Inter, abbiamo un problema: tutti i motivi del flop del Mancini Bis
Roberto Mancini rischia di passare per un vecchio vinile incantato: non si può cambiare in poco tempo, si deve aver pazienza e un pizzico di fortuna. L'ha ripetuto subito dopo il derby pareggiato contro il Milan all'esordio. L'ha ribadito a pochi minuti dal capitombolo dell'Olimpico contro la Roma. Stessa musica contro l'Udinese corsara a San Siro e nel pareggio di Europa League contro il Quarabag. Così, nel pareggio con recupero contro la Lazio e poi ancora, dopo lo 0-0 incolore di Empoli, la sconfitta di San Siro contro il Toro (al 94′) e adesso il tonfo col Sassuolo (3-1). Risultato? Da quando il ‘Mancio‘ si è re-insediato sulla panchina più scomoda della Serie A lo score è tutt'altro che entusiasmante: 4 sconfitte in dieci partite, nerazzurri ancorati al 12simo posto, a quota 26 (superati proprio dai neroverdi), a distanza siderale dalla Juventus capolista, con la Champions divenuto sogno proibito e l'Europa League da scalare con pendenza massima. La media punti? Peggio di quella di Mazzarri (16 punti in 11 gare, media 1.45): un punto a partita (10 su altrettante partite), andamento da retrocessione e non da club che ambisce a clamorose rimonte.
Mazzarri, 16 punti in 11 partite: 4 vittorie, 4 pareggi, 3 sconfitte – 17 gol fatti, 12 subiti (media 1.45 a gara)
Mancini, 10 punti in 10 partite: 2 vittorie, 4 pareggi, 4 sconfitte – 15 gol fatti, 14 subiti (media 1 punto a gara)
Montagne russe che stentano a fermarsi, lavori in corso costanti, infiniti. Un'eterna incompiuta alla ricerca di se stessa con il rischio di perdersi strada facendo. Mancini ha ragione: Roma non si è fatta in un giorno e questo è vero. Ed è pur vero che qualcosa di positivo lo ha già conquistato in due mesi di insediamento: ha ricucito lo strappo con i tifosi e a San Siro la squadra gioca senza più la nevrosi di sentirsi fischiata al primo errore. E ha ottenuto da questo mercato di gennaio gli uomini che aveva richiesto come Podolski o Shaqiri roba che Mazzarri non era riuscito a farsi comprare in un anno e mezzo di lavoro.
Mai così male da 15 anni. Eppure, è evidente, tutto ciò non basta perché Mancini ha ereditato una buona macchina dalle gomme sgonfie e con la frizione che slitta, buona per arrivare al traguardo in mezzo al gruppo ma senza sogni di vittoria. Dopo 21 giornate, l'Inter ha messo in cascina la miseria di 26 punti in classifica: un bottino così magro i nerazzurri non lo realizzavano dalla stagione 2000-2001, quella in cui c'era un certo Marco Tardelli, allenatore dopo lo sfogo di Marcello Lippi a Reggio Calabria e il tecnico sulla panchina nerazzurra nello sciagurato derby perso 6-0. Allora, l'Inter, in un campionato a 18 squadre, si fermò a quota 25. L'unica alternativa è parlare coi meccanici e rimettere a punto ciò che può esser sistemato, senza far più esperimenti o sperare nelle sbandate altrui.
1 – Manca la personalità.
Al netto dei risultati, la Juventus abbonda di giocatori che sanno risolvere le gare quando serve, dai Bonucci ai Tevez, dai Pirlo ai Vidal. La Roma ha i jolly Totti, De Rossi e Nainggolan, trascinatori e gladiatori al momento opportuno. Il Napoli si ritrova con i vari Callejon e Higuain, la Lazio Mauri e Candreva. Tutti giocatori che se non risolvono la gara direttamente con una rete, permettono alla squadra di non soccombere e subire il gioco avversario. E l'Inter? Non c'è giocatore che possa essere indicato quale punto di riferimento anche tra gli stessi compagni. E' inutile girarci intorno e non si tratta semplicemente di un Icardi che non segna o di un Palacio irriconoscibile. Guarin potrebbe avere l'esperienza e le qualità per emergere ma frana ogni volta che fa un passo; Ranocchia ha l'effige da capitano ma solo sul braccio perché quando c'è da farsi sentire non è mai il primo a farlo. Tutti gli altri sono perfetti comprimari, vale a dire giocatori che possono essere serenamente sostituiti senza che nessuno ne senta la mancanza.
2 – Nessuna gerarchia.
