Dallo sponsor al prete, così ti assolvo Balotelli
Balotelli e don Massimiliano. Il diavolo e l'acqua santa l'accostamento è fin troppo facile. Il Red Devil ribelle e il parroco della nazionale. C'è l'Italia intera nell'abbraccio tra l'umano troppo umano campione atteso e mai del tutto compreso, convocato chissà se per il suo valore o le scarpette tricolori della Puma da promuovere, e il pastore con un debole per il pallone, guida spirituale dell'Italia e della Fiorentina dal 2006. Ancora sospesa tra futuro e moderno, tra Dio, squadra, e famiglia, tra don Camillo e Peppone dall'Olimpico al Quirinale. Un chiasmo di opposti che si attraggono conchiuso nel Papa con la tessera di socio del San Lorenzo, la squadra che gioca con i colori della Vergine Maria.
Il gran cuore di Balotelli – “Con Balotelli -racconta Don Massimiliano- si è creato un buon rapporto. L'ho visto sereno e tranquillo, mi auguro possa fare il bene della Nazionale. Se fa bene ci saranno altre possibilità anche per lui. E' tutto nelle sue mani. L'ho trovato sereno, tranquillo e voglioso. Ha risentito dell'attenzione mediatica. Ha sempre 24 anni e fin da quando era diciottenne è al centro dell'attenzione. Un po' più di serenità farebbe bene a tutti, soprattutto ad un ragazzo come lui". E così sia. Lo spaccone più forte del calcio mondiale ha un cuore d'oro, nascosto dalle smargiassate, che ha palesato in mondovisione dopo la doppietta alla Germania nella semifinale europea del 2012 con quel lungo abbraccio a mamma Silvia, la mamma adottiva, che ha commosso tutto lo stadio Nazionale di Varsavia e non solo.
Ricordati di santificare le partite – Il colloquio con Don Massimiliano è di pari valore simbolico. Già la stessa figura del parroco della nazionale, e delle singole squadre, non certo un'eccezione della sola Fiorentina (Don Luigi Maggiali ha seguito il Parma dal 1990 e sviluppato un legame profondo con Prandelli) è in sé fusione di sacro e profano. È elevamento del calcio che non è solo questione di vita o di morte ma molto di più, e insieme santificazione delle feste e delle terrene passioni. E si potrebbe disquisire a lungo sull'opportunità di tali avvicinamenti religiosi nel cuore della religione laica che unisce l'Italia così come di disquisisce del crocefisso nella scuola pubblica, del segno della libera chiesa nelle istituzioni del libero stato. Ma questo è solo il gioco più bello del mondo sempreverde epifania del Bel Paese.
Fede e passione – Non è certo una novità che religione e fede dialoghino così da vicino, che le ragioni del cuore e le esigenze dello spirito possano ritrovarsi a bordo campo, men che meno nell'Italia dei calciatori di Cristo e della Clericus Cup. L'Italia, si legge in un vecchio articolo di Repubblica, degli “spaventosi cerberi (che) si fanno il segno della croce prima di scendere in campo e far crocchiare le ossa degli avversari, (degli) accompagnatori in blazer e cravatta (che) spargono il sale o recitano il rosario per rammollire le difese nemiche”. L'Italia del Vaticano e del familismo amorale, del Trap e dell'acqua santa.
L'Italia di Don Camillo – L'Italia in cui il Papa ha assistito alla prima partita di calcio mai giocata a Roma, il 7 gennaio 1521, seguendo le regole del calcio storico fiorentino. L'Italia di Tarcisio Bertone, segretario di stato Vaticano fino a un anno fa, fiero tifoso juventino che ha commentato alcuni derby della capitale per la radio vaticana e numerose partite di calcio a Genova nei suoi anni da arcivescovo. L'Italia in cui i sacerdoti predicano contro la tessera del tifoso le partite domenicali alle 12.30 e il calcio giocato nel weekend di Pasqua. L'Italia in cui un parroco è diventato anche presidente di una squadra, i dilettanti crotonesi del Mesuraca, nel 2005. Sarà anche l'Italia che studia la moviola in campo che vuole farsi guida del calcio 2.0 della tecnologia applicata allo sport. Ma in fondo è sempre l'Italia di Don Camillo che “ruba” il portiere alla squadra di Pepponne “reo” di aver tesserato un oriundo. Sport e fede. Calcio e mercato. Gli italiani e gli immigrati. È passato più di mezzo secolo dal racconto di Guareschi, che avrebbe dovuto interpretare Peppone anche al cinema ma proprio girando le scene della partita di calcio si tirò indietro e convinse il regista a scritturare Gino Cervi. È cambiato tutto. Ma in un certo senso è rimasto tutto com'era. In fondo, siamo anche l'Italia del Gattopardo.