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Ciao, ‘Moro’, nessuno se ne va per sempre

Il 14 aprile 2012, durante Pescara-Livorno, Morosini si accascia e muore per un’aritmia cardiaca. La perizia della Procura di Pescara è chiara: al 70% si sarebbe potuto salvare con un defibrillatore. E’ la fine amara di una vita sfortunata.
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“Datemi il defibrillatore! Datemi il defibrillatore!”. Lo urla più volte Marco Di Francesco, barelliere volontario della "Misericordia di Pescara”. È a bordo campo all'Adriatico, accanto alla panchina del Livorno, quel tragico 14 aprile del 2012. Ha visto accasciarsi Piermario Morosini, dopo 29 minuti e 42 secondi di gioco, è corso a soccorrerlo. Sono istanti di confusione, di barelle sbagliate, con l'ambulanza bloccata nel parcheggio dello stadio da un'auto dei vigili. Istanti di disperazione, con quattro persone intorno a Piermario che lotta fra la vita e la morte mentre per compagni, avversari e tifosi l'orizzonte svapora e la partita perde qualunque significato.

Caos – “Uno dei soccorritori stava cercando di aprire la bocca con le due dita, intervento necessario per agevolare la respirazione” ha testimoniato Di Francesco in Questura il 18 aprile del 2012. “Non ricordo precisamente chi fosse. Mi posiziono vicino alla testa del ragazzo che in quel momento manifestava un Trisma (paresi facciale e convulsioni), ed effettuo la sub-lussazione della mandibola, mettendo la testa in iperestensione. Ho preso una Ghedel dalla borsa della Croce Rossa ed l'ho inserita in bocca. Si tratta di una cannula che, impedendo alla lingua di andare all'indietro, consente la ventilazione attraverso il pallone di Ambu". Intanto un operatore della Croce Rossa, come ha ricostruito Leila Di Giulio, dirigente della Digos e vice questore aggiunto a Pescara, in servizio quel giorno allo stadio, “è entrato con la barella, ma poco dopo è tornato verso la sua postazione, per prendere una valigetta gialla contenente il defibrillatore”.

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Si doveva salvare – Intorno a Piermario c'è anche Manlio Porcellini, medico del Livorno dal 1985, rinviato a giudizio insieme a Ernesto Sabatini medico del Pescara e Vito Molfese medico del 118. Porcellini è già in campo, è andato a medicare un altro giocatore. Morosini è steso sul terreno, prono. “L'ho immediatamente girato e mi sono subito reso conto della gravità della situazione, in quanto il giocatore aveva le pupille midriatiche e non rispondeva. Dopo aver aperto la bocca e aver costatato che non aveva la lingua riversa, ho iniziato dapprima il massaggio cardiaco, poi ho effettuato la respirazione bocca a bocca, tenendo con una mano chiuso il naso del giocatore e con l'altra verificando se si sentiva il battito del polso, che era assente”. Insieme al medico del Pescara vanno avanti con massaggi cardiaci e respirazione artificiale mentre, dopo due minuti e 40 secondi arriva anche l'ambulanza. In quel momento, in campo ci sono tre defibrillatori, che Porcellini confessa di non saper usare: due erano già a bordo campo, gestiti dalla Croce Rossa e dalla Misericordia, un terzo è sull'ambulanza.

Di Francesco grida ancora: “Datemi il DAE!”, il defibrillatore semi-automatico. Ma nessuno risponde e Piermario Morosini muore in un sabato di primavera per una "cardiomiopatia aritmiogena di probabile origine genetica" si legge nella perizia della Procura di Pescara, la stessa malattia ereditaria che ha stroncato Puerta nel 2007: una patologia "probabilmente molto difficile da diagnosticare" i cui effetti "erano in fase iniziale" afferma il cardiologo dell'Università La Sapienza e presidente della Fondazione italiana cuore Francesco Fedele. La sostanza però non cambia. Morosini muore anche se, stabilirà la perizia della Procura di Pescara, al 70% si sarebbe potuto salvare se uno dei tre defibrillatori fosse stato usato.

Destino – Davanti alla tv quel giorno, a tifare per il Moro, cui qualche settimana fa Bonucci ha dedicato la conquista della finale di Coppa Italia, c'è anche Anna Vavassori, pallavolista di 24 anni di Bergamo, con quel volto dolce di ragazza della porta accanto così diverso dal cliché della femme fatale fidanzata col calciatore famoso. Stanno costruendo una casa e un futuro insieme, sognano di prendersi dalla vita quello che la vita a Piermario non ha dato. Ma la morte, improvvisa, si prende tutto. Anna che su «Twitter» postava le foto dell’ultima gita all’Elba: “Magia complicità occhi luce felicità incontri futuro meraviglia splendido amore” scrive. Anna che giocava a volley nel Valpala in serie C e che invece di essere a Paladina per la partita con il Bodio Lomnago corre in macchina fino a Pescara in ospedale.