E' la naturale conseguenza del primo problema. All'interno dello spogliatoio si ha la consapevolezza che non vi è un leader e dunque nessun seguace. Tutti sono alla pari, tutti possono far tutto o far niente e nessuno ha l'autorevolezza di poter dire qualcosa. E qui una parte di colpa ce l'ha lo stesso Mancini che cambia spesso e volentieri gli elementi in campo senza dare certezze. Contro il Genoa la squadra aveva giocato bene in ogni parte del campo malgrado le assenze. Contro l'Empoli molto peggio con il tecnico che ha tolto dal campo alcuni protagonisti del match con il Grifone senza alcun apparente motivo. Come Andreolli, a San Siro ottimo capitano ad Empoli panchinaro. O come Hernanes, mediocre contro il Genoa così come con l'Empoli, con Kovacic seduto a guardare quando il giovane croato stava (prima della squalifica di un turno) prendendo confidenza giocando con regolarità.
3 – La palla a chi?
E' il problema tecnico principale di questa squadra. Non c'è un regista, un pensatore, un giocatore cui affidare il pallone consapevoli che creerà qualcosa di positivo. Mancini ci sta provando, ma il materiale tecnico a disposizione si sta rivelando di poca consistenza. Medel è un ‘pittbull' e perfetto per attaccare gli avversari, non per costruire gioco. Guarin una volta è in mediana, l'altra sulla trequarti, l'altra ancora in tribuna (con la testa), discontinuo e scostante. Hernanes gironzola in mezzo al campo come mezzo destro e mezzo sinistro finendo per essere un mezzo giocatore che non sa liberarsi del pallone se non dopo tre tocchi di cui due di troppo. Kovacic? Sì, lui sì, peccato che ha 19 anni deve evidentemente crescere e se si vuole affidare la squadra ad un giovane o questi è Maradona o si deve attendere almeno una stagione. Troppo.
4 – Nuovi sì, ma che giochino.
La rincorsa al terzo posto non è iniziata. Non può esserlo con 5 punti in tre partite dove l'unica vittoria è arrivata in casa contro il Genoa e si è passati dal buon pareggio di Torino alla pessima prestazione di Empoli. Gli acquisti sono arrivati e – per una volta in controtendenza alla storia nerazzurra – subito e senza tentennamenti. Dunque, Mancini ha il dovere di far scendere in campo un'Inter con Podolski e Shaqiri titolari dal primo minuto. Rischiando di escludere altri ‘titolari' come Palacio, ad esempio, costantemente fuori condizione. Eppure mentre il tedesco sembra essersi ritagliato un posto nell'undici iniziale – un po' meno nella posizione in campo – lo svizzero è rimasto a scaldarsi contro il Genoa ed è entrato nei 15 minuti finali di Empoli. Così facendo lo vedremo titolare a maggio. E addio speranze di Champions. Già… poi li vedi contro il Sassuolo e ti chiedi quale incantesimo li abbia avviluppati.
5 – Preparazione inadeguata.
E' vero: il fattore psicologico conta molto ma se non hai le gambe, il fiato e i fondamentali, hai voglia di essere lucido di testa. E l'Inter sta confermando di avere o sbagliato preparazione o di non aver rispettato ciò che i preparatori hanno preparato nei mesi scorsi. I nerazzurri giocano bene per circa 60 minuti, non uno di più. Si è visto contro la Juventus nel secondo tempo, si è visto contro il Genoa nel primo tempo. Si era intravisto già il problema con la Lazio e con il Chievo. Mai una gara dominata – più che nel risultato – nella tenuta in campo. Con l'Empoli, Torino e Sassuolo il punto più basso dove la squadra non ha mai cambiato ritmo subendo gli avversari, come capitato con l'Udinese o persino il Dnipro in coppa. Fisicamente danno la sensazione di non reggere i 90 minuti così che l'avversario di turno sa come comportarsi e gestire la situazione. Gravissimo, a gennaio.
6 – Tutti sul banco degli imputati.
Handanovic e Icardi via senza Champions League. Uno o più big sacrificabili a giugno per pagare Shaqiri e Podolski. Vidic e M'Vila da nuovi rinforzi a nuovi problemi da risolvere. Società penalizzata dall'Uefa a giugno se non riuscirà a rientrare nelle spese e far quadrare i conti. Insomma, ce m'è abbastanza perché nemmeno il più menefreghista dei professionisti non si preoccupi giorno dopo giorno, scendendo in campo tutt'altro che sereno. La deflagrazione del caso Osvaldo, in quest'ottica, è esemplificativo: il clima è teso e rasenta la rassegnazione. La sensazione è che "tanto a giugno non si sa che cosa succederà, quindi perché dare di più?". Brutto dirlo, brutto pensarlo: a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca.