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Il calcio è fallito ma lo si tiene in vita perchè dà 1 miliardo di euro al Fisco

2,6 miliardi di debiti in un solo esercizio avrebbero fatto fallire qualsiasi azienda. Ma non il calcio che registra anche una fortissima contrazione della crescita dei costi dopo gli incrementi degli ultimi anni. Nella stagione 2010-2011, il sistema del pallone italiano ha speso più di quanto abbia guadagnato per un debito di oltre 400 milioni di euro.
A cura di Alessio Pediglieri
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Fallimento virtuale – Da un punto di vista di gestione imprenditoriale, il nostro calcio è fallito. L'azienda del pallone (già da tempo la più povera d'Europa) nel suo insieme, è indebitata a tal punto che dovrebbe esserne dichiarata la bancarotta, entrare in amministrazione controllata, tagliare la maggior parte delle spese e dei costi e rielaborare un piano a medio e lungo termine per aumentarne i ricavi. E invece? Invece sembra, che conti in rosso costante a parte, tutto vada per il meglio e nessuno se ne preoccupi. Gli occhi puntati sulle sfide al Barcellona del Milan in Champions League, l'interesse concentrato su chi conquisterà lo scudetto o il terzo posto a fine stagione, un calciomercato e trattative di compravendita sempre costantemente aperti. Come se nulla fosse e l'ultimo report "Calcio 2012", il rapporto organico presentato presso la sede dell'Abi a Roma e promosso da Figc, Arel e PricewaterhouseCoopers non affermasse che tutto stia andando alla deriva. Irrimediabilmente.

ministro dello sport gnudi

Gnudi alla meta – A conferma di tutto ciò arrivano anche le dichiarazioni del Ministro dello Sport attualmente in carica nel Governo Monti, Piero Gnudi dopo aver studiato la relazione sull'ultimo esercizio:

"Il calcio è una grande realtà, ma io faccio il ragioniere e leggo bilanci molto preoccupanti. In altri ambiti, con quei numeri si parlerebbe di società prossime al fallimento. Tante volte si è parlato di un mondo del calcio vicino al fallimento e poi non è successo niente. Oggi però la situazione è ben diversa: ci troviamo in una crisi che sarà abbastanza lunga, per questo sarà sempre più difficile trovare mecenati disposti a mettere soldi nel calcio. Rischiamo di non trovare società in grado di iscriversi ai campionati".

Eccola, la parolina magica che nessuno vuole pronunciare: fallimento. Così si cerca in ogni modo di mantenere in vita una struttura che è collassata su se stessa da almeno un quinquennio, reggendola in piedi con qualsiasi espediente. L'ultimo? La ‘copertina di Linus' della legge-quadro sugli stadi: in questi giorni sarebbe questa normativa a poter e dover salvare il calcio diventandone il placebo di tutti i suoi mali, soprattutto economici. Incredibile? No, basta leggere ancora le dichiarazioni del Ministro Gnudi: "Ha ragione il mondo dello sport quando dice che la legge sugli stadi è una priorità. Sono convinto che l'iter per l'approvazione di questa norma vada portato avanti anche per innescare nuovi investimenti da parte dei privati, parliamo di 800 milioni di euro che sarebbero utili anche alla ripresa del paese".
Un iter che è stoppato dalla burocrazia e dai problemi legati al rischio di corruzione per l'assegnazione degli appalti, nonchè da leggi territoriali che mettono spesso in disaccordo le richieste e le esigenze di società e presidenti pronti ad investire con piani regolatori e urbanistici non conformi. Insomma, un caos.
E i tempi saranno lunghissimi, altro che i ‘pochi giorni' che, ancora il Ministro Gnudi, spera bastino perchè la legge entri in vigore (mentendo sui reali tempi, più che ben conosciuti, che prevedono almeno l'arrivo del 2013).

Il fisco e il miliardo dal calcio

Il miliardo allo Stato – La domanda, dunque, sorge spontanea: perchè se in altre realtà un'azienda indebitata come il ‘Calcio' sarebbe stata fatta giustamente fallire per non arrecare più danni di quanti non ne avesse già fatto, il ‘Sistema' del Pallone viene tenuto malgrado tutto in piedi? Presto detto: malgrado i suoi conti in rosso,  il calcio (dilaniato da liti e debiti) oggi è in grado di dare al Fisco un contributo pari ad un miliardo di euro. L'85% del totale deriva dal contributo fiscale e previdenziale delle società professionistiche, mentre i rimanenti 155 milioni di euro sono relativi al gettito erariale derivante dalle scommesse. ‘Chiudere‘ il calcio vorrebbe dire per lo Stato, in questo preciso momento di fortissima recessione economica, auto-castrarsi. In un circolo vizioso che non si può, dunque, interrompere, i conti in rosso e i debiti vengono elencati asetticamente, infarciti da grande indignazione, un pizzico di vergogna e con una spruzzata di imbarazzo. Ma tant'è: si vada a vanti così, the ‘show must go on'.

