Josè Mourinho e il Real Madrid, “più che il dolor, potè l’ambizione”
Ha portato l’Inter a Madrid. Al Santiago Bernabeu, dopo 45 anni, l’Inter è di nuovo sul tetto di Europa. A Madrid, Josè Mourinho ha lasciato tra le lacrime la sua creatura. In terra spagnola, il mago di Setubal ci resta e lì, è intenzionato a scrivere la storia, la sua storia. Vuole essere il primo allenatore ad aver vinto la Champions League con 3 squadre diverse. Impresa ardua, ma non impossibile e lui, è lo Special One. Mourinho e Moratti, un rapporto fantastico, è stato amore subito e a Milano, ma ora Mou lascia un gruppo, il suo gruppo. Abbandona la sua armata tra gioie e dolori.
Non sono valse le lacrime dei suoi figli, su tutte quelle di Materazzi, il suo uomo spogliatoio; non sono servite le speranze di un team, ne tanto meno c’è riuscito il suo "ex-presidente" Moratti. Mourinho ha le idee chiare vuole vincere ancora, ma vuole alzare la coppa questa volta con il Real Madrid, gettandosi alle spalle ciò che lui stesso ha costruito, quell’Inter che a suo dire non avrebbe mai tradito. Come un padre ha esposto il suo petto alle critiche. Si è scagliato contro tutti, ha portato chiunque ad attaccarlo in modo da lasciar lontano dai riflettori delle telecamere e dei microfoni la sua creatura.
Ora Perez lo porta alla guida delle merengues, sferra il suo attacco pagando la clausola rescissoria di 16 milioni che legava il tecnico alla famiglia di via Turati. Gli mette a disposizione 100 milioni per poter costruire l'ennesima corazzatta da Special One. Il presidente Moratti a queste condizioni non può non accontentarlo, non può far altro che lasciar che questo matrimonio “sia da fare”, che il tradimento si compia. L’ennessimo colpo di Mourinho, l’ennesima scelta che lo porta al centro dell’attenzione. Josè ci è riuscito ancora, è di nuovo sotto accusa, e alla gogna ci va come solo lui sa fare, mettendo in secondo piano anche un’impresa come quella di un Inter sul tetto d’Europa dopo 45 anni di astinenza. La sua ambizione lo porta lontano dai suoi figli, dai suoi giocatori, che come i figli del Conte Ugolino, hanno offerto se stessi al loro padre pur di saziare la sua fame, hanno lottato con i pugni e con i denti per non deludere le sue aspettative e ora, ora il loro padre li abbandona. Certo non sarà rinchiuso in una torre per la sua scelta, per il suo tradimento, ma il destino si sa, delle volte, ha il sapore di una beffa e allora come concluse Dante: “più che il dolor, potè la fame”, o meglio ancora la “fama”.
Davide Pecchia