Da nonno Sepp al nipote Philippe: la FIFA come azienda di famiglia
Sono affari di famiglia. La FIFA in questi ultimi 20 anni di egemonia di Blatter è stata gestita come fosse una cassa personale del presidente svizzero e dei suoi accoliti, spesso parenti diretti. E' quanto emergerebbe da alcuni approfondimenti all'interno dell'enorme dossier legato alle sempre più evidenti collusioni del numero uno del massimo organismo mondiale del calcio a traffico di denaro legato a corruzione e tangenti. All'interno del faldone dello scandalo, infatti, sarebbe riemersa la figura centrale del nipote di Sepp, Philippe, già indagato una decina d'anni fa per affari illeciti e bancarotte con alcune aziende che avevano avuto ingenti appalti attorno all'acquisizione di diritti televisivi di eventi importanti (i Mondiali per ben due edizioni) e al marketing sportivo.
Sepp, Marco e Philippe – Gli inquirenti all'interno dell'indagine odierna sarebbero certi che il malaffare dentro e attorno alla FIFA avesse e abbia radici precise, ben fondate sul ruolo centrale di Blatter e di una rete clientelare che permetteva di elargire favori – per ottenere voti, silenzio e consensi – nella quale i primi a raccogliere guadagni e benessere erano i diretti familiari, dal figlio Marco ex direttore del comitato olimpico svizzero a – soprattutto – il nipote Philippe, novello nastro nascente del marketing con un incredibile talento nel fare soldi con lo sport, creando aziende ad hoc, come la già indagata International Sport and Leisure, identificata dagli inquirenti come semplicemente la "Isl".
Il "Sistema Isl" – Nata nel 1982, la Isl diventa subito partner imprescindibile degli affari sportivi della FIFA e del CIO. In pochi anni diventa un mastodonte del marketing sportivo e acquisisce senza problemi i diritti per i mondiali di calcio del 2002 e del 2006. Una decina d'anni fa, la prima inchiesta: nel 2005 la gendarmerie perquisì gli uffici della FIFA, alla vigilia del fallimento, dal conto "Nunca" aperto in una banca del Liechtneistein e usato principalmente per confezionare e spedire tangenti. Le indagini verificarono che erano partiti 20 miliardi di lire destinazione Zurigo, ma non ci furono prove schiaccianti per fermare il tutto e provvedere ad arresti e processi.
Dall'America all'Europa, nulla è cambiato – Il problema è che nell'attuale dossier, il "sistema Isl" è resistito negli anni: non morì con lo scandalo del 2005, cambiò semplicemente nome, ma il malaffare – sostengono gli investigatori – rimase: in America si è creata la Traffic International, in Europa c'è un soggetto che nell'indictment act degli inquirenti di New York è coperto da omissis, indicato come "Sport Marketing Company C, multinazionale basata in Europa e con affiliati negli Stati Uniti". Entrambe le realtà imprenditoriali sono accusate di corruzione per milioni di dollari di tangenti e tutte – si sostiene nel dossier – riporterebbero alle modalità care alla Isl e al suo massimo dirigente, Philippe. Con sviluppi diretti nei vari Paesi d'Europa, come in Italia, dove proprio il nipote di Blatter è stato "President & CEO of Infront Sports & Media AG since 2005" come si legge sul sito ufficiale della società leader nello "sport marketing" internazionale. La stessa Infront che è l'advisor dei diritti tv della Serie A, ultimamente finiti sotto la lente d'ingrandimento dell'Antitrust.
Il ‘pizzo' su Sud-Africa 2010: 10 milioni è il prezzo giusto – Un'altra parte del dossier invece, punta i fari sul 2010 e i Mondiali da assegnare: la Fifa ha sul tavolo le candidature di Marocco, Sudafrica e Egitto. Si sonda il Marocco e "il comitato organizzatore offre un milione di dollari per pilotare il voto segreto", scrive l'Fbi. Ma il governo sudafricano e il comitato organizzatore rilanciano: 10 milioni di dollari alla confederazione da loro controllata, con questa curiosa giustificazione: "Sostegno alla diaspora africana". E così il 15 maggio 2004 a Zurigo dalle urne Fifa vengono fuori 14 voti per il Sudafrica, contro i 10 del Marocco. Nelle carte degli investigatori si racconta che i dieci milioni "per la diaspora" arrivarono nei mesi successivi, prelevati dal fondo che la Fifa aveva predisposto per l'organizzazione di quei mondiali.
Danny Jordaan, numero uno della Federazione sudafricana, s'è difeso così: prima ha fatto notare che il pagamento è stato effettuato nel 2008, mentre il Mondiale al Sudafrica è stato assegnato nel 2004, poi ha aggiunto che quei 10 milioni di dollari rappresentavano il contributo che il Sudafrica aveva devoluto per il fondo della Concacaf – allora guidata da Warner, ex vicepresidente Fifa coinvolto nell'inchiesta dell'Fbi – destinato allo sviluppo del calcio.