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Da capitan futuro a capitan nessuno, questa Roma azzera tutto per non diventare mai grande

La questione non è la scelta della Roma di non rinnovare il contratto a Daniele De Rossi. Semmai è cosa vuol fare da grande (ammesso che abbia voglia di crescere), fedele a quale identità progettuale che non sia (solo) la cessione dei pezzi pregiati fino a indebolire progressivamente la rosa. La percezione che lascia la vicenda è di una società che bada alla contingenza delle decisioni da prendere in base all’esigenza del momento con la stessa sensibilità di un broker finanziario nell’aula della Borsa.
A cura di Maurizio De Santis
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Da capitan futuro a capitan nessuno. La percezione che lascia la vicenda De Rossi è proprio questa: una società che naviga a vista e bada alla gestione del presente, alla contingenza delle decisioni da prendere in base all'esigenza del momento con la stessa sensibilità di un broker finanziario nell'aula della Borsa. Tra scegliere di ‘vendere e comprare' perché così va il mercato non può esserci spazio per l'emotività ma solo pensiero e azione. E pensiero e azione è stata l'offerta del presidente, James Pallotta, al calciatore: un accordo a gettone in base alle presenze (come raccontato dal Corriere dello Sport). Ha avuto dieci mesi di tempo per presentarne una, l'ha scelta e fatta qualche ora dopo la conferenza stampa nella quale DDR aveva chiarito il suo stato d'animo, spiegando la propria versione ringraziando tutti tranne lui e il direttore generale, Baldissoni. Come poteva pensare il patron americano che il calciatore l'avrebbe accettata? Che senso ha avanzare un'ipotesi del genere?

Il mio rammarico è che ci siamo parlati poco quest’anno, le modalità, un pochino mi è dispiaciuto – uno dei passaggi chiave delle parole di De Rossi -. Le distanze a volte creano incomprensioni di questo genere e spero che la società migliori in questo perché sono un tifoso della Roma.

La questione non è la scelta della Roma di non rinnovare il contratto a Daniele De Rossi: legittimo che una dirigenza possa proporre a un calciatore 36enne, dopo 18 anni di carriera e non più fisicamente integro, di passare ad altro ruolo riconoscendogli esperienza e carisma, chiedendogli di metterle a frutto in maniera differente; legittimo che lo faccia al termine di una stagione spartiacque e condizionata dalla qualificazione alla prossima edizione della Champions, fonte vitale di risorse da reinvestire. Semmai la questione è cosa vuol fare da grande (ammesso che abbia voglia di crescere), qual è il piano per ripartire (di nuovo), da e con chi (perché non è chiaro nemmeno quale sarà l'allenatore), fedele a quale identità progettuale che non sia (solo) la cessione dei pezzi pregiati fino a indebolire progressivamente la rosa.

In questa ottica non c'è (e non può esserci) tempo né riconoscenza per un tecnico (Eusebio Di Francesco) che ha portato in dote al primo anno il podio Champions e una semifinale di Coppa raggiunta dopo aver schiantato il Barcellona; per l'uomo mercato – Monchi – dimissionario dopo aver eseguito null'altro che le direttive della società e poi divenuto scomodo; per un calciatore, l'ultima bandiera romana e romanista ammainata con poca gloria e molta fretta. Da capitan futuro a capitan nessuno. Azzerare tutto a prescindere, tra scegliere di ‘vendere e comprare' perché così va il mercato.

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