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Coppa Italia 1997: il capolavoro di Guidolin a Vicenza

E’ il giorno della finale di Coppa Italia. Ripercorriamo la cavalcata dei biancorossi fino alla doppia finale contro il Napoli. Il Vicenza è l’ultima squadra ad aver conquistato il titolo per la prima volta nella storia della manifestazione. Guidolin ha avuto tutto, la vittoria e il gioco. Avrà anche l’Europa e un altro sogno chiamato Coppa delle Coppe.
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"Ragazzi, sono tre anni che tutti ci dicono bravi e si complimentano per il gioco. Stasera del gioco non me ne frega niente: voglio vincere, soltanto vincere. Dovessimo perdere, è probabile che la gente ci gratifichi del grazie lo stesso. Bene, non lo voglio sentire". Sono le ore 18 del 29 maggio 1997. è l'ultima riunione tecnica prima della finale di ritorno di Coppa Italia. Con queste Francesco Guidolin sta per entrare nella storia del Vicenza.

Si parte da Lucca – I biancorossi hanno iniziato il cammino in Coppa Italia senza troppe ambizioni, come triste abitudine tra le squadre di serie A che si concentrano più sul campionato. L'avvio, a Lucca, non è proprio convincente. Al 9′ il Vicenza passa: combinazione Sartor-Murgita finalizzata da Rossi. Ma al 30" Brivio sbaglia l'uscita su Rastelli, pescato da Barone. Il Vicenza torna avanti col suo centravanti dal pedigree migliore, Cornacchini, l'unico ad aver già vinto un campionato, nel 1991-92 al Milan di Capello. “Centravanti di categoria, mobile e opportunista, piccolo di statura e rapido, per esecuzione, poco elegante e dai mezzi tecnici limitati. In rossonero è incredibile meteora: salta dalla Serie C a riserva di Van Basten" si legge nella Grande Storia del Milan per la Gazzetta dello Sport. Ma è solo il palo, colpito da Monza, a salvare i veneti nel finale.

Genoa, è tensione – C'è tensione, c'è emozione, c'è polemica nell'ottavo di finale contro il Genoa. Novanta minuti non bastano a decidere il vincitore. È una sfida giocata con attenzione maniacale, di cui restano solo due discussi rigori. Nel primo tempo è il Genoa a produrre le occasioni migliori. Nell'intervallo Guidolin sceglie Ambrosetti e Viviani per Murgita e Maini: Cornacchini resta l'unica punta. La mossa paga subito. Passano 6′ e Ambrosetti disegna il cross che Morello stoppa con la mano: Viviani trasforma il rigore. L'intervento, però, è tanto dubbio quanto quello omologo di D'Ignazio su cross proprio di Morello. Masolini non sbaglia e rimanda tutto allo spareggio. Il Vicenza, quel 6 novembre, ha appena battuto la Roma e centrato il secondo in classifica dietro l'Inter; il Genoa è in serie B, reduce dal primo successo esterno, a Venezia. È un monologo biancorosso. I tifosi protestano per un gol annullato a Otero, poi esplodono per il gol del bomber di coppa Cornacchini.

C'è il Milan – In premio c'è il Milan, e non è certo il Milan che ha conosciuto Cornacchini, quello della mentalità vincente, che giocava ogni partita come una finale, di Baresi che quando parla mette tutti in soggezione. È qui che le prospettive del Vicenza cominciano a cambiare. “Ci siamo detti: se li battiamo, potremmo anche vincere la coppa” ha ricordato Guidolin. A San Siro il vecchio Milan si barcamena ma arranca. Tabarez non ha l'intera difesa titolare (Panucci, Costacurta, Baresi, Maldini) e gli effetti si vedono subito: lancio di Di Carlo, Reiziger si perde Ambrosetti che fa 1-0 con un gran sinistro nell'angolo lontano. Il valore del collettivo biancorosso si vede nella ripresa, che il Vicenza gioca in 10, rosso a Lopez. Tabarez toglie Desailly (stirato), mette dentro Simone con Baggio dietro le punte e Ambrosini partner di Vierchowod al centro della difesa.

Il Milan preme alla cieca e solo l'intuizione di Baggio, sangue vicentino, evita la figuraccia in casa. Ma il Codino uscirà ridimensionato dalla sua prima da ex a Vicenza. I biancorossi, intanto in testa al campionato, giova un secondo tempo mostruoso per intensità e geometrie. Un calcio moderno contro il calcio bolso, banale di Tabarez, capace di una sola vittoria nelle ultime otto partite. Lo 0-0 basta a centrare la semifinale ma non rende giustizia al gioco di Guidolin di cui, riferiscono le cronache di allora, si sarebbe invaghito Berlusconi.

