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Il Comandante Maurizio Sarri ha preso il Palazzo: perché Napoli si sente tradita

Il tecnico Maurizio Sarri si presenta alla Juventus. A Napoli si è creata un’identificazione ideologica con il sarrismo come forma di rivalsa rispetto al potere bianconero. Le sue frasi, lo stile, il fumo, la tuta hanno costruito un personaggio che ha rappresentato l’anima della città. Per questo il passaggio ai rivali ai tifosi fa più male.
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Hanno già preparato la statuetta per il presepe, con la tuta della Juve e un sacchetto attaccato alla vita. C'è scritto 30, e non solo gli scudetti, sul campo o meno non conta. Sono denari, e il riferimento è chiaro. Maurizio Sarri è l'uomo che volse il suo destino contro il corso del cielo, l'artefice del grande tradimento. Il rivoluzionario che muore pompiere, il guevarista che diventa sistema. Torna come Zarathustra di Nietzche che ai credenti ordinava “di perdermi e di trovarmi; solo quando mi avrete tutti rinnegato tornerò fra voi”.

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Il senso del tradimento

Non è semplicemente il passaggio alla Juve a fare di un allenatore o di un giocatore un traditore, un “core ‘ngrato” per i tifosi del Napoli. Non è successo per Ferrara, per Cannavaro, ma è successo per Altafini, per Higuain. A Napoli, ha scritto Mimmo Carratelli, “il fenomeno-calcio non è esclusivamente sportivo. Eccita la fantasia, ridesta orgogli sopiti, sollecita un tipo di partecipazione che non è solo complemento allo spettacolo, ma ne diventa molto spesso protagonista”. La squadra racconta l'orgoglio di una città ferita, che ai calciatori chiede una forma di riscatto vicario, per interposte persone. Il Napoli si carica di significati, di ambizioni, di desideri di rivalsa che nascono in altri ambiti, in differenti settori. Quando Pino Daniele sottolinea che Maradona a Napoli ha fatto quel che prima era riuscito solo ai Borboni e a Masaniello, testimonia una sovrapposizione di significati che spiega come la squadra sia di fatto un'icona.

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Un'icona di alterità (e di bel gioco)

L'icona è un segno che somiglia all'oggetto rappresentato. È insieme una messa in scena e una testimonianza. Sarri, che è nato a Bagnoli dove hanno già fatto sparire una targa celebrativa, ha costruito una doppia identificazione a Napoli e con Napoli. Il gioco e la formazione del personaggio del “Comandante Sarri” si auto-alimentano. Il bello che produce risultati è un fattore che offre uno spettacolo in cui riconoscersi, in cui distinguersi per negazione. È stile con cui affermare una diversità. Da cosa? Dalla Juve per cui vincere è l'unica cosa che conta. La continua ostentazione della polarizzazione Allegri-Sarri, le discutibili patenti come “lo scudetto del bel gioco”, sono passaggi funzionali al radicamento di questa identità.

A fare di Napoli il manifesto di un'alterità, la tracciatura di un futuro possibile. Un futuro che permetta il mantenimento saldo di un posto in Europa, che consenta di nuovo di sognare lo scudetto e di farlo attraverso l'espressione più alta della ragione e del sentimento, dell'applicazione ossessiva di principi semplici che si sciolgono in improvvisazione creativa. Napoli, diceva il sindaco De Magistris nel suo discorso programmatico dopo l'elezione a sindaco nel 2011, “fino a poco tempo fa era l'unica ideologia della città”.

Per questo, il sarrismo avrebbe potuto nascere solo a Napoli. Perché il sarrismo è sistema di pensiero, prima che sistema di gioco. Il 4-3-3 si può replicare, al Chelsea ci ha messo un po' ma poi con quei principi ha vinto l'Europa League. Il sarrismo è un modo di pensare, un modo di pensarsi. È Don Chisciotte e Robin Hood, è il sogno di tenersi così, “anema e core”, e non lasciarsi più nemmeno per un'ora.

