Germania: come il calcio ha anticipato la Merkel
Quando Angela Merkel arriva al centro di accoglienza per immigrati di Heidenau, la scena è surreale. Migranti in divisa devono proteggere la cancelliera cresciuta nella Germania Est dai cittadini infuriati di quella stessa Germania orientale. Tanti, elettori e politici, si sono stupiti dei messaggi di apertura arrivati da Merkel, sull’apertura delle frontiere e la volontà di gestire la grave crisi umanitaria senza cedere alla paura dell’altro. Eppure, con questi stessi principi, la Mannschaft, la nazionale tedesca di calcio, ha cambiato volto dopo il fallimento europeo del 2000. Oggi Angela Merkel difende gli stessi valori che hanno portato la nazionale dei Boateng e dei Klose, dei Khedira e dei Podolski, sul tetto del mondo, applauditi dalla stessa cancelliera. I valori che hanno reso Mesut Ozil il primo vero simbolo di integrazione vincente nella Germania unita.
Dalla “gabbia” alle stelle – Il viaggio del giocatore più pagato nella storia dell’Arsenal è iniziato in un campetto circondato e protetto dal filo spinato a Olga Strasse a Bismarck, distretto multietnico di Gelsenkirchen, tra casermoni e graffiti. Qui negli anni ’70 era arrivato suo nonno, uno dei tanti gasterbeiter turchi, lavoratori ospiti, che hanno finito per rimanere e formare la più grossa comunità di stranieri nel territorio tedesco: oggi quasi 3 milioni e mezzo di persone di origine turca chiamano la Germania “casa”. È una storia di ispirazioni e contrasti, quella di Ozil, “l’attaccante multi-kulti”. Già dal Mondiale del 2010, i figli e i nipoti degli immigrati turchi cominciano a sentire che l’atmosfera sta cambiando. Il successo dell’integrazione dipende dall’istruzione, dalla possibilità di trovare un lavoro e imparare la lingua. Opportunità che i gasterbeiter arrivati con gli accordi bilaterali fra i governi hanno avuto, e che spesso mancano ai loro figli e nipoti. Ozil, per molti, è un esempio, è l’eccezione alla regola, la dimostrazione che uno su mille ce la fa.
Nazionale multietnica – All’Europeo del 2000, la Mannschaft tocca forse il suo punto più basso. Scholl segna l’unico gol dei tedeschi, nell’1-1 inaugurale contro la Romania. Poi arrivano la sconfitta contro l’Inghilterra (gol vittoria di Shearer) e l’umiliante 0-3 contro il Portogallo. Un anno prima, il governo di Berlino aveva deciso di favorire l’integrazione e semplificare l’accesso alla cittadinanza per gli immigrati di seconda generazione. Dopo il fallimento sportivo, la Lega e la Federazione tedesca cambiano radicalmente i metodi di amministrazione dei settori giovanili. E le nazionali cominciano a cambiare volto. Nel 2006, ai Mondiali, in squadra c’è anche Patrick Owomoyela, e la reazione dell’NPD, il partito di estrema destra, ha prodotto un calendario con il volto del giocatore di origine africana e lo slogan: “Bianco: non solo il colore della maglia! Per una vera nazionale”. Il leader del partito, portato in tribunale dal calciatore e dalla federazione, verrà condannato a sette anni per incitamento all’odio razziale. La questione, per Barbara John, ex commissario all’integrazione per i cristiano-democrstici, il partito di Angela Merkel, coinvolge un tratto centrale e dolente dell’identità tedesca, “un complesso di colpa legato all’Olocausto. Nella storia tedesca, il fatto che i governi si siano voltati dall’altra parte di fronte ai problemi ha avuto un peso notevole. Ora i tedeschi devono venire a patti con la realtà: la Germania è una nazione di immigrati”.
Identità doppia – Ma non è facile. Come non è stato facile per Ozil venire a patti con la sua identità multiforme: “Ho la tecnica di un turco e la disciplina di un tedesco” ha detto in una conferenza stampa diventata ormai celebre. Non tutti hanno preso bene la sua decisione di giocare per la Mannschaft. Soprattutto altre stelle di origine turca immigrate in Germania come Yildiray Basturk, che ha aiutato il Bayern Leverkusen a raggiungere la finale di Champions del 2002, e Hamit Altintop, che in Germania ha raggiunto la vetta della sua carriera, con la maglia del Bayern Monaco. Come Ozil, Altintop è cresciuto nella regione della Ruhr, ma ha continuato a giocare per la nazionale turca. “Capisco la sua decisione, ma non la approvo” ha detto in occasione di una sfida tra Germania e Turchia nell’ottobre del 2010. “Se avesse scelto di giocare per la Turchia non sarebbe andato ai Mondiali e magari non sarebbe andato a giocare nel Real Madrid”. Diversa la posizione, dopo Sudafrica 2010, di Maria Boehmer, allora commissario governativo per l’immigrazione e l’integrazione. “La nazionale di Loew è lo specchio fedele della nuova Germania” spiegava. “Il calcio guida il processo di integrazione. Ozil è nato in Germania e ha detto sì alla nazionale tedesca, e non è certo un fatto scontato per un ragazzo di origine turca. Questa scelta dimostra che Ozil qui si è sentito benvenuto”. In quel match di cinque anni fa, Ozil ha segnato il secondo gol nel 3-0 completato dalla doppietta di Klose. Non ha esultato, ma la questione dell’identità è rimasta evidente per tutti i 90 minuti e oltre. Il giorno dopo, infatti, sul Bild-Zeitung, il primo quotidiano tedesco, campeggiava un titolo tutt’altro che neutrale per commentare la vittoria: “Il nostro Ozil”.
La nazionale? Un esempio – Il “nostro” Ozil è un musulmano praticante, che recita versetti del Corano prima di scendere in campo. I compagni sanno che in quel breve periodo della preghiera prima del match, non possono parlargli. Ma non segue il Ramadan, digiuna solo pochi giorni in quel mese, solo quando non ha allenamenti o partite. E anche qui c’è chi l’ha criticato per questa sua deviazione dai precetti sacri. Ozil, che rifiutò una convocazione per la Turchia nel 2006, in occasione di un’amichevole contro l’Italia a Bergamo, è diventato “un esempio di integrazione di successo nella società tedesca” come si legge nelle motivazioni del premio Bambi, che i giornalisti teutonici gli hanno attribuito. L’integrazione, ha spiegato Ozil in una recente intervista per la tv dell’Arsenal, “è un tema complesso. E la nazionale tedesca è l’esempio migliore di come persone da tante culture diverse possano stare insieme, giocare insieme e rispettarsi. E dovrebbe essere così anche nella vita. Aprirsi agli altri, rispettarli farebbe cambiare le cose”.