I conti ‘rosso vergogna' – Secondo il "Report Calcio 2012", l'indebitamento complessivo della Serie A – nell'ultimo esercizio 2010-2011 – è di 2,6 miliardi di euro ed è in aumento del 14% rispetto all'anno prima. Nello specifico dell'ultima stagione calcistica, la perdita netta prodotta dal calcio professionistico italiano è stata pari a 428 mln di euro, in aumento di 80 milioni rispetto al 2009-2010. Ciò deriva dal fatto che il calcio, nel 2011-2012 non è stato in grado di aumentare il valore della produzione (addirittura in calo di  un -1,2% rispetto alla stagione precedente) che si è attestato sui 2,5 miliardi di euro mentre il costo della produzione è salita a 2,9 miliardi di euro (con un bel +1,5% rispetto al 2010-2011). In soldoni, significa che il calcio spende più di quanto non riesca a guadagnare con un ‘buco' annuo in bilancio di circa 400 milioni di euro.
Il risultato è negativo in tutte le leghe: solo 19 sui 107 club analizzati hanno riportato un utile (pari ad un misero 18%).
La Serie A genera l'82% dei ricavi complessivi (ma era l'84% nel 2009-2010), a favore della Serie B che arriva al 14% (era l'11 % nella stagione precedente) e a discapito della Lega Pro, che cade al 4% (era il 5% nel 2009-2010). Il 2010-2011 rappresenta uno ‘spartiacque' pericolosissimo: è stato il primo periodo nel quale la crescita dei costi ha rallentato fortemente, se confrontata con il passato. Nel 2009-2010 c'era stato un incremento del +6,8% e nel 2008-2009 del +6,4%.

stadi pieni in champions

Nessuno va più allo stadio – Sono in diminuzione anche gli spettatori che vanno allo stadio, una risorsa che dovrebbe essere primaria per l'azienda del pallone. Il numero complessivo di persone che ha assistito agli incontri dei campionati professionistici italiani nel 2010-2011 è stato di 13,3 milioni. Una cifra impressionante ma se confrontata con l'esercizio precedente, si scopre che è in calo del 4%!
La Serie A è il campionato che – malgrado tutto – ha ‘retto' meglio delle Leghe inferiori. Nel massimo campionato si è registrato un decremento del -2,4%, mentre nella Serie B si arriva già a un -3,2%. Peggio avviene nella Prima Divisione dove il decremento passa in doppia cifra con uno sconfortante -11% con la punta dell'iceberg rappresentata dal -19,9% della Seconda Divisione. La percentuale di riempimento degli stadi utilizzati da squadre di Serie A nelle partite di campionato, Coppa Italia e coppe europee è stata pari al 56%, mentre nello specifico la competizione che ha registrato la percentuale di riempimento maggiore è stata la Champions League (con il 67%), seguita dalla Serie A (con il 59%).
Si registrano percentuali inferiori però in Serie B (30%), in Prima Divisione (26%) e in Seconda Divisione (20%). E' stata di 22,4 milioni di euro, invece, la contrazione dei ricavi da ingresso stadio del calcio professionistico italiano nel 2010-2011 (253 milioni contro 275,4 della stagione precedente) pari a circa l'8%. I ricavi da stadio rappresentano solo il 10% del totale del valore della produzione delle società professionistiche.

Tv, tessera del tifoso, impianti scadenti – I motivi sostanzialmente sono stati tre: l'offerta molteplice e sempre più appetibile e variegata delle televisioni a pagamento e satellitari che hanno ‘pilotato' spesso e volentieri i calendari, spalmando incontri tra anticipi, posticipi e lunch time, non perdendo tempo a fare esperimenti su ‘spezzatini' che dovrebbero essere serviti dalle prossime stagioni. Il tutto, a orari che hanno guardato più agli interessi del prime time catodico che alle esigenze e problematiche di chi avrebbe dovuto dirigersi allo stadio. Non a caso, in Lega si litiga un giorno sì e uno anche proprio per la spartizione dei lauti diritti del calcio in tv. A proposito di questo, ha inciso moltissimo anche il ‘deterrente' della tessera del tifoso – già andata in archivio – che non ha di certo facilitato o invogliato a dirigersi allo stadio per assistere dal vivo ad una partita tra documentazione da presentare, controlli da subire e regole da rispettare (spesso per i tifosi reali, mentre teppistelli e ultrà ne hanno sempre scansato gli obblighi).
Ultimo aspetto da non dimenticare, la fatiscenza dei nostri impianti, per lo più risalenti all'era d'oro di Italia 90 quando, sulla scia dei Mondiali, si iniziò una corsa sfrenata alla costruzione di nuovi stadi poi lasciati a loro stessi da oltre un decennio. Da più parti si grida alla possibilità di costruirne di nuovi, di proprietà dei club. Ma nessuno fa la prima mossa, in attesa di avere a disposizione la legge-stadi che giace in un cassetto in Parlamento. Solamente la Juventus ha rotto lo ‘status quo' con lo Juventus Stadium registrando – guarda caso – il record di spettatori in Serie A con quasi tutte le gare casalinghe esaurite e una struttura polifunzionale che da qui al prossimo quinquennio dovrebbe riportare nelle casse bianconere i soldi investiti, per poi iniziare a fruttare in positivo, permettendo una progettazione a lungo termine e conti meno in rosso.

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