagonale da tre punti all'Olimpico contro la Lazio.
Il recupero di Marchisio – Più difficile, nel 3-5-2, trovare una posizione per Pjanic, che si ritrova spesso a galleggiare senza sentirsi davvero a suo agio né da regista arretrato, dove Allegri ha provato Lemina con chiare intenzioni ma resa inferiori alle attese in Champions, né da interno, da mezzala di possesso, chiamato a rimanere più bloccato dalla compresenza di Khedira. Molto è destinato a cambiare con il ritorno di Marchisio, tornato in campo sei mesi e 9 giorni dopo la rottura del legamento anteriore crociato del ginocchio sinistro, che può portare quel pensiero veloce, quella naturale capacità di leggere gli spazi e far circolare palla con uno o due tempi in meno che Allegri insegue nel suo paradigma di controllo.
Napoli, rebus attacco – Sarri, al contrario, deve soprattutto risolvere il rebus dell’interpretazione del tridente offensivo dopo l’addio di Milik. Contro l’Empoli, una squadra che ha difeso decisamente bassa (44 metri il baricentro contro i 56 degli azzurri), la squadra di Sarri ha creato 22 occasioni con una varietà di soluzioni risultata alla lunga decisiva: 6 i passaggi chiave per Insigne, 4 per Ghoulam e Mertens, 3 per Zielinski e Hamsik. Uniti ai 28 cross complessivi, manifestano la volontà di aprirsi a strade alternative, ora che c’è da muovere la palla con un tridente leggero che può funzionare solo con una circolazione di palla tanto armonica quanto rapida.
Mertens falso 9 – La chiave per il Napoli del presente e del futuro sta nel diverso modo di muoversi di Mertens che, ha spiegato Sarri contro l’Empoli, «non può fare il centravanti classico, deve giocare secondo le sue caratteristiche». Ovvero, come si è visto soprattutto dopo la prima mezz’ora al San Paolo mercoledì, partire dal centro ma riuscire «a sfilarsi, a venir via e quindi a rendersi pericoloso secondo quello che sa fare bene, e ha fatto bene». Nel secondo tempo Mertens cambia posizione e adatta il suo stile al ruolo di prima punta, un ibrido fra il riferimento classico e il centravanti di movimento e di possesso.
Insigne e Callejon – Tagli che si incastrano e si completano con i movimenti di Insigne, chiamato anche lui a manovrare di più, a ragionare per la squadra e con la squadra. La costante rimane, invece, Callejon, che in quattro anni al Napoli ha saltato solo una partita in Serie A (122 su 123), peraltro per squalifica. Lo spagnolo, scrive il nostro Fabrizio Rinelli, “diventa ancor più prezioso grazie alla sua capacità di interpretare diversi ruoli in campo, specie in fase offensiva”. Da quest’anno, poi, “riveste un ruolo ancora più importante non solo per le sue caratteristiche atletiche che gli consentono di coprire anche in fase passiva (vedi le sue sgroppate difensive fino alla propria area di rigore) ma, per la capacità di essere, spesso, fra i migliori in campo collezionando una media voto altissima: 7.34 a partita, numeri che gli permettono di primeggiare su tutto il resto della squadra”. Una duttilità tattica iniziata già in Spagna. “Nel Castilla (le giovanili del Real, ndr) giocavo centravanti, poi nell’Espanyol ho giocato a sinistra e infine sono passato a destra con Mourinho” spiegava al Pais. “Il fatto di essermi allenato come centravanti mi ha permesso di imparare a sfruttare lo spazio e la profondità per ricevere i passaggi, soprattutto dagli esterni come ora”.
In mezzo: non solo Jorginho – L’efficacia del meccanismo-Napoli, però, passa soprattutto per la posizione di Hamsik e la diversificazione dei compiti a centrocampo. Con un Jorginho in ripresa, ma ancora in difficoltà quando viene marcato a uomo (solo 66 palloni toccati contro l’Empoli), nelle ultime partite gli azzurri hanno fatto fluire il gioco a Crotone attraverso Diawara, che però dovrebbe portare più cattiveria agonistica in copertura, e contro l’Empoli attraverso Zielinski, che ha chiuso con il 96% di accuratezza e 3 occasioni create
Che partita sarà? – «Il Napoli gioca sempre allo stesso modo, tende a pressare alto con una difesa quasi a metà campo, ma in questo momento dovrebbe essere più flessibile e pragmatico nell’emergenza per ovviare all’assenza di una vera prima punta – ha spiegato Adriano Baconi -. Il Napoli ha attaccanti che sanno attaccare la profondità, che sono veloci, bravi in contropiede… perché non sfruttare queste caratteristiche? Allo Stadium mi aspetterei una squadra più bloccata, che decida di lasciare l’iniziativa all’avversario per poi ripartire, proprio come ha fatto il Milan a San Siro, sabato scorso».