Il calcio italiano è il più povero d’Europa col fatturato a zero, debiti e nessun stadio di proprietà
Che il calcio italiano stesse vivendo il suo periodo di massima povertà, si era capito da molto tempo senza più conquiste in Nazionale e magre figure con i club in giro per l'Europa. Adesso, a certificarlo, arrivano anche i paragoni impietosi con l'estero, con le vicine Spagna, Francia, Inghilterra e Germania che, insieme al Belpaese, formano il pentagono europeo del calcio che conta. O che dovrebbe contare, visto che il nostro pallone sembra in piena caduta libera e non si vede alcuna rete di sicurezza all'orizzonte.
FATTURATO A LIVELLO ZERO – L'allarme è di colore rosso acceso, livello massimo, anche se al momento il sistema sembra avere altro cui pensare – se di peggio o di meglio è tutto da valutare: calcioscommesse, cessioni e acquisti, amichevoli di precampionato, supercoppe agostane, preparazione, preliminari e calendari. Nessuno vuole parlare, invece, di bilanci, risanamento economico, ristrutturazione aziendale, cambi di gestioni manageriali ai vertici di Federazione e Club con uomini pronti a coordinare il prodotto calcio come una vera e propria area economica specifica che deve seguire ferree regole di gestione e mantenimento di trend positivi e di ricavo. Il problema è che l'Italia – colpa anche la crisi e la recessione che però hanno toccato anche gli altri paesi europei – si è fermata da un decennio a questa parte per ciò che riguarda i fatturati del pallone. Soffermiamoci su un duplice paragone che racchiude un decennio: 2000 – 2010. Agli inizi del terzo millennio la Serie A fatturava quasi un miliardo tondo di euro ed era al secondo posto nella graduatoria dei campionati più ricchi dietro alla sempreterna Premier League. Gli inglesi vantavano 1,1 miliardi di euro, poi l'Italia e più indietro tutti gli altri: Bundesliga (0,53 miliardi), Liga (stesso introito) e Ligue 1 (0,51 miliardi). Insomma, le cose non andavano poi così male, anzi. Dieci anni dopo, invece, tutto è cambiato. Leader incontrastato è sempre il calcio anglosassone con una fatturazione da capogiro di circa 2,4 miliardi di euro. Poi la sorprendente Bundesliga con i tedeschi saldamente al secondo posto con 1,55 miliardi. Terzo gradino per la Serie A, con 1,53 miliardi tallonata dalla Liga spagnola (1,5) e dalla Ligue 1 francese (1,2). In pratica, in 10 anni, l'Inghilterra ha raddoppiato il fatturato, Liga, Bundesliga e Ligue1 l'hanno triplicato. E l'Italia? Quasi nulla a confronto con un misero +40% e venendo risucchiata verso il basso.
STADI E MERCHANDISIGN DA RIVEDERE – Il confronto e il trend è ancora più impietoso se si mettono in evidenza anche altre voci che sono poi l'anima del problema: i guadagni dei club attraverso gli incassi e la gestione degli stadi e quelli che arrivano dal merchandising e dagli sponsor. Anche in questo caso, l'Italia del pallone non fa una bella figura. I ricavi che arrivano dallo stadio è una voce che non permette di certo di stare allegri: le tre ‘grandi' (Inter, Milan e Juventus) messe insieme nell'esrecizio 2009-2010 non hanno fatturato nemmeno quanto ha fatto il Real Madrid in Spagna o il Manchester United in Inghilterra. I Blancos hanno incassato circa 129 milioni di euro, i red devils 122, mentre la prima delle italiane, l'Inter, veleggia sulla miseria di 38 milioni. Stesso discorso dicasi per la gestione del marchio nel mondo e dell'appeal del brand attraverso le sponsorizzazioni. A farla da padrone in questo caso è il sorprendente Bayern di Monaco che ha chiuso l'ultimo esercizio ricavando circa 172 milioni di euro, davanti all'onnipresente Real Madrid che segue a 150 milioni. Le italiane? La prima è il Milan, al settimo posto, con 56 milioni, poi c'è la Juventus al nono posto con 45,7 milioni, decima è l'Inter con 34,5 milioni. Spiccioli, confrontati con gli altri colossi che oggi non sembrano aver problemi nel ‘gestire' i migliori colpi di mercato.
DIRITTI TV: DELIZIA E CASTIGO – E' proprio questo il problema: l'Italia fattura di meno, ha meno soldi da investire e meno campioni da pagare perdendo oltretutto i pochi fenomeni che è riuscita a ‘coltivare': in questo senso, le storie di Pastore e la vendita milionaria di Sanchez sono emblematiche con le offerte incontrastate di Barcellona e PSG. Dopotutto, il maggior lemento di ricavo per i nostri club restano i diritti televisi a cui è legata circa il 70 per cento della fatturazione annua, un ‘capestro' che ora si sta stringendo sempre più senza trovare nuovi sbocchi di sostentamento. Come potrebbero essere ad esempio i soldi freschi che entrerebbero se anche in Italia ci fossero degli stadi di proprietà. Invece, siamo fermi al solo impianto della Juventus, con tutti gli altri che litigano con le istituzioni e le attuali leggi che impediscono di fatto la gestione di un centro polifunzionale e multisportivo ad esclusiva del club di appartenenza che diventasse un nuovo bacino da cui attingere entrate maggiori come si fa da anni in Inghilterra e come – dai Mondiali 2006 – lo sta facendo anche la Germania (vedasi il classico esempio dell'Allianz Arena del Bayern).
LA VIA PER RISALIRE – Stadi di proprietà, manager più attenti e scrupolosi alle leggi economiche cui devono sottostare anche le gestioni dei club, regolamenti da cambiare sulle tassazioni e sgravi fiscali. Tutti elementi da cui deve ripartire la rincorsa italiana per il rilancio del calcio. Senza guardare con astio o fastidio l'avvento di eventuali nuovi finanziatori e investitori esteri. Arabi, russi e americanihanno già colonizzato Inghilterra e Spagna e stanno mettendo le basi anche in Francia, mentre in Italia sono ‘ostacoli‘ da un ostracismo tutto partigiano secondo il quale il proprietario straniero è semplicemente uno ‘speculatore‘ affarista senza scrupoli. Spesso ciò non corrisponde alla realtà, anzi: questo è proprio l'identikit di molti attuali imprenditori nostrani ‘prestati' al mondo del pallone.