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Genova, Marassi, ore 16:11. Gli ultrà celebrano il funerale del calcio

Mai, prima di domenica pomeriggio, si era assistito a scene del genere, con la dimostrazione di forza assoluta degli ultrà capaci d’imporre condizioni a giocatori, dirigenti e forze dell’ordine. Lo sfilarsi la maglia non è stato solo un gesto di buonsenso per evitare che la situazione degenerasse: è stata la consegna incondizionata del calcio in mano ai teppisti.
A cura di Alessio Pediglieri
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La cronaca la sapete, basta rileggere il racconto di una partita, Genoa-Siena, che si è giocata solamente per un tempo per poi lasciare spazio alla violenza ultrà e a scene mai viste prima d'ora nel nostro calcio. Nessun atto di teppismo, nessun ferito, nessuno scontro con le forze dell'ordine. Però questa volta, si è saliti di grado nella scala che determina il rapporto di forza tra tifosi estremisti e società calcistiche: a favore dei primi.

Quando la realtà supera la finzione – A Marassi sembrava assistere ad un film-documentario sulla vita degli ultrà, un cortometraggio in cui si concentra in poche scene ben mirate, lo ‘stile' di vita del tifoso da curva che vive e respira solo per la partita del weekend e ha come unico credo i colori della maglia della squadra del cuore. Tutto il resto non conta o non conta abbastanza.
Uno stadio ammutolito, sequestrato subito dopo la pausa fi fine primo tempo con il Genoa sotto 4-0 contro il Siena; un centinaio di esagitati che a cavallo di transenne e a cavalcioni sull'ingresso del tunnel che porta agli spogliatoi che minacciano verbalmente e con gesti eloquenti i propri giocatori, rei di non essere degni di indossare i gloriosi colori del Grifone, il primo e più antico club calcistico in Italia; giocatori esterrefatti, a centrocampo in lacrime per i fumogeni lanciati dagli spalti e scossi da un clima da guerriglia latente; le discussioni, le trattative, l'arrivo del questore vicario, i pochi poliziotti antisommossa; le maglie sfilate dal capitano Rossi, consegnate come resa incondizionata alla volontà degli ultrà, poi rindossate; Sculli sotto la curva a placare i più esagitati, a interloquire con chi sarebbe dovuto essere preso e ammanettato, Frey che a debita distanza non si sfila la maglia e ne rivendica il diritto di indossarla; l'arrivo del presidente Preziosi, la tensione con la Questura; la ripresa del gioco di una partita inesistente.

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La resa dello sport – Eccola, in fotogrammi, la resa incondizionata del calcio italiano verso la violenza ultrà per una volta priva di scontri fisici, ma che da ieri pomeriggio a Marassi ha legittimato il proprio potere – assoluto – sul mondo del pallone italiano.
A dirlo sono quelle immagini che hanno scosso la Serie A ma non solo, in un atto inedito del nostro calcio dove già altre volte i teppisti da stadio erano riusciti a fermare partite e a inscenare guerriglie dentro e fuori agli impianti per i motivi più svariati, ma mai – mai – erano arrivati al punto di imporre il proprio volere ai giocatori. Lo sfilarsi quella maglia rossoblù è andato oltre un semplice gesto provvidenziale per stemperare animi già troppo agitati e che promettevano disordini ad oltranza. Ha significato la consegna delle chiavi del mondo del calcio al potere ultrà che da sempre vivono in connivenza con i club e i loro dirigenti perchè è meglio averli dalla propria parte che contro. La storia lo insegna e non solo quella recente.
Basti pensare alla guerriglia scoppiata alla notizia della morte del commissario Raciti nel derby siciliano del 2007, ai disordini del 1995 – sempre a Marassi – per la morte del tifoso rossoblù Spagnulo e le conseguenze durate anni con trasferte vietate in Liguria per i tifosi rossoneri fino alla recente riappacificazione grazie a Galliani e Preziosi. Le notizie che sono arrivate da Bari, col calcioscommesse e i suoi retroscena, dove i giocatori erano minacciati dai tifosi a perdere partite e pilotare risultati per ingrassare le tasche ultrà attraverso giocate illegali vista la retrocessione oramai matematicamente acquisita sul campo. Fino a ieri pomeriggio. Quando si è celebrato il funerale del calcio.

