I 60 anni di Michel Platini: come nacque il mito di Le Roi
Alla festa per i suoi settant’anni, da Chez Maxim’s a Parigi, Gianni Agnelli parla di tre persone nel discorso che tiene in italiano e in francese. Parla di suo nonno, di Henry Kissinger e di Michel Platini, che è lì presente. “Abbiamo preso un giocatore da un Paese che non capisce niente di calcio e ci ha insegnato a giocare a pallone”. È un cerchio che si chiude. È figlio di emigrati novaresi il nonno ha lasciato Agrate Conturbia e con papà Aldo, professore di matematica che da ragazzo tirava punizioni niente male, gestisce il Cafè des Sportifs. È nato a Joeufs, paesino di minatori nella Lorena, in una via dedicata a Saint Exupery, l’autore del Piccolo Principe. E forse un giorno la dedicheranno a lui, al grande Le Roi.
Respinto – Come molte storie di successo, è segnata dai rifiuti e popolata di figure che negli anni devono essersi pentite. Michel, che vuole vincere praticamente sempre e a tutto, partite a carte in famiglia comprese, e che, parola di Aldo, ha provato qualunque sport e mostrato sempre, già dalla prima volta, lo stile del veterano (dalla canoa al nuoto, dal basket al pattinaggio su ghiaccio), fallisce il primo provino. È il 1969, lo stadio è di quelli che mettono un po’ soggezione, almeno per il carico di storia che si portano dentro. Il 14enne Michel è sul terreno di gioco del Colombes, lo stadio dove l’Italia in maglia nera si è presa i fischi degli antifascisti per il saluto romano contro la Francia ai Mondiali del 1938, e dove, a quel punto tra gli applausi, ha alzato per la seconda volta di fila la Coppa Rimet.
“Ero lì alla finale del concorso per i migliori giovani calciatori di Francia. Allo stadio di Colombes c'era un vento cane, non riuscii a toccare e a giocare un solo pallone buono. Mi offrirono un biglietto per andare sulla Senna in battello e uno per andare a vedere la Torre Eiffel. Gli altri ragazzi rimasero allo stadio a giocare al calcio, a me consigliarono di fare il turista”. Non va meglio il secondo, al Metz, la squadra di Nestor Combin, l’amico di Gigi Meroni che segnò tre gol alla Juve nel derby dopo la sua morte e poi alla Juve finirà a giocare, per una sola stagione, e soprattutto la squadra di Kubala, che papà Aldo l’ha portato a vedere quando aveva 12 anni. Soffia nello spirometro e, per ragioni mai chiarite, sviene. Lo scartano con la diagnosi di insufficienza cardiaca.
Le vie en rose – Aldo estrae dalla sua carriera di “milieu de terrain”, di buon centrocampista, i contatti giusti. A Metz ha mantenuto i contatti con l’ex capitano Hervé Collot e soprattutto con il presidente Claude Cuny. Per Platini, che da piccolo si firmava Peleatini e tirava punizioni contro la porta del garage con Fufi, il cane della cugina, nel ruolo di suo primo portiere, quell’incontro cambia la vita. È Cuny che inventa le quattro sagome azzurre di plastica che diventano la barriera non più immaginaria perché il figlio del professore di matematica possa allenarsi a tirare i “coups francs”, i calci da fermo. Debutta a Nancy un giorno di maggio, contro il Nimes. Gli danno la maglia numero undici, perché il titolare Kuzowski è infortunato. Gli dicono di stare davanti, anche se Michel, nonostante la vocazione del gol, si è sempre sentito centrocampista come i suoi primi idoli, Rivera e Mazzola. Per venti minuti non tocca palla, “Non vedevo niente, mi si era appannata la vista. Per me fu un giorno di nebbia. Eppure c'era un gran sole” dirà. Ma fa due gol al Lione, due settimane dopo, e non si fermerà più.
La Juve – Prima della Juve, la stella di Platini brilla a Saint-Etienne. Lascia i Verts dopo due amare sconfitte: perde il campionato all’ultimo turno, a vantaggio del Monaco, e perde la Coppa di Francia in un’incredibile finale contro il Paris St.Germain. La Juve ha già Boniek, e come secondo straniero Boniperti ha già fatto firmare Brady per due anni. Agnelli però insiste. “Aveva molti amici in Francia e gli avevano detto che ero abbastanza buono. Tra loro il direttore dell’“Equipe” Edouard Seidler. Avevo già firmato un precontratto all’Inter e quando la Juve mi ha voluto, ho chiamato Milano e mi hanno risposto: abbiamo già preso altri due stranieri dunque lei è libero di andare dove vuole” ha raccontato Platini. I primi a sapere del trasferimento di Platini alla Juve sono gli ascoltatori di radio Europe 1. Un tecnico dell'aeroporto di Lione telefona in diretta e svela la partenza per Torino di Le Roi a bordo di un Cessna a 4 posti: si merita così i 500 franchi di premio per l’ascoltatore che fornisce la “notizia della settimana”.