La semifinale: l'andata – Anche in semifinale, nella sfida fra le rivelazioni contro il Bologna, Vicenza diventa terra di miracoli. Guidolin, si legge sulla Stampa, “appassionato ciclista, paragona l'eventuale conquista della Coppa «alla vittoria del Tour”; Ulivieri, che al Menti ha già perso in campionato, “sogna la finale «che non ho mai visto e muoio dalla curiosità di sapere com'è fatta»”. Le assenze condizionano la qualità, ma il ritmo è elevatissimo: in 2′ la traversa e l'incrocio dei pali negano il gol al Vicenza. Guidolin vuole un gioco basato sul possesso palla e le aperture sulle fasce, Ulivieri basa tutto sul contropiede e il lancio lungo, a scavalcare il centrocampo, verso la torre Andersson. La partita si decide nel recupero del primo tempo. Pairetto punisce con la punizione dal limite un intervento di Paramatti sul pallone.

Batte Beghetto e Murgita di testa sorprende tutti. Ulivieri è infuriato mentre nelle stesse ore, a Londra, Nigel Allison, ricercatore di Manchester, ha presentato un primo sistema di tecnologia in campo, un sistema di tracciamento elettronico del pallone e di tutti i giocatori, dotati di microchip, per evidenziare fuorigioco e gol fantasma, che Casarin prende con un po' di scetticismo. "Vogliamo lo sport di uomini o un videogame? Certi studi sono interessanti, meritano attenzione, ma l'importante è sapere cosa si vuole. Ricordiamoci che il calcio è universale, deve essere unico. Chissà se in India o in Tanzania sono interessati a giocatori e arbitri al computer. A meno che non si adottino 200 modi diversi di giocare".

Il ritorno – Nella gara di ritorno, il Vicenza non difende il vantaggio, anzi. È una guerra psicologica. Ulivieri dichiara di non sopportare gli allenatori che adottano il 4-4-2 perché, dice, “è un calcio appiccicaticcio”. Sarà anche per questo che Guidolin rinuncia al 4-5-1 e passa proprio al 4-4-2, e così domina la scena. Ma al primo tiro il Bologna passa. Il rasoterra da fuori di Scapolo mette paura al Vicenza, che a due minuti dalla fine sembra rassegnato ai supplementari.

Poi la palla arriva a Cornacchini, che due anni prima giocava proprio a Bologna. "Vincemmo il campionato, ma io non mi integrai benissimo: Ulivieri era molto bravo tatticamente, però io ero troppo condizionato dai movimenti che voleva facessero le punte: ero un attaccante più istintivo". E quella sera lo dimostra. Il piccolo condor d'area piccola trova il guizzo da due miliardi. "Lo ricordo bene, proprio perché esultai davanti alla panchina rossoblù: mi piaceva stuzzicare Ulivieri!" ha dichiarato. I rossoblù, scrive Luca Bottura sull'Unità, finiscono "fatti fuori da un luogo comune. Da un ex che in rossoblu era sembrato soprattutto un ex giocatore".

La finale d'andata – Mai il Vicenza era arrivato così in alto in Coppa Italia. Al San Paolo, per l'andata della finale, trova un Napoli nel caos, con il tecnico Simoni allontanato per i contatti, mai negati peraltro, con l'Inter. In panchina c'è Montefusco, che è dovuto intervenire per placare Bordin dopo una serie di insulti pesanti a un giornalista. Ha problemi anche sul campo, perché l'attacco è fin troppo anemico: Caccia non ha mai segnato nelle ultime tredici gare di campionato, Aglietti ha realizzato due reti nelle ultime diciotto, Caio è ancora alla ricerca del primo gol. Gli azzurri, alla settima finale, unica squadra nella storia a vincere il torneo pur militando in B nel 1962, vincono il primo round. Pecchia decide la sfida del San Paolo contro un Vicenza che domina come gioco ma si spegne al limite dell'area.

Il trionfo"Al San Paolo giocammo tutti male" svela Guidolin alla Gazzetta dello Sport. Ma nelle tre settimane prima del ritorno vede montare la rabbia, la delusione. "Valcareggi mi spiegò una volta che il giocatore destinato a vincere, prima della gara, ha il viso tirato; ci ho ripensato osservando i ragazzi mentre entravano in campo. E mi sono sentito sicuro". Il resto lo fa la mossa tattica chiave, la marcatura proprio di Pecchia. "L'ho chiuso in un triangolo, Gentilini – Di Carlo – Viviani, perché lo temevo. E' furbo, molto intuitivo, sa giocare fra le linee di difesa e centrocampo. Il lavoro di Di Carlo ha liberato Maini, e Jimmy ha sfruttato al massimo questa libertà".

E' lui che, davanti ai 17 mila tifosi in biancorosso che hanno accolto le squadre con una coreografia tricolore, cancella il vantaggio di Pecchia. A Caccia saltano i nervi (rosso) e ai supplementari Rossi e Iannuzzi completano il trionfo. Guidolin ha avuto tutto, la vittoria e il gioco. Avrà anche l'Europa e un altro sogno chiamato Coppa delle Coppe. Ma questa è un'altra storia.

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