Anna che per la legge, però, non ha diritto a un eventuale risarcimento e che non verrà ammessa come parte civile al processo contro i tre medici, imputati per omicidio colposo. È l'ultimo schiaffo di un destino crudele alla memoria di un ragazzo sfortunato che cercava un sogno nel calcio e ha sentito il cuore smettere di battere mentre il sole batteva su un campo di pallone. Un ragazzo rimasto nel cuore di tutti, dei diecimila presenti al suo funerale, dei tifosi del Livorno che oggi frequentano la gradinata Morosini al Picchi.

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Tragedie familiari – Con la morte, col dolore, Piermario ha dovuto imparare a convivere. Perde la madre nel 2001, a 15 anni, e il padre due anni dopo per un infarto. Ha un fratello gravemente disabile, che si suicida nel 2004, l'anno del suo passaggio dall'Atalanta all'Udinese, e una sorella più grande, anche lei con handicap, ricoverata da sempre in un istituto. “Spesso mi sono chiesto perché sia capitato tutto a me, ma non riesco mai a trovare una risposta e questo mi fa ancora più male. Però la vita va avanti”, si confida al Guerin Sportivo.“Era un ragazzo intelligente, uno che aveva stoffa anche se sul suo volto c’era sempre un velo di tristezza” ricorda il suo maestro Mino Favini, responsabile del settore giovanile dell'Atalanta. “Ma aveva una disponibilità totale nei confronti dei compagni”.

La carriera – Il “Moro” comincia ala Polisportiva Monterosso, la squadra del quartiere di Bergamo, e gioca da terzino. Completa tutta la trafila nelle giovanili dell'Atalanta, si trasforma in un centrocampista di corsa e prospettiva. Tifoso dichiarato della Sampdoria, cresciuto con il mito di Roberto Mancini, vorrebbe avere la classe di Redondo, che ha conosciuto nel suo periodo al Milan, e la cattiveria agonistica di Almeyda. Vince uno scudetto con gli Allievi e nel 2004 perde contro la Roma la finale del campionato Primavera.”Prima della finale con la Roma avevo chiesto ai tre giocatori, che avevano portato la fascia da capitano durante tutta la stagione, chi volesse indossarla anche in quella partita così importante” ricorda Giancarlo Finardi, allenatore di quell'Atalanta Primavera.

“E tutti e tre avevano fatto il nome di Piermario”. Il Guerin Sportivo lo premia come miglior giocatore della partita. È un ragazzo Un ragazzo che cresce col peso della responsabilità, che non può permettersi di sbagliare niente, nemmeno a scuola mentre studia per il diploma da ragioniere. Nel 2005 arriverà all'Udinese insieme a Marco Motta, Massimo Gotti e Michele Rinaldi. Alla sua prima stagione da professionista debutta in Serie A, contro l'Inter al Friuli, e in Europa, nell'ottavo di Coppa Uefa contro il Levski Sofia. Dopo un anno al Bologna, l'Udinese ne riscatta il cartellino e lo gira al Vicenza, che ha ritirato la sua maglia numero 25 e gli ha intitolato il centro di allenamento.

È in questa prima stagione in biancorosso che segna il suo unico gol da professionista, a Modena. Alla fine di un primo tempo complicato, con un guardalinee che si fa male e deve essere sostituito dal quarto uomo, Masiello si fa 40 metri sulla sinistra e apre per il Moro che brucia il tempo a Tamburini e fredda Frezzolini sul secondo palo. “Era un ragazzo d'oro” ricordava Daniele Martinelli, che con lui ha giocato in biancorosso fino al 2009. Passa poi alla Reggina e al Padova, per poi tornare al Vicenza nel 2011.

La nazionale – Il Moro è un punto fermo anche delle nazionali giovanili. È titolare in tutte le selezioni di categoria fino all'under 21: è lui il primo compagno di camera in azzurro di Domenico Criscito. In azzurro si toglie anche la soddisfazione più grande, partecipa da protagonista all'Europeo under 21 del 2009 n Svezia. È un regalo postumo, una rivincita, una vendetta. “Quello che mi è successo, mi ha cambiato la vita” spiegava al Guerin Sportivo nel 2005. “Sono cose che ti mettono in corpo tanta rabbia e ti aiutano a dare sempre tutto per realizzare quello che era un sogno anche dei miei genitori. Vorrei diventare un buon calciatore soprattutto per loro, perché so quanto li farebbe felici".

Eredità – Di Piermario resta solo il ricordo di un ragazzo che non perdeva il sorriso nonostante tutto. Resta la retorica del “mai più” e una legge che ha obbligato le società professionistiche a dotarsi di defibrillatori entro luglio 2013 e alle società dilettantistiche concedeva una proroga fino a gennaio 2016, data ulteriormente spostata a luglio per il solito rimbalzo di responsabilità. Restano i versi di Casomai, il dolore dell'amico Marco Ligabue, il fratello di Luciano. E quella domanda, sempre la stessa, ancora dopo quattro anni: “Mi sono chiesto perché proprio adesso. Sarà scritto nel destino, ma non è giusto”.

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