Italia, il 7 a Spinazzola e il 10 a Insigne: il calcio moderno e i numeri che non contano
Cos'è un numero? Quella che noi chiamiamo ala anche con un altro numero avrebbe lo stesso ruolo. Che vuol dire “sette”? Non è un dribbling, né una magia, né il ricordo di ragazzi che si faranno con le spalle strette. Se a Madrid, una delle maglie simbolo del calcio che fu (la 7), quando il numero sulle spalle raccontava una storia, testimoniava una posizione, è finita a Spinazzola, il processo pare ormai impossibile da arginare.
Nessuna concessione al nostalgismo tanto imperante di questi tempi, né alcuna considerazione di merito sulla prestazione dell'atalantino. Ma una semplice annotazione aritmetica: un terzino sinistro gioca con la maglia storicamente associata all'ala destra. Se poi Candreva gioca con la 6 e Darmian con la 4, la strada verso il liberi tutti è ormai segnata.
Quando Jongbloed parava con la maglia numero 8
Di numeri strani se ne sono già visti, e neanche pochi. Dallo zero di Hicham Zerouali all'Aberdeen, il primo a usarlo nel campionato scozzese anche se dall'anno successivo (2000-2001) verrà bannato dalla lega, ad Ardiles che giocò il Mondiale 1978 col 2 perché Menotti, dopo una serie infinita di polemiche per le scelte, decise di assegnarli in rigoroso ordine alfabetico. Si sono visti in Italia attaccanti giocare col numero 1, De Guzman, e portieri parare con l'8, il mitico Jongbloed, il tabaccaio che finì a giocarsi un titolo Mondiale.
Anche nell'epoca antica, quando il 2-3-5 aveva inventato i nomi dei ruoli e portato all'abbinamento dei numeri, c'era chi derogava dal parallelismo meccanico. Erano stagioni senza statistiche e video sul web, con poche e frammentarie conoscenze. Anni in cui a Gustav Sebes, tecnico della magica Ungheria, bastò assegnare a Kocsis e Puskas i numeri 8 e 10 e dare il 9 al primo “falso nueve”, Hidegkuti, per mettere in crisi gli inglesi nel 1953. La nazionale dei Tre Leoni, infatti, aveva un rigido comandamento nell'applicazione del modulo: ogni giocatore doveva marcare un avversario e gli accoppiamenti si definivano in base al numero di maglia. Scombinarli, e invertire le posizioni, creava uno scompiglio radicale.
Insigne e la nostalgia del 10
Già diverso il caso di Lothar Matthaus, leader dalle caratteristiche ormai non certo sconosciute, piazzato invano da libero nella finale del Mundial 1986, numero 8 destinato a marcare Maradona. Quello fu in assoluto il Mondiale del Dieci che ha cambiato la storia del calcio e creato la mistica del numero del pallone. Numero nostalgico, numero senza tempo, numero di Maradona e Pelè, di Messi e Neymar all'ultimo Mondiale. Il dieci si chiamava 10 quando il calcio non era complicato come la fisica quantistica, quando i fantasisti erano i Gianni Rivera e i Michel Platini, che correvano poco perché tanto c'erano i Bonini per quello. Ed è oggi il numero di Insigne, Lorenzo il Magnifico che racconta come cambia l'interpretazione di un ruolo che senza scomparire si sta adattando al tempo che passa.
Più attaccante che centrocampista, corre forse meno dei grandi interpreti del passato, è un po' ala e un po' trequartista aggiunto. È un giocatore che associa, che aggrega i compagni e ne determina i movimenti. Ha trovato una sintesi affascinante fra il romanticismo e la massimizzazione dell’utile. Il segreto nell'efficienza, oggi, sta nell’applicazione di movimenti semplici, nel noi davanti all'io.
Un po' trequartista e un po' ala sinistra
È un ibrido che fonde due tradizioni. Per stile e posizione conserva i funambolismi dell'ala sinistra, numero epico e indispensabile, il numero dei tuttofare creativi, dei geni alla Mumo Orsi o alla Giggs, e dei bomber come Gigi Riva, Pulici o Careca, di chi doveva saper fare tutto, il numero di Nedved e del bello di notte Boniek, di stelle e di gregari, sempre indispensabili per le grandi storie di successo.
E insieme eredita, non solo per affinità aritmetica, la storia dei numeri 10 che hanno illuminato il calcio italiano, dei Rivera di Baggio e dei Sivori, il “vizio” dell'Avvocato Agnelli. Diventa sintesi fra l'antico e un presente figlio della rivoluzione sacchiana in cui il 10 diventa 9 e mezzo, in cui il fantasista si ricicla come seconda punta come Zola che a Napoli raccoglierà il testimone di Maradona.
Le motivazioni dei numeri: Bonucci e il 19
Nel calcio moderno dei big data e delle specializzazioni, i numeri si difendono e si scelgono. E oggi si associano spesso non più ai ruoli, ma direttamente ai singoli calciatori, che li mantengono al variare delle squadre e spesso li richiedono anche in nazionale. Bonucci non si separa più dal 19, lascito del suo mental coach Ferrarini. L'ha scelto per questione di karma, perché l'1 è il numero del Sole, il 9 quello di Marte: l'avrebbe voluto anche Kessié che però glielo ha lasciato dopo un consulto con la mamma. Il 19, che mantiene anche in nazionale, figura anche nella data di nascita della moglie e dei figli, e nel giorno del matrimonio. Per questo, ha raccontato, ho voluto firmare il rinnovo del contratto con la Juventus il 19 dicembre.
In Messico le maglie a tre cifre
Una personalizzazione che da quest'anno invade anche i campionati dilettantistici e giovanili. Il Consiglio Federale, infatti, su richiesta della Lega Nazionale Dilettanti, ha eliminato i numeri progressivi, dall'1 all'11: ogni calciatore potrà scegliere il suo, da 1 e 99, e portarlo per tutta la stagione sulla maglia ma senza poterla personalizzare con il nome dietro la schiena.
La strada è ormai segnata. In Messico, addirittura, i calciatori mantengono lo stesso numero anche se progrediscono dall'under 13 all'under 15, e da qui all'under 17 e su fino all'under 20 o alla prima squadra. Si portano sempre lo stesso numero, così si sono visti in campo giocatori indossare, per esempio, il 282 o il 333, che identificano, nelle tre cifre, gli elementi delle squadre riserve e delle giovanili.
Un numero come un'identificazione, del singolo calciatore e non più del ruolo. L'espressione dell'individualità che diventa sempre più importante dell'organizzazione collettiva, di un calcio fatto di uomini e non di squadre, di star e non di orchestre.