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Il simbolo del sarrismo

Ogni gesto è come la luna rossa che parla di te. Con l'amarezza di scoprire oggi che non ci sta nessuno. Il sarrismo cresce in una foresta di simboli: la tuta, il fumo, il dito medio dal pullman agli juventini. Elementi che tracciano un ritratto, quello del Comandante. La pagina Facebook “Sarrismo – gioia e rivoluzione” gioca con i riferimenti all'Ottobre rosso. “Fino al palazzo” si trasforma in un hashtag e insieme nella speranza della presa del potere. Nel sogno di spodestare i dominatori del calcio e dimostrare che si può vincere con altri mezzi, che il fatturato non è tutto, che la bellezza può davvero salvare il mondo.

Un desiderio che si è incarnato in Cavani, in quel Gonzalo Higuain capace di segnare più di un gol a partita e diventare l'attaccante più prolifico in una singola stagione nella storia della Serie A. Capace di fondere il bello con l'utile come forse non si vedeva dai tempi di Maradona. Parole, dichiarazioni, frasi, gesti, segni hanno contribuito a creare un testo in cui verità e passione hanno finito per confondersi l'una nell'altra. Un testo non più separato, agli occhi di un popolo bisognoso di eroi, dal flusso della vita. Non più ristretto a uno specifico frame di lettura (il calcio, lo stile di gioco, la tattica, l'immagine di un allenatore).

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Anima movimentista

Sarri finisce per incarnare l'anima movimentista della città. E adesso, l'anima delusa della città, gli fa pagare quelle frasi forti, quelle passioni scatenate nell'opposizione ideologica, più che stilistica alla Juve. Passioni che portano a quella “gastrite calcistica” di cui parla De Magistris. “Tifare Juve è un difetto” diceva Sarri nel 2015. Ipotizzava querele per chi lo immaginava sulla panchina bianconera. Sosteneva che “per avere un rigore bisogna avere la maglia a righe”, che “Napoli sarà sempre la squadra del mio cuore”.

Frasi che hanno assunto un significato, un peso, molto particolari. Perché, per fare un esempio, Max Allegri non diceva frasi nella sostanza poi tanto diverse quando da allenatore del Milan criticava le scelte degli arbitri che avrebbero favorito i bianconeri. Ma il suo passaggio alla Juve non ha scatenato questo tipo di reazioni. Napoli è l'innamorata tradita, che ha preso queste manifestazioni per una verità assoluta. Quello è il “vero” Sarri hanno pensato in tanti. Sarri era autentico, “non falso o falsificato”; ma quel che è autentico non è necessariamente vero, anche se può imporsi come tale.

Sarri ha alimentato un'appartenenza che trascende il calcio. Altrimenti non si spiegherebbe perché i tifosi dell'Empoli non abbiano considerato il Sarri “allenatore operaio” un traditore per essere passato al Napoli, che comunque è una società più ricca, o perché il Sarri inglese abbia avuto molti difensori tra i napoletani nostalgici. Così oggi non gli si perdona il porta-abiti, la camicia Ralph Lauren, l'aereo privato. Non si riesce a vederlo tra Paratici e Nedved.

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Operazione ideologica

Questa storia potrebbe segnare un cambio di paradigma o finire in poche decine di giorni come l'esperienza di Brian Clough al Leeds, il “maledetto United”, l'esempio più iconico di un tecnico che costruisce un'identità di gioco per reazione a un modello rivale e poi va ad allenare proprio quei rivali. Molto dipenderà dalla percezione della risposta a una domanda che Giuseppe Gariffo su Juventibus (evidentemente filo bianconero) ha immaginato di fare a Sarri in conferenza stampa. Le frasi contro la Juve, quelle sugli scudetti persi nel palazzo, “erano frasi dette per recitare un ruolo o le pensava davvero? Pensa dunque di poter finalmente godere di vantaggi prima che le partite inizino?”. Dove finisce l'autenticità e dove inizia la verità? Essere o non essere, questo è il problema.

La creazione del sarrismo, e la petizione lanciata per cancellarne il lemma dalla Treccani, per Vittorio Zambardino sono il risultato di “una sporca operazione ideologica di massa, alla quale Napoli ha abboccato, e averla protratta fino a ieri dimostra che il veleno a Napoli si vende a poco prezzo e piace a molti” come scrive sul Napolista. Il tradimento ha il sapore della sconfitta personale, per quelli che cantavano “Sarri uno di noi”. Ma ci hanno creduto un po' di più, molto di più, a quello slogan. Ma ogni storia, cantava Guccini nel suo amaro “Farewell”, “ha la stessa illusione, sua conclusione, e il peccato fu creder speciale una storia normale”.

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