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La morte del calciatore Davide Astori

Da Curi ad Astori, quando la morte colpisce il gioco più bello del mondo

Il malore fatale di Renato Curi, di Morosini e Ceccotti. Il calcio ha la sua Spoon River, le sue vittime giovani, spesso scomparse sul campo.
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Erano giovani e forti, e sono morti. Il calcio che conta e racconta le stelle si risveglia col dolore del dubbio, con la domanda che torna ad ogni fine senza rimedio: perché? Astori, scomparso a 31 per un malore nella notte in una stanza dell'hotel Là di Moret, lascia una famiglia, una figlia, un vuoto. Di fronte a vuoti così, quando la morte si insinua tra campo e realtò, lo sport più bello del mondo, quello che fa illuminare i bambini di tutto il mondo, fa un passo indietro. Per una sera, per una domenica almeno.

Il mistero Taccola

Il cuore, sulla bocca di allenatori, tifosi, giocatori, metafora di grinta e passione, di vita sana e sana scalata al successo, ha tradito Giuliano Taccola, vittima di un mistero ancora ufficialmente senza soluzione, morto il 16 marzo 1969 negli spogliatoi dello stadio Amsicora, dopo Cagliari-Roma. Era la Roma di Helenio Herrera, circondata più dal giallo che dal rosso. Correva i 100 in undici secondi, era stato operato per una tonsillite, gli han fatto la solita iniezione con cui gli facevano scendere la febbre. Ma non si è mosso più. "Andiamocene, mercoledì abbiamo un'altra partita" dirà Herrera. E la moglie Marzia giura da allora che non di fatalità si è trattato, ma di omicidio.

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Curi, morte sotto il diluvio

Il calcio ha vissuto lo choc di Renato Curi, simbolo di Perugia, che muore in campo, in un pomeriggio di diluvio, al 5′ del secondo tempo di un Perugia-Juventus del 30 ottobre 1977. E' un infarto fulminante, che Sandro Ciotti annuncia via radio durante Tutto il calcio minuto per minuto dopo che un Enrico Ameri un po' disturbato per l'interruzione gli passa la linea.

Morosini, tragedia in diretta

L'Italia si è commossa per Andrea Cecotti, centrocampista della Pro Patria, che l'8 novembre 1987 avverte un inatteso formicolio alla gamba. E' il 29′ del primo tempo, la Pro Patria sta giocando a Treviso e Cecotti chiede il cambio. Ha 25 anni, e negli spogliatoi la situazione si aggrava. Scoprono una trombosi alla carotide, dopo cinque giorni entra in coma, dopo sei muore.

L'Italia ha pianto Piermario Morosini, generoso e sfortunato, dal sorriso stroncato in campo e rimasto nel cuore di tutti. Il ricordo resta, e insieme rimangono i dubbi, rimane quell'interrogativo: si sarebbe potuto evitare? Defibrillatori, rapidità dei soccorsi, testimonianze incrociate disegnano gli ultimi istanti di una tragedia, che a guardarla dopo sembra sempre insieme inattesa e annunciata, come se tutti i fili che tengono insieme gli istanti non potessero portare che a quel finale e in quel momento. Un momento in cui nessuno si sarebbe aspettato che la tragedia avvenisse.

Manfredonia si salvò

Negli ultimi anni, i malori in campo aumentano: Puerta, Foé, Feher sono solo alcuni dei nomi della Spoon River del calcio. Non gioca in Italia ma muore in Italia, a Coverciano, Daniel Jarque. Muore al telefono, mentre parla con la fidanzata, a 26 anni, ucciso da un’asistolia.

In questa Spoon River ha rischiato di finire anche Lionello Manfredonia il 30 dicembre 1989, durante Roma-Bologna. Mentre il capitano rossoblù Stringara si avvia a battere un calcio d'angolo, Manfredonia in area barcolla, poi si accascia. "Sulle gambe, immobili, di Manfredonia viene stesa una coperta di lana, i barellieri aspettano un po' discosti" racconta Gianni Mura su Repubblica. "Ma perché continua a passare tutto questo tempo, perché non lo portano via, al caldo, su un' ambulanza? Perché, ma lo si saprà dopo, in ospedale, il cuore di Manfredonia si è fermato, il polso non batteva più e per trasportarlo fuori occorreva aspettare che tornasse a battere. Più di cinque minuti, quasi sei è rimasto disteso sul prato".

Non di infarto si è trattato, rivelerà una coronografia venti giorni dopo. L'esame, spiegherà il primario del reparto di cardiologia dell'ospedale Maggiore di Bologna, Daniele Bracchetti, non ha rivelato cicatrici nel cuore, o lesioni alle arterie coronariche. E' stato solo un principio di infarto. Ma la domanda rimane: perché?

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