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Il Cile e la Copa America: cent’anni di sogni infranti e poi la gloria

Il Cile ha fondato la CONMEBOL e partecipato alla prima Copa America, nel 1916. Ha organizzato il campionato sudamericano per la settima volta. Dopo essere arrivata sempre seconda, quando si giocava a girone unico, e due finali perse, la Roja ha ottenuto il suo primo titolo. Storia di un lungo sogno realizzato contro l’Argentina di Messi.
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L'esultanza di Arturo Vidal per la vittoria della Copa America
L'esultanza di Arturo Vidal per la vittoria della Copa America

Il Cile ha un rapporto intimo con le catastrofi. Una nazione sulla linea di faglia, in cui la provvisorietà diventa filosofia di vita, che ha imparato da secoli l’arte di ricostruire, di rinascere, di ripartire. Mai finora la Roja delle Ande era riuscita a sollevare la Copa America, un tabù che è riuscita a sfatare nella sfida più difficile, quella contro l'Argentina di Leo Messi. 

La prima Copa America – A 25 anni dalla Guerra Civile e dall’introduzione della Repubblica Parlamentare, il Cile entra tra le quattro nazioni che fondano la CONMEBOL con l’Uruguay e soprattutto con Argentina e Brasile, che hanno coinvolto il Cile nella grande corsa agli armamenti navali di inizio Novecento. Mentre si sviluppa un movimento proletario che rilancia sulla Questione Sociale, il governo, dopo il Patto di Maggio del 1902 con l’Argentina, riprende l’espansione della flotta, in risposta alle politiche militari brasiliane: nemmeno il terremoto di Valparaiso del 1906, da 8,2 di magnitudine, e le sue oltre 3800 vittime, fermano il governo cileno. I nemici militari diventano avversari sul campo e alleati nella politica sportiva e organizzano a Buenos Aires, per il centenario dell’indipendenza argentina, quella che passa alla storia come la prima Copa America. Il Cile arriva ultimo, perde 4-0 al debutto contro l’Uruguay. Il primo gol della Roja nella manifestazione non evita l’umiliante 6-1 contro l’Argentina: lo segna Telesforo Baez, sarà la sua unica rete nella storia della manifestazione.

Gli anni Trenta – Nel 1925 il Cile si dota di una nuova Costituzione che introduce il sistema presidenziale. Poco più di un anno dopo, nel 1926, e il Cile vince la sua prima partita: 7-1 alla Bolivia in Copa America. Scopre anche la sua prima grande stella, Guillermo “el Chato” Subiabre, centravanti dal destro potente, dal fascino irresistibile per il pubblico femminile, recitano le cronache dell’epoca, e svelto anche di mano. È lui a segnare l’unico gol della Roja contro l’Argentina ai Mondiali del ’30. Il Cile perde 3-1 e non passa il primo turno, ma di quella partita resta soprattutto il pugno a Luisito Monti, che sarebbe diventato poi campione del mondo con l’Italia di Pozzo. È un maestro ungherese, il secondo tecnico più giovane nella storia della Coppa del Mondo, a guidare a nazionale: Gyorgy Orth. Ha giocato un anno a Pisa e ci tornerà da allenatore, nel 1933, dopo un anno a Messina, al posto del connazionale Ging, che ha introdotto le sessioni tecniche e tattiche e raddoppiato gli allenamenti. Sarà Orth a scoprire Sergio Bertoni, campione olimpico a Berlino nel ’36 e mondiale a Parigi.

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Gli anni ’50 – Nel 1948, la Ley Maldita, la Legge Maledetta, esclude i comunisti dalla politica. Due anni dopo, inizia uno dei decenni migliori per la nazionale, che batte 2-0 gli Usa nell’ultimo, e ormai ininfluente match di primo turno ai Mondiali del Brasile. In porta gioca ancora Sergio Livingstone, il cileno con più presenze in Copa America (34, tra il 1941 e il 1953), erede della famiglia arrivata dalla Scozia alla fine dell’Ottocento che ha portato il seme del calcio nel Paese. Cresciuto con un padre eclettico, ala sinistra del Santiago Nacional, arbitro di pugilato, organizzatore di eventi e tra i fondatori del Teatro Caupolicán, ha sempre giocato in porta, fin da bambino. E ha sempre parato senza guanti, fino a quell’edizione del Mondiale. In quel primo glorioso decennio nella storia calcistica nazionale, la Roja arriva per la prima volta al secondo posto in Copa America. È il 1955, si gioca all’Estadio Nacional di Santiago, la formula è quella del girone unico, tutti contro tutti. L’ultima partita, che decide il titolo, è ancora contro l’Argentina, che vince 1-0. È una tragedia, segnata dai sei spettatori morti nel crollo di una delle barriere provvisorie. La Roja arriverà seconda anche l’anno dopo, lanciata in attacco dal “volante” Enrique “Cua Cua” Hornazabal, una mezzala destra che farà grande il Colo Colo ed è ancora oggi il giocatore cileno con più gol all’attivo in Copa America, 10: tra questi, la rete numero 1000 nella storia della manifestazione, nel 1955, e la doppietta ai grandi rivali del Brasile nel memorabile quanto illusorio 4-1 dell’anno successivo. Eppure, non sarà presente ai Mondiali del ’62, che il Cile riesce a organizzare nonostante il terremoto del 1960, il più forte mai registrato nella storia del Paese. Il ct Fernando Riera gli chiede di accettare senza discussioni la sua disciplina e le sue istruzioni, e il ribelle “Cua Cua” resta a casa. Come è andato quel Mondiale, come il Cile ha ottenuto il miglior risultato di sempre in Coppa del Mondo, è ormai storia nota.

