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Cosa va e cosa no: pro e contro di un anno di VAR

Al primo anno di Serie A, il VAR ha ridotto gli errori. Sono aumentati i rigori e diminuiti i cartellini. Ma il protocollo mantiene ancora troppe zone grigie. L’IFAB prevede che gli assistenti possano intervenire solo in caso di chiaro errore. Passare a una casistica più inclusiva renderebbe lo strumento più efficace.
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Promosso, ma migliorabile. Il VAR, che sarà introdotto anche ai Mondiali, nella prima stagione in Serie A ha ridotto gli errori dal 6 a meno dell'1% come ha spiegato il designatore della Can A Nicola Rizzoli al Salone d'Onore del Coni a cinque giornate alla fine del campionato. Rispetto all'anno scorso, sono calati falli, ammonizioni, espulsioni e simulazioni, ed è cresciuto il numero di rigori concessi.

Cosa dice il protocollo

Il protocollo, definito dall'IFAB, l'International Board, limita l'intervento del VAR a quattro tipologie di eventi: calci di rigore, espulsioni dirette, gol viziati da irregolarità e scambio di persona sui cartellini. Non sono rivedibili le seconde ammonizioni, i calci di punizione o i calci d'angolo dai quali magari scaturisca un gol.

L'arbitro, secondo il protocollo, può rivedere l'azione dall'inizio di una fase d'attacco. Ovvero, spiega l'avvocato Antonio Carmine Zoccali su Altalex, “dal momento in cui la squadra che stava attaccando quando si è verificato l’episodio controverso (una rete, un presunto fallo in area di rigore ecc.) ha ottenuto il possesso del pallone per far partire l’azione incriminata. Non deve esserci dunque interruzione (cambio di gioco da parte della squadra avversaria o gioco fermo) tra l’inizio dell’azione di attacco e l’episodio controverso”. Per questo non potevano essere riviste la seconda ammonizione di De Roon in Roma-Atalanta o il fallo di Benatia su Pavoletti prima del gol della Juve a Cagliari.

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Chi chiama chi? La soglia del chiaro errore

Il principio base su cui poggia l'attuale protocollo punta al “massimo beneficio, ma con la minima interferenza. Vanno rivisti, dunque, solo i "chiari errori" commessi dall'arbitro in campo. Ma che cos’è un "chiaro errore"? È questo il più grande, e il meno risolvibile, degli equivoci. Inoltre, seppure l'arbitro ha comunque l'ultima parola e la responsabilità della decisione finale, gli addetti al VAR possono richiamarlo, nei casi previsti, se la sua interpretazione configura una svista. Il confine troppo sfumato di cosa sia “chiaro errore” e cosa no ha portato a interventi diversi in casi simili che dipendono anche dalla soglia individuale di errore dell'addetto al VAR.

Il caso che più ha diviso, anche perchè ha avuto a posteriori un peso specifico notevole nel finale di campionato, è l'espulsione di Vecino in Inter-Juventus. Le reviews, sottolinea sul suo blog l'avvocato ed ex arbitro Luca Marelli, “sono limitate ad episodi relativi ad espulsioni dirette [perciò sono escluse le seconde ammonizioni:

  • – l’arbitro ha il dubbio che un fallo potenzialmente da cartellino rosso sia stato perduto oppure non visto chiaramente dagli ufficiali di gara
  • – il VAR rileva un fallo da cartellino rosso non rilevato (…)”.

Quindi, nel caso in cui l’arbitro abbia visto l’episodio (ed Orsato lo ha visto, come si osserva dall’ultima immagine), la sua valutazione in un episodio simile non può essere oggetto di review., perché ciò significherebbe invadere la sfera discrezionale del direttore di gara. Ma, rivelerà Sky, in quell'occasione sarebbe stato lo stesso Orsato a chiedere di rivedere l'episodio, e questo rientra perfettamente nel protocollo. Resta sbagliata, invece, la decisione in quel match di non ammonire Pjanic al 56′ ma sulle mancate ammonizioni il Var non può in alcun modo intervenire.

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Il confronto con l'Europa

Confusione, polemiche e zone grigie non sono mancate nemmeno in Bundesliga dove gli addetti al VAR non operano negli stadi in cui si gioca il match ma a distanza, come avviene nel rugby, in un centro di controllo a Colonia. Resta clamoroso, più delle sviste e dei lunghi tempi di attesa per le decisioni, il rigore che Guida Wimkmann ha assegnato durante l'intervallo nella sfida salvezza fra Mainz e Friburgo. L'arbitro rivede l'espisodio mentre gli idrati sono in azione nel terreno di gioco, con i calciatori già negli spogliatoi, li richiama e fa battere il penalty al Mainz.

Ancor più grave, in Inghilterra la gaffe che ha portato ad annullare il gol del Manchester United in FA Cup contro l'Huddersfield: la linea per valutare la posizione di Mata era visibilmente storta. Un errore che, unito a una serie di perplessità, ha convinto i club della Premier League a rinunciare al VAR per la prossima stagione, nonostante si dicano “grati per i miglioramenti fatti dal capo degli arbitri Mike Riley e dalla sua squadra”.

Orsato, Valeri e Irrati ai Mondiali per il VAR

Anche ai Mondiali, il VAR sarà gestito da una sala operativa centralizzata (VOR), situata nell’International Broadcast Centre (IBC) di Mosca. Se ne occuperanno 13 arbitri scelti ufficialmente solo come video assistenti. Tre gli italiani nella lista: Massimiliano Irrati, Daniele Orsato e Paolo Valeri. In un comunicato, la Fifa ha spiegato come la scelta è stata basata "principalmente sulla loro esperienza come video assistenti nei rispettivi campionati" oltre che sulla loro "partecipazione a numerosi seminari e competizioni Fifa, dove hanno migliorato la loro conoscenza e abilità usando il sistema Var".

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Una scelta ragionevole, quella di selezionare un numero ristretto di addetti familiari con la tecnologia e con le sottigliezze ermeneutiche del protocollo, più difficile al momento da applicare in Champions o in Europa League con un numero più elevato di partite in contemporanea e i pochi campionati in cui il VAR si utilizza. Si spiega anche così la maggiore cautela di Ceferin, anche se diversi casi quest'anno, iconiche le due sfide di semifinale tra Real Madrid e Bayern Monaco, potrebbero velocizzarne l'introduzione anche in chiave Euro 2020.

Dove migliorare

Il progresso, scrive Eduardo Galeano, è un viaggio con molti più naufraghi che naviganti. Nel viaggio verso il futuro del calcio, il VAR resterà un compagno sempre più familiare. L'inevitabilità della sua presenza, alla luce di un'utilità che resiste di fronte a pochi errori eclatanti, non significa accettazione sic et simpliciter dello status quo. Il protocollo, come il regolamento complessivo del calcio, dovrebbe diventare più chiaro e ridurre gli spazi di discrezionalità. Anche solo uscire dall'equivoco del chiaro errore sarebbe di aiuto. Ampliare il margine di intervento in tutti i casi di potenziale svista arbitrale, per esempio, non ridurrebbe l'autorità del direttore di gara ma faciliterebbe la comprensione e l'uso dello strumento.

Anche creare team dedicati solo al Var nei singoli campionati garantirebbe con più facilità la stabilità del metro di giudizio nelle varie situazioni. E trasmettere, dopo la decisione, le immagini sui maxischermi come accadrà per i Mondiali può favorire la comprensione del pubblico. E molto del futuro del VAR, ha ammesso Collina, dipende da quanto e come viene capito dai tifosi.

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