“Inter debole e sfiduciata”. Spalletti si è già arreso? Allora vada via
"Oggi ho visto una squadra debole, che non ha saputo giocare con lo spirito e la voglia giusta. I ragazzi stanno sentendo la situazione, non sono menefreghisti. Anzi, li vedo molto dispiaciuti per il periodo che stiamo passando. La colpa è solo mia, vuoi dire che sto sbagliando. La società ha riposto fiducia in me e quindi devo essere io a prendermi le giuste responsabilità. Su certi aspetti perché sono indifendibile". Sì, è decisamente indifendibile Luciano Spalletti.
Il precedente del 2003-2004
Qualcosa si è rotto con la società, e non lo scopriamo certo col pareggio di Crotone. Semmai un sintomo di un rallentamento non programmato, della frenata di un progetto tecnico un tempo chiaro, oggi invece annegato dentro nuvole rosse di dubbi e fragilità fin troppo usuali dalle parti di Appiano Gentile per essere considerate figlie della contingenza. Se l'Inter dovesse mancare la vittoria anche col Bologna, raggiungerebbe la striscia record del 2003-2004, undici partite di fila senza vittorie tra campionato e coppa Italia. Le assonanze non mancano. Allora, iniziò dopo tutto dopo un 4-0 al Siena, oggi dopo la manita al Chievo. Il Bologna, prima squadra a togliere un punto quest'anno all'Inter, ha interrotto all'andata una striscia di successi. Al ritorno, potrebbe fermare la serie senza vittorie e restituire direzione e ambizioni a una stagione che sta diventando troppo simile alla copia di mille riassunti.
Poca qualità
"Abbiamo poca qualità ultimamente, qualcuno sta rendendo meno ed incide poco. Siamo fragili, c'è un problema legato all'entusiasmo" ha detto Spalletti, che ha visto per la prima volta San Siro semi vuoto, con meno di 50 mila presenze, e ha sentito i tifosi passare al fischio finale dall'incitamento lodevole, che comunque non è mai mancato quest'anno, al "tirate fuori i c…". E non serve la zingara per indovinare quel che segue. Il coro è lo specchio di un'Inter vittima di se stessa, delle paure che frenano Brozovic e Candreva, di un Borja Valero stanco, confuso e un po' fuori posto anche nel salotto con Roggero e Cruciani per commentare il Super Bowl. E' l'immagine di una squadra che ha perso di vista il progetto tecnico, ridotta a nave senza nocchiero a veleggiar di bolina.
L'insofferenza di Spalletti
Non si può nemmeno parlar di gran tempesta, in fondo. Complice la crisi della Roma, l'Inter rimane quarta e vivacchia, pareggia, non vince e non perde. Galleggia sull'orlo di una mediocritas non più aurea. Spalletti non ha certo gradito le scelte della società, il mancato arrivo del centrale che anche sua nonna (ipse dixit) sapeva gli sarebbe servito, né del pastore, o meglio del Pastore, sempre utile ad ogni gregge. Sabatini, scrive Mirko Graziano sulla Gazzetta dello Sport, aveva apparecchiato l'arrivo dell'ex Palermo e di Ramires, ma la proprietà ha pensato diversamente. La rigidità dei cinesi ha tolto ai nerazzurri un centrocampista di gamba e fatto sfumare il prestito oneroso a Siviglia di Brozovic.
Spalletti è tecnico di alta visione tattica e carattere fumantino, che a volte sfocia nel rancoroso (e non c'entra il parere di Salvini a un Giorno da Pecora dell'estate scorsa). L'insoddisfazione è evidente, lo schema però si ripete sempre diverso eppure sempre uguale, per un Inter da "Groundhog Season", da stagione della marmotta, in cui le scene si ripetono identiche con qualche variazione sul tema che non ne altera l'eterno ritorno.
L'Inter di Spalletti sembra quella di Mancini, che due anni fa arriva in testa alla classifica salvo evaporare dopo Natale, o quella di Pioli il normalizzatore, rimasta senza Europa dopo l'entusiasmo iniziale che ha fatto dimenticare il fallimento De Boer. Quella di Spalletti, imbattuta nelle prime 15 partite, ha solo perso o pareggiato nelle ultime otto. Dall'azzurro dei sogni che non tornano più, e degli occhi della gioventù, al nero più fondo del fondo in cui rischia di perdersi e non sapersi ritrovare.
E' l'ora di cambiare
L'arrivo di Rafinha diventa l'asso che può sparigliare destini e fortune. Può anche convincere Spalletti a rinunciare un vestito che sembrava perfetto, cucito addosso a una squadra e a un capitano, Icardi, unico a migliorarsi costantemente in nerazzurro. Spigoloso, certo, ma esempio della strada da intraprendere, Icardi è un patrimonio da esaltare. Ma senza giocatori che sappiano imporre il cambio di passo, incardinati dentro uno schema che imprigiona e diventa facile da ostruire bloccando le fasce e aumentando la densità in mezzo, l'Inter perde la sua arma migliore. E non se lo può permettere. Rafael Alcantara do Nascimiento, in arte Rafinha, potrebbe diventare il vertice alto di un rombo con Borja Valero regista basso, con la possibilità in caso di partite contro squadre rapide di spostare davanti alla difesa Skriniar, che già gioca in quel ruolo in nazionale. Bisogna trovare l'equilibrio, continua a ripetere Gasperini, che all'Inter è rimasto poco ma in nerazzurro vola, a Bergamo, e adattare il gioco ai giocatori, non viceversa.
Spalletti si è già arreso?
Ben venga, perciò, se il j'accuse rivolto a se stesso si trasforma in una motivazione ulteriore a cambiare, a cercare soluzioni a problemi inattesi. Per ottenere quel che ancora non si è raggiunto, in certi casi bisogna fare quel che non si è ancora tentato. Altrimenti, resta solo la manifestazione di impotenza di un tecnico che è lì per trovarle, le soluzioni, per proteggere e stimolare la squadra, per rendere al meglio con gli uomini a disposizione. Di un allenatore che getta la spugna, con o senza gran dignità, già a metà campionato una squadra, qualunque siano le sue ambizioni, non saprebbe che farsene.