funerale calcio a genova maglie per terra

Vergogna. Di chi? – A sancire la fine di tutto è stato il cedere al ricatto ultrà ma soprattutto l'imbarazzante siparietto che ne è scaturito e che ancora adesso prosegue tra le istituzioni e i vertici societari genoani.
Chi ha detto ai giocatori di togliersi la divisa? Perchè l'hanno fatto? Come mai a Marassi c'erano solamente una dozzina di agenti ovviamente insufficienti a placare la rabbia ultrà e a tutelare la sicurezza pubblica? Domande importanti, vitali. Che faranno aprire inchieste federali e che stanno già facendo litigare i vari protagonisti, da Enrico Preziosi al Questore di Genova che rivendicano il rispettivo diritto di decisione in situazioni del genere.
Il tutto, nel frastuono dell'indignazione dei vertici del calcio, da Giancarlo Abete, presidente federale a Gianni Petrucci, il numero uno del Coni. Un solo grido, un solo coro: "Vergogna, vergogna, vergogna!".
Ma chi si deve vergognare veramente? Gli ultrà?
Difficile, già sappiamo che i teppisti vestiti da tifosi non hanno nel loro vocabolario la parola ‘vergogna', anzi la combattono con atti d'onore, con un codice etico condiviso nel mondo ultrà per cui la vergogna è bandita da sempre. Quindi non sono loro a doversi vergognare.
I giocatori? Bisognerebbe trovarsi in quei momenti per poter giudicare un gesto di ragazzi di 25-30 anni che si vedono minacciare da chi è entrato allo stadio e si trova a una dozzina di metri, inferocito e violento. C'è chi ha saputo resistere (vedi Frey), c'è chi ha provato a usare il proprio ascendente (vedi Sculli), c'è chi ha pensato fosse meglio assecondare la volontà ultrà senza pensare a troppe congetture conseguenti (vedi Rossi). Quindi è complicato pensare che siano i calciatori stessi a doversi vergognare di un gesto che in quei momenti è sembrato più una naturale e inconscia autodifesa per evitare, in quel momento, il peggio.

funerale calcio a genova preziosi e questura

Oramai è tardi – E allora quel "vergogna, vergogna, vergogna!" che è tuonato nelle stanze del Comitato Olimpico Nazionale Italiano a chi deve essere riferito?
Quel "mai più allo stadio" del presidente federale Abete, a chi dev'essere rivolto?
Perchè sappiamo benissimo che la legge porterà al massimo dell'attuale pena, ovvero al Daspo di 5 anni (solo in Inghilterra esiste l'"espulsione definitiva") con l'obbligo di firma come sappiamo benissimo che gli stessi tristi protagonisti della vicenda di Marassi troveranno comunque il modo di aggirare i provvedimenti e tornare a fare danni e a far ‘pesare' la loro presenza in altri modi, attorni agli eventi sportivi. Come sappiamo benissimo che se le forze dell'ordine in queste ore stanno visionando filmati e immagini per dare un nome ai volti coperti e no tra gli ultrà di Marassi, la società rossoblù e i suoi tesserati li conoscono già da tempo e fin troppo bene, così come ogni club conosce perfettamente i componenti storici delle proprie tifoserie di curva.
Perchè altrimenti non si comprenderebbe il gesto di Sculli di andare volontariamente sotto i tifosi che conosceva già e con i quali sapeva di poter almeno parlare.
Perchè non si spiegherebbe nemmeno la scelta di capitan Rossi, alla fine, di togliersi e chiedere ai propri compagni di togliere la maglia.
Perchè non si capirebbe la decisione di Preziosi di esonerare Malesani immediatamente (e per la seconda volta in stagione), il tecnico la cui testa era rivendicata a gran voce dagli ultrà.

Perchè – come nelle migliori tradizioni quando si è in battaglia – il nemico che non puoi combattere è meglio farselo amico. Anche se questo è calcio, non una guerra.
O forse sì.

funerale calcio a genova sculli e tifosi
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