Gli anni ’70 – L’elezione di Salvador Allende, nel 1970, inaugura un decennio destinato a cambiare per sempre la storia cilena. Contrastato dalle élite economiche e da Richard Nixon, travolto dalla crisi economica e dagli scioperi, resta fino alla morte a difendere la Moneda e la democrazia. Il colpo di Stato dell’11 settembre 1973, che inaugura la dittatura militare di Augusto Pinochet, anticipa di un paio di mesi la gara di ritorno dello spareggio per la qualificazione ai Mondiali del 1974 contro l’Unione Sovietica. Dopo lo 0-0 dell’andata a Mosca, l’URSS boicotta il match per ragioni politiche, i generali organizzano una farsa senza avversari davanti a una folla festante all’Estadio Nacional: nell’azione “della vergogna” sono coinvolti tutti i titolari, anche Carlos Caszely, comunista convinto, che ha partecipato alla campagna elettorale di due deputati “rossi” a Santiago: a luglio, la sua doppietta era valsa al Cile l’unica vittoria nella Coppa Carlos Dittborn, trofeo amichevole disputato nove volte contro l’Argentina, intitolato al presidente del comitato organizzatore dei Mondiali del ’62. Caszely, “el rey del metro quadro”, l’attaccante che non salutava Pinochet, sarà il primo giocatore per cui verrà estratto il cartellino rosso nella fase finale di un Mondiale: li ha introdotti proprio da quell’edizione Ken Aston, l’arbitro inglese della Battaglia di Santiago. Caszely sarà poi tra i testimonial più influenti della campagna per il no al referendum del 1989 che, con il voto popolare, metterà fine alla dittatura. Il decennio si chiude con la più larga vittoria nella storia della nazionale, 7-0 al Venezuela, e la prima, vera, finale di Copa America per la Roja. È un’edizione fuori dall’ordinario, quella del 1979, senza un Paese organizzatore, senza una sede fissa: tutte le partite, finale compresa, si giocano con gare di andata e ritorno nei differenti Stati. Il Cile si gioca il titolo contro il Paraguay, che vince 3-0 all’andata a Asunción; il Cile si impone 1-0 a Santiago (gol di Santiago Rivas). A questo punto si disputa uno spareggio in campo neutro, a Buenos Aires, ma in 120’ non si sblocca lo 0-0, e la miglior differenza reti porta il titolo al Paraguay.

L’ultima finale – Il Cile, che ospiterà la Copa America per la settima volta nella sua storia, non arriva in finale dal 1987, fermata allora dall’Uruguay. Un’edizione marcata dal 4-0 ai nemici storici del Brasile, che la Roja ha battuto solo 6 volte in 67 partite e ha fermato la corsa del Cile negli ultimi tre Mondiali disputati, sempre negli ottavi di finale: 4-1 nel 1998, 3-0 in Sudafrica nel 2010, solo dopo i calci di rigore un’estate fa, tramonto di una sfida epica a Belo Horizonte che per il Cile si riassume nella traversa di Pinilla al minuto 119.

Vergogna e rinascita – Al Brasile è legata anche la pagina più vergognosa del calcio cileno, la pantomima del portiere Roberto Rojas il 3 settembre 1989. Il Cile sta perdendo 1-0 al Maracanà in un match di qualificazione a Italia ’90: se finisse così, direbbe addio al sogno mondiale. Quando un petardo viene lanciato in campo, Rojas si getta a terra con un taglio sul sopracciglio. La partita viene sospesa, ma si scoprirà che il petardo non l’ha affatto colpito e che nella confusione si è tagliato da solo, nella confusione, con una lama che teneva nascosta nel guanto, sperando nella vittoria a tavolino. Il Cile perderà la faccia e dovrà saltare anche le qualificazioni a Usa ’94, ma da quella selva oscura nascerà la generazione di Salas e Zamorano, i migliori marcatori nella storia del Cile.

La storia si ripete – Anche la Roja di oggi, che torna in Copa America per la prima volta dal 2011, dalla sconfitta 2-1 contro il Venezuela, la Roja di Sampaoli, erede del bielsismo che studia gli avversari con la Playstation, e di Vidal, stella dei "kamikaze" che tenteranno ancora di conquistare il continente, ha una crisi da far dimenticare. L’anno scorso è arrivata al Mondiale sull’onda dell’ennesimo terremoto che ha messo in ginocchio Valparaiso. Quest’anno si presenta alla Copa America, in casa, con l’ombra della corruzione sulla presidentessa Michelle Bachelet, per i prestiti bancari di cui avrebbero beneficiato il figlio e la nuora, dello scandalo che ha compromesso il suo delfino, il ministro dell’interno Rodrigo Peñailillo, e le proteste sempre più forti e violente degli studenti. A maggio, Bachelet ha chiesto le dimissioni di tutti i ministri e annunciato il rimpasto di governo. Un successo in Copa America potrebbe di certo aiutarla a risollevare la sua popolarità, arrivata ai minimi storici. Sarebbe l’ennesima rinascita di una nazione rassegnata alla provvisorietà.

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