Je suis Ibrahimovic. Campione che non ha vinto (ancora) la Champions
Il miglior Zlatan Ibrahimovic di sempre. Ha smentito tutti Ibra, ha fatto ricredere soprattutto France Football che l'estate scorsa lo definiva vecchio, acciaccato, in declino e non in sintonia con la squadra. Nelle prime tre stagioni in Ligue 1, ha trascinato il PSG alla conquista di tre titoli consecutivi, come non succedeva da 20 anni. Da quando è arrivato al PSG, ha segnato 96 gol in 111 gare di campionato e timbrato 17 volte su 29 in Champions. Con la rete del 2-0 allo Shaktar Donetsk, inutile tanto ai fini del risultato (i francesi hanno vinto 2-0) quanto della qualificazione, già abbondantemente ottenuta, è diventato il miglior marcatore di sempre nella storia del club nella massima competizione continentale, l'unica che ancora gli manca da vincere. L'ex recordman, fermo a quota 16, è un'altra vecchia conoscenza del calcio italiano e del Milan, George Weah, arrivato nel 1992 dal Monaco e rimasto al PSG fino al 1995, l'anno della vittoria del Pallone d'Oro e del passaggio in Serie A. Ma i numeri non raccontano tutta la storia.
La storia – Ibra si sta prendendo spazi di immortalità calcistica in un campionato di seconda fascia, un campionato mediocre in cui lui brilla come il migliore nella squadra di gran lunga migliore di tutte. È la sublimazione di un attaccante complesso e spigoloso che a Parigi sta trovando la sua sublimazione. Maltrattato in famiglia da piccolo, deve ricomporre un'identità meticcia: il padre Sefik, bosniaco, è un muratore alcolista, la madre Jurka, croata, una donna delle pulizie. Cresce con gli assistenti sociali alle calcagna, e una sorella drogata. “Roba pesante” scrive nella sua autobiografia, Io Ibra. “Nascondeva tutto in casa e c'era spesso casino intorno a lei, personaggi loschi che telefonavano e una gran paura che succedesse qualcosa di grave. Un'altra volta la mamma era stata fermata per ricettazione. Qualche conoscente le aveva detto: "Puoi tenermi questa collana?" e lei lo aveva fatto, ovviamente in buona fede. Ma poi venne fuori che si trattava di merce rubata, un giorno la polizia fece irruzione da noi e arrestò la mamma. Ho un ricordo vago, come una strana sensazione, tipo: "Dov'è la mamma? Perché non c'è più?". (…) Ma avevo il calcio. Era roba mia e giocavo tutto il tempo, in cortile e a scuola”. Il calcio diventa riscatto per quel ragazzino balbuziente e magrissimo che ha bisogno del logopedista per imparare a pronunciare le esse. Essere qualcuno, essere il migliore diventa una missione.
Enigma in Champions – Ha giocato nelle più grandi squadre d’Europa, ha avuto come allenatori Van Gaal, Capello, Mancini, Mourinho, Guardiola, Allegri, Ancelotti. Ha vinto scudetti ovunque e partecipato a 13 edizioni consecutive della Champions League dal 2002. Ma la sua incidenza, nelle partite a eliminazione diretta, è di una modestia che stona con la storia e con la logica. Ibra ha giocato 38 partite fra ottavi, quarti e semifinali ma ha segnato appena 7 gol (uno ogni cinque partite e mezza). Quelli pesanti, però, sono solo due, all'Arsenal all'Emirates, nei quarti di finale del 2010, nell'unica edizione giocata con la maglia del Barcellona. Quella Champions finirà con l'eliminazione contro l'Inter di Mourinho e un ricordo decisamente spiacevole. “Guardiola mi guardava come se fosse tutta colpa mia e io pensai: “Ecco, è finita. Mi sono giocato l’ultima carta”. Dopo la partita come se non fossi più benvoluto nel club, nello spogliatoio mi sentivo una merda e Guardiola mi guardava come se fossi un alieno, un disturbo per la squadra. Era un muro di mattoni, non vedevo alcun segno di vita in lui, ogni ora pensavo che me ne sarei voluto andare da lì” ricorda nella sua autobiografia. Non è invece bastato il gol ai blaugrana per far avanzare il PSG in semifinale nel 2013. Non hanno cambiato la storia, infine, le reti nelle goleade del Barcellona contro lo Stoccarda (ottavi del 2009-10), del Milan contro l’Arsenal (ottavi del 2011-12) e del Paris Saint Germain contro il Bayer Leverkusen (ottavi del 2013-14).
Lo stile di Ibra – E' arrogante, Ibra, ai limiti della tracotanza e spesso oltre. Non si è mai fatto imporre niente, ha rifiutato anche l'assioma tattico di Koeman all'Ajax: due tocchi e passarla a un compagno. È l'opposto del romanticismo, del sentimentalismo pallonaro, un individualista per convinzione, che ama il gusto della sfida, uno contro tutti. Un campione che segna come gioca, e gioca com'è. E così Ibra, tentato ora dalle sirene cinesi, passa spesso per ingrato, per traditore seriale delle squadre e dei tifosi che porta all'esaltazione, fedele solo a sua moglie Helena, di undici anni più vecchia di lui.