Sono due i motivi che hanno spinto l’Avvocato. “Per lui, l’avermi scelto, è sempre stato un motivo di fierezza, era la dimostrazione che si intendeva di calcio” spiegava Platini al Guerin Sportivo. “L’altro punto importante è che io ero francese, l’Avvocato parlava benissimo francese, per lui la Francia era il Piemonte, Vittorio Emanuele e tutte quelle cose lì. Per di più ero figlio di piemontesi. Insomma non appartenevo certo al suo mondo reale, ma a quello ideale sì”. Platini nemmeno lo conosce l’Avvocato, e per la verità sa poco anche del calcio italiano. La tv francese il sabato trasmette solo i gol del campionato inglese e tedesco. Platini conosce il Milan e l’Inter per le grandi sfide europee con Ajax e Benfica, ma la Juve, confessa, “era solo un nome”.
Cambio vita – Platini arriva a Torino con il manager Bernard Genestar e un consigliere dell'assocalciatori francese, Piat. Ad aspettarli la limousine grigia dell’Avvocato, che farà trovare nella camera d’albergo un enorme mazzo di rose per sua moglie Christelle: alla guida c’è Boniperti. Iniziano le sette ore che gli cambiano la vita. Tre ricorderà, sono state particolarmente dure: tanto è durata la discussione con Boniperti, prima di arrivare alla firma sul contratto con la Parker d’oro che il presidente pretende gli venga restituita. Per celebrare l’affare, due sandwich e un succo di frutta. Le Roi chiede dello champagne, al massimo gli arriva una bottiglia di spumante Asti, bollicine a chilometro zero. “Ora che sei dei nostri, ti dovrai tagliare i capelli” gli dice Boniperti, come a tutti i nuovi acquisti o quasi. “Perché? Avete forse paura che mi cadano?”.
Storia di un grande amore – La prima in campionato della nuova Juve di Trapattoni è tutt’altro che esaltante. I bianconeri perdono con la Sampdoria, e il migliore in campo è proprio Brady. Non è un buon segno. Dopo mezzo campionato, Platini ha litigato con la pubalgia e col Trap che si ostina a tenere Furino in regia. Anche l’Avvocato critica la squadra e Le Roi “impone” Bonini, che non si toglierà più dalle spalle l’etichetta di giocatore che deve correre anche per lui. La rivoluzione francese è completa. Michel è andato ad abitare con Christelle, figlia di un costruttore edile di origini bergamasche, le due bambine e un pastore tedesco in una villa non lontana da quella di Tardelli. Il tandem in campo e fuori è perfetto. La Juve in campionato vola. Platini eguaglia il record di Nordahl e chiude con il titolo di capocannoniere per tre volte di fila. Porta a casa tre Palloni d’oro di fila, e il primo è tutto solo per le sue prestazioni individuali, la Juve ha perso da favorita la finale di Coppa Campioni per il gol di Magath. Il secondo è figlio del trionfo europeo con la Francia, dei suoi nove gol in cinque partite, e del quadrilatero di centrocampo che tremare il mondo fa con Tigana, Giresse e Fernandez. Il terzo è un premio per non aver avuto paura, né vergogna, di tirare un calcio di rigore e alzare la coppa insanguinata nella notte dell’Heysel.
Cosa resta – Ma il sogno più bello è sempre il sogno non sognato, e non fu mai passato il tempo che passò. Così, più degli aneddoti, delle telefonate dell’Avvocato alle sei di mattina, di quel giorno in cui, per scherzo e per scommessa, colpisce al primo colpo, da centrocampo, una lattina messa in bilico sulla traversa, più dei 104 gol in bianconero resta l’immagine di Le Roi sdraiato in area a Tokyo come la Paolina Borghese di Canova. L’immagine filo-italica e filo-francese di una grande bellezza vanificata dalla rigidità. Resta l’esultanza muta e insieme eterna per il più bel gol annullato nella storia di una Coppa Intercontinentale e del calcio. Come Le Roi, c’è solo Le Roi. Auguri.