Eder certifica il fallimento di De Boer: “Ci proviamo, ma non riusciamo a capirlo”
"Frank ha un po' di tempo per valutare i giocatori e imporre il suo stile". Era l'11 settembre 2016 e a parlare era il presidente dell'Inter, Erick Thohir,che aveva appena congedato Roberto Mancini, e stretto la mano ad Appiano Gentile all'allenatore olandese. 23 ottobre 2016, L'Inter si ritrova a 11 punti dopo 9 partite di campionato, con 6 sconfitte su 12 match stagionali, a 5 punti dalla zona retrocessione, ultima nel proprio girone di Europa League. Ma soprattutto senza gioco, idee, prospettive, equilibri. Di tempo ce ne è stato, per De Boer, non molto ma a sufficienza per chiunque di poter delineare almeno le linee guida su cui costruire qualcosa. Oggi, i nerazzurri sono allo sbando completo: "Non capisco perché i giocatori si dimenticano di giocare a calcio", il commento ultimo di un tecnico che oramai è già sul viale del tramonto.
Bergamo, la punta dell'iceberg nerazzurro
La sconfitta di Bergamo è stata solamente la punta dell'iceberg perché di pessime prestazioni oramai l'Inter ha riempito quasi tutte le caselle di Serie A ed Europa League. L'olandese poco volante, chiamato a Milano per rilanciare il progetto cinese con la sua visione di calcio offensiva, non si è visto. Non ha saputo dare impronta alla squadra, non ha saputo conquistare la fiducia dei propri giocatori, non ha saputo calarsi nella realtà di un calcio italiano maggiormente tattico rispetto a quello orange dove alla guida dell'Ajax divorava Eredivise come noccioline, vincendo campionati, sperimentando e divertendo.
All'Ajax: calcio offensivo, giovani e dominio in campo
Proprio quanto fatto di buono con i Lancieri aveva attirato le attenzioni delle grandi d'Europa. Cercato dal Liverpool prima dell'avvento di Klopp, poi dal Tottenham, infine dall'Inter che con Thohir in sella lo corteggiava dal lontano settembre 2015, elogiandone le qualità in panchina. In Olanda de Boer aveva fatto vedere davvero cose buone: un 4-3-3 offensivo ma con una quadratura difensiva che permetteva agli esterni di pendolare ad intermittenza nel completamento della doppia fase. Aveva saputo dare fiducia ai giovani (Cillessen, Veltman, Zivkovic e Denswil) era riuscito anche a rilanciare giocatori oramai perduti, come Sereno e basato le proprie certezze su giocatori esperti come Anderweireld e Moisander.
All'Inter: senza equilibri, campionato più tattico, mancanza del gruppo
All'Inter avrebbe dovuto e potuto far bene. Anche se la rosa non l'ha scelta lui e tra le proprie fila ci sono seconde linee che paiono come separati in casa, non voluti ma tenuti per mancanza di offerte reali in estate, le qualità ci sono. Ma ciò che manca è stato tutto il resto, perché se sulle qualità di De Boer come giovane stratega di un calcio che vorrebbe essere totale e dominante non ci sono dubbi, questi restano sul De Boer umano. Incapace fuori dal proprio mondo ad adattarsi, facendosi anche furbo (inserendo con maggior continuità Gabriel, ad esempio), rinunciando inizialmente ad alcune scelte provandone altre. Quasi prigioniero delle proprie convinzioni, che gli hanno rivoltato addosso un gruppo che non c'è.
Eder, la verità dietro le maschere
In questo senso sono sintomatiche le parole di Eder a fine gara di Bergamo, con l'italo brasiliano a segno ma deluso da tutto il resto. "Non capisco perché come gruppo non rendiamo. A livello di singoli giochiamo anche bene, ma quando c'è da mettere in pratica le direttive dell'allenatore ci perdiamo. de Boer vuole aggressività costante in campo ma al di là di schemi e moduli, non capisco perché non rendiamo". Ed è proprio qui il segreto del fallimento – e debolezza – di De Boer: non aver fatto suo un gruppo che arrivava da una estate turbolenta, da un mercato contraddittorio, da ribaltoni dirigenziali destabilizzanti.