L'Ajax – Lascia l'Ajax per un fallo di troppo sul suo capitano, Van der Vaart. I due non si amano, e il 18 agosto 2004 la Svezia affronta l'Olanda in amichevole. Al 5′, nel tentativo di dribblare Heitinga, va a martello sul polpaccio dell'olandese, che lo accusa di averlo fatto apposta. “Fallo di nuovo e ti spezzo le gambe, stavolta di proposito” dice davanti al resto della squadra, che prende le difese di Van der Vaart. Anche l'allenatore gli volta le spalle e Rajola si accorda con la Juve. Ma Ibra ha in mente l'ultima vendetta. Contro il Nac Breda, alla sua ultima partita, segna uno dei gol più incredibili di sempre, dribbla in venti metri tutta la difesa avversaria. Rafael Van der Vaart, scrive, “stava seduto lì in tribuna, rigido. Era rimasto completamente impassibile, nonostante il gol, come se il mio show fosse stata la cosa peggiore che potesse succede. Forse era effettivamente così. Quel gol era il mio grazie e arrivederci e andatevene pure all'inferno”.
La Juve e l'Inter – Arriva nella Juventus dei due scudetti sul campo cancellati da Calciopoli. Nedved, Del Piero, Trezeguet, Buffon, Camoranesi rimangono anche in B. Cannavaro e Emerson se ne vanno al Real Madrid. Ibra lascia i bianconeri per l'Inter. Qui si vede il miglior Ibra in Italia. Segna gol incredibili, sfodera assist pregiati e il carisma del leader. È storia la sua doppietta al Parma che regala lo scudetto a Mancini. Con Mourinho diventa capocannoniere, ma il gesto piuttosto volgare dopo il gol alla Lazio il 2 maggio 2009, rende chiaro quel che tanti pensavano e basta. Ibra, che già da qualche tempo stava parlando troppo bene della Spagna, parte per Barcellona per 90 milioni.
Il Barcellona – Il bacio alla maglia in presentazione è la sua forza, e insieme la sua persecuzione. Ibra segna sempre e rinunca alla Ferrari per l'Audi aziendale. Guardiola però gli cambia ruolo per lasciare il suo a Messi. A Milano, vede quella che era stata la sua Inter dominare e inizia a sognare la rivincita. Il piano di Raiola è diabolico. Minaccia di portare Ibra al Real Madrid, e la paura blaugrana fa scendere il prezzo in vista del ritorno in Italia, al Milan, che lo sogna e lo prende per consumare la vendetta.
Il Milan – Vincerà il nono campionato di fila, e segna sotto la Nord, che era stata la sua curva, su rigore nel primo derby col Milan, che torna campione d'Italia davanti all'Inter di Leonardo. Ma l'anno dopo, per la prima volta, si sente scaricato. Per la prima volta ha perso uno scudetto, teme di essere diventato vecchio, di cominciare a perdere di più.
Il Psg e il sogno Champions – L'anno scorso si fa espellere contro il Chelsea di Mourinho: contro le squadre inglesi ha ricevuto quattro cartellini rossi e segnato tre gol, non può essere un caso. Ibra è così, è prendere o lasciare. “La Champions non è un'ossessione” spiegava nel 2014. “Anche uno come Ronaldo, il Fenomeno, non l'ha vinta” diceva a France Football in una celebre intervista del 2012. “Se dovessi vincerla, sarà perché la mia squadra è stata la migliore, non perché Zlatan lo è stato”. Anche per questo Parigi è perfetta per lui. Perché come Istanbul, Mosca, San Pietroburgo, Berlino e Atene, è una città che non ha ancora mai trionfato in Champions. Perché le grandi capitali, si legge in Soccernomics, “tendono ad avere la più grande concentrazione di risorse nazionali (…) ma qui nessuna squadra conta poi così tanto. Nelle capitali c'è meno da dimostrare. Soprattutto a Parigi, dove il PSG difficilmente diventerà il cuore dell'orgoglio cittadino”. È qui che Ibra ha imposto la sua presenza, a dispetto di tutto. “Quali sono le giocate semplici?” si chiedeva. “Io quando provo a fare certi colpi, non mi sembrano particolarmente complicati. Forse lo sono per altri, ma non per me. E allora qual è la differenza fra le cose facili e quelle difficili?”. Parola di Ibra.
Il redimento di Ibrahimovic in Champions
Ajax 2002-03: 2 partite, 0 gol (eliminato ai quarti dal Milan)
Juventus 2004-05: 4 partite, 0 gol (eliminato ai quarti dal Liverpool)
Juventus 2005-06: 4 partite, 0 gol (eliminato ai quarti dall’Arsenal)
Inter 2006-07: 2 partite, 0 gol (eliminato agli ottavi dal Valencia)
Inter 2007-08: 2 partite, 0 gol (eliminato agli ottavi dal Liverpool)
Inter 2008-09: 2 partite, 0 gol (eliminato agli ottavi dal Manchester United)
Barcellona 2009-10: 5 partite, 3 gol (eliminato in semifinale dall’Inter)
Milan 2010-11: 2 partite, 0 gol (eliminato agli ottavi dal Tottenham)
Milan 2011-12: 4 partite, 1 gol (eliminato ai quarti dal Barcellona)
Psg 2012-13: 3 partite, 1 gol (eliminato ai quarti dal Barcellona)
Psg 2013-14: 4 partite, 2 gol (eliminato ai quarti dal Chelsea)
Psg 2014-15: 4 partite, 0 gol (eliminato ai quarti dal